Storie
di un fotografo: Gianni Berengo Gardin
di
Eleonora Bonoretti
Il
Centro Internazionale di Fotografia Scavi Scaligeri di Verona ospita,
dal 26 ottobre 2013 al 26 gennaio 2014, la mostra dedicata a Gianni
Berengo Gardin, curata da Denis Curti e promossa dal Comune di Verona
in collaborazione con la Casa dei Tre Oci di Venezia, Fondazione
Forma per la Fotografia e Civita Tre Venezie.
L'esposizione conta oltre 180 immagini suddivise in dieci sezioni, in cui è il fotografo stesso a raccontarci, attraverso l'audioguida, ciò che vediamo, i suoi reportage più importanti e il suo modo di vivere la fotografia.
La
mostra inizia con alcune vetrine dedicate alle sue macchine
fotografiche, alle pubblicazioni e ai libri dei suoi reportage, quasi
a indicare che la fotografia non è un percorso rivolto alla stampa
fine a sé stessa, ma una scelta, che testimonia il suo amore per la
"fotografia vera", una cura che passa attraverso la
pellicola, l'ingranditore e i chimici, fino a essere antologia.
Gianni
Berengo Gardin, è fra i più noti fotografi italiani, nato a Santa
Margherita Ligure nel 1930, ha iniziato a occuparsi di fotografia dal
1954, ma il suo nome diventa conosciuto a livello nazionale e
internazionale quando alcune riviste come "Il Mondo" di
M.Pannunzio, "Epoca", "Le Figaro" e "Time",
pubblicano le sue immagini. Sono progetti meditati i suoi, svincolati
dalle tempistiche che la cronaca impone, sono icone del tempo,sono
racconti dai toni semplici e immediati che tendono però, a valori
universali. Lui stesso si definisce allievo di Willy Ronis e della
tradizione della photographie humaniste francese (Brassaï,
Izis,Doisneau,Boubat,Kertész).
Questo stile fotografico, nasce in risposta all'artificialità della
fotografia modernista,come bisogno di rinascita e rinnovamento a
seguito della sofferenza causata dalla Seconda Guerra Mondiale. La
fotografia umanista ha un linguaggio trasparente e accessibile a
tutti, pone enfasi sulla vita delle strade, sul quotidiano, sugli
emarginati e i soggetti deboli; racconta frammenti di vita senza
utilizzare astrazioni,sceglie il bianco e nero piuttosto che il
colore. Fotografare diventa un lavoro di pazienza, di attese, di
attimi colti e di istanti perduti. Il più autorevole esponente è
Henry Cartier-Bresson.
Berengo
Gardin incarna questa ricerca alla perfezione, attraverso i piccoli
gesti quotidiani ma anche i grandi eventi, le sue immagini offrono
un'analisi della vita economica, politica, cultura e sociale
dell'Italia dagli anni 60 a oggi. Il suo sguardo non è mai
accusatore, cerca l'uomo, lo cerca fra i soggetti ai margini, fra i
disoccupati e i lavoratori, fra i bambini, fra gli inconsapevoli e i
dimenticati. Lui c'è, si schiera con l'essere umano e con la sua
contingenza, è un cantore formale e un portatore di emozioni, è
consapevole di ciò che racconta e del suo dovere di testimonianza e
di impegno civile.
Il
suo è un lavoro costante, nel linguaggio, nella forma e negli
ideali. Le fotografie colgono l'attimo, il momento decisivo, sono
frontali,il soggetto è al centro, avvolto in una luce quasi
"buia",non è un fotografo provocatorio e urlante, c'è
timidezza e grazia nei suoi racconti. I messaggi sono sussurati, ma
arrivano diretti, con l'audacia di un fotografo di "mestiere"
(come lui stesso si definisce).
Fra
i reportage maggiormente significativi della mostra, Morire di
Classe, realizzato nel 1969, insieme a Carla Cerati e con la
collaborazione di Franco Basaglia. E' una documentazione sui manicomi
e le condizioni di degrado e annientamento cui i malati erano
tenuti,in cui lo stesso autore diventa strumento di denuncia sociale
al punto da ispirare la legge 180 sulla revisione ordinamentale degli
ospedali psichiatrici e la loro conseguente chiusura.
Con
lo stesso approccio, lo ritroviamo nel reportage "La disperata
allegria. Vivere da zingari a Firenze" (1994),una storia contro
i pregiudizi e le credenze sulle comunità nomadi. Berengo Gardin ha
la capacità di entrare in profondità, unirsi ai soggetti che
descrive, ai contesti socio-culturali che incontra, con rispetto e
apparente normalità, ed è proprio attraverso questa apparente
normalità che ci testimonia la sua ricerca continua per la realtà
che circonda l'uomo.
Nella
sezione dedicata ai "Baci", incontriamo un giovane e timido
fotografo, che con la curiosità di ragazzo, riesce negli anni
Cinquanta a immortalare il suo primo bacio a Parigi (in Italia in
quegli anni era proibito baciarsi in pubblico) e curiosamente
l'ultimo scatto di un bacio si chiude a Milano, per le vie della
città.
La
mostra continua, "Verona", "Lavoro", "Fede
religiosa e riti", "Milano", "Dentro le case"
(ritratti intimi, costumi e condizioni di vita di un'Italia che non
esiste più, che il tempo ha profondamente cambiato), immagini che
tracciano i momenti fondamentali dell’attività del grande
fotografo, capace di rendere leggibile e di svelare la complessità
del mondo, istanti di vita quotidiana nelle strade, incontri casuali
con le persone, gesti spontanei.
Storie
di un fotografo è una mostra sulla nostra società, sulle esperienze
di vita del maestro. La sua forza è nella grande semplicità con cui
riesce a mostrarci le molteplici varietà del mondo.Non c'è retorica
, non ci sono sottintesi, arriva diretto, arriva all'uomo.
Gianni
Berengo ha pubblicato oltre 210 libri, vive a Milano ed è membro
dell'agenzia fotografica Contrasto dal 1990 e del circolo "La
gondola" di Venezia.
Nel
2008 ha ricevuto il Lucie Award, premio alla carriera.
Copyright
©
by Eleonora Bonoretti
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