sabato 10 settembre 2016

Intervista a Franco Costantini

Sotto il segno di Dante, Totti e Depardieu

di William Molducci

Poeta, insegnante di metrica, enigmista, attore, fine dicitore: Franco Costantini sembra avere una vocazione naturale all’eclettismo e alla “contaminazione”. Costantini, versatile protagonista della scena artistica, ha tenuto numerosi recital sui palchi italiani, insieme a musicisti, attori e poeti, proponendo i capolavori di Dante, Montale, Leopardi, Dino Campana. Nei suoi recital spesso la poesia incontra la musica, senza trascurare il suo talento di attore, come nel cortometraggio “L’annusatore” di Gianfranco Tondini, nello sceneggiato “Fine Secolo”, di Gianni Lepre, trasmesso su RAI 1, e nel musical “L’ultima notte di Scolacium”, diretto da Cristina Muti, dove sostituì Gerard Depardieu.


Nel 2013 ha pubblicato il poema epico “Totteide”, in 1800 endecasillabi, il primo dedicato a un uomo di sport, in questo caso al capitano della Roma calcio, visto come un moderno eroe dello sport.

Quest’anno ha inaugurato la “stagione dantesca” di Ravenna Festival interpretando “Cantica Dantesca”. Per una settimana, ai Chiostri Francescani, ha recitato i versi dell’Alighieri accompagnato da musicisti.

Franco Costantini e Raimondo Raimoni nel video di presentazione di "Totteide"



Sei nato a Roma e vivi a Ravenna, ha origine da questo percorso il tuo “Totteide”, il poema epico in 1800 endecasillabi dedicato alle gesta di Francesco Totti?

Certo. Totti è simbolo di “amor patrio e fedeltà”. E cantando lui ho anche testimoniato il mio modo di essere “fedele a distanza”: la vita mi ha portato lontano da Roma, ma niente potrà strapparmi dal cuore l’amore per le mie radici. Insomma: fatte le debite proporzioni, credo che la “pulsione prima” del mio poema sia la stessa che spinse Quinto Orazio Flacco a scrivere il suo Carmen Saeculare. “Carmen” che - tra l’altro - mi sono permesso di parafrasare. Con ironia, ma anche con grande affetto: “O almo Sole, che con raggio biondo / l’oscurità disperdi de le notti, / tu non vedrai nessuna cosa al mondo / maggior di Roma o di Francesco Totti”.


Con Dante’s Corner sei diventato un juke box dantesco, i passanti ti chiedevano di recitare un canto e tu… mentre al caffè letterario Le Giubbe Rosse di Firenze…

Due esperienze fantastiche. In Dante’s Corner mi è piaciuto soprattutto il ribaltamento del rapporto palco-platea: il pubblico, infatti, non aveva il solito ruolo, ricettivo-passivo; ma diventava “regista”, decidendo cosa ascoltare. Devo tuttavia confessare una cosa: non rifarò mai più Dante’s Corner così come lo feci tutti i giorni di quel luglio 2013, almeno 4 ore al giorno, per un totale di 156 ore di performance. È stato massacrante. Non tanto a livello fisico: parlo di “stanchezza emotiva”, perché nel recitare Dante ci metto l’anima! A fine luglio, ero uno straccio. Alle Giubbe Rosse di Firenze, nel 2015, premiarono me e il chitarrista Raimondo Raimondi, mio partner di scena in mille occasioni, con il premio gemello “La poesia nelle corde”. Recitare Dante in quel contesto è stato davvero gratificante. Lì sono passati tutti i grandi poeti del Novecento: da Campana a Pasolini, da Saba a Pratolini, da Quasimodo a Montale. Lì Marinetti e i futuristi si accapigliarono con i letterati fiorentini nella rissa culturale più famosa del mondo! Uh, dimenticavo Gadda; ed Ezra Pound, e Dylan Thomas…
Insomma, quello non è un caffè, è un “tempio della letteratura”; e io ci sono entrato da “sacerdote”, capisci? È stata una delle mie soddisfazioni artistiche più grandi. E ancora oggi mi vanto con gli amici che su Wikipedia, alla voce “Caffè Le Giubbe Rosse”, è citato anche il mio nome e quello dell’amico Raimondo!


Franco Costantini vestito da Dante al Caffè Alighieri


Le tue letture dantesche collegano spesso due città storicamente rivali quali Ravenna e Firenze, che differenti reazioni noti tra il pubblico romagnolo e quello toscano?

Nessuna differenza. Tutti coloro che vengono ad ascoltare Dante lo fanno con identico amore e rispetto: ad ogni latitudine e longitudine. Addirittura, durante Dante’s Corner, si sono fermati a sentirmi turisti giapponesi, americani, russi: non capivano una parola, ma la loro concentrazione e il loro “abbandono all’ascolto” erano gli stessi del pubblico italiano. Il merito non è mio, sia chiaro: il segreto sta nella magia dell’endecasillabo, nella sua musicalità; una musicalità che può persino fare a meno della piena comprensione dei contenuti.


C'è un canto della Divina Commedia a cui sei particolarmente legato?

Forse il 26esimo dell’Inferno, in cui Ulisse, pur “dannato”, ci regala un epifonema che suona come un undicesimo “comandamento”: “Fatti non foste a viver come bruti, / ma per seguir virtute e canoscenza”. Ma adoro anche il 21esimo del Paradiso, in cui San Pier Damiani sa conciliare la spiritualità della propria beatitudo con la “carnalità” dell’invettiva contro la chiesa corrotta.

Franco Costantini


Da Dante a Montale ci sono più di sei secoli di distanza, eppure la poesia unisce tempi e uomini, quasi come un viaggio del tempo…

Sì. La letteratura - lo diceva Eco, se ben rammento - garantisce una sorta di “immortalità all’indietro”. Io ero con Leopardi che contemplava la ginestra sulle pendici del Vesuvio, ero con Catullo che implorava la sua Lesbia, ero con Ettore mentre difendeva le porte Scee… Sì, la forza della poesia mi rende antico di millenni, ed “esteso” quanto l’intero pianeta!


Ti esibisci spesso con poeti e musicisti, il significato semantico si lega al suono musicale delle parole?

Sono convinto che la lingua - ogni lingua - si sia sviluppata da un nucleo di suoni onomatopeici. Sì, i suoni tendono a corrispondere alle cose. Musica e poesia, inoltre, sono nate insieme. E per un lunghissimo tempo (*) sono state inseparabili. Gli antichi aedi, ad esempio, non recitavano i poemi: li cantavano.

Franco Costantini mentre recita un apocrifo dantesco al teatro Alighieri di Ravenna


Quest’anno hai inaugurato la stagione dantesca di Ravenna Festival declamando “Cantica Dantesca” accompagnato da Elena Sartori, Sara Bino, Elena Biscuola, Elisa Bonazzi e Anna Pia Capurso (Melodi Cantores)…

In “Cantica dantesca” si è esplorato il rapporto tra i versi di Dante e alcune canzoni sacre medioevali. Il tema era quello della donna come guida spirituale, chiave del passaggio dall’amore terreno all’amore divino. Proprio sul tema dell’amore, un “matrimonio” tra note e poesia si era celebrato già sette secoli fa, quando Casella musicò alcuni versi del Vate (“Amor che nella mente mi ragiona”).


Portare la poesia nelle case per anziani è un po’ ricondurli alla vita…

Forse è più vero l’esatto contrario. Quando recito per gli anziani, questi mi fanno sentire “utile” in un modo speciale, e dunque mi colmano di slanci vitali. Sì, sono loro che riconducono me alla vita.



Nel 2009 hai recitato con Nancy Brilli e Valerio Massimo Manfredi nella versione teatrale del racconto “Il sogno di Ottavia”, appendice del libro “Marcello” (dello stesso Manfredi)…

Sì. L’evento si tenne al Museo Nazionale di Roma, e fu una splendida occasione di riabbracciare la mia città. Con Manfredi ho un rapporto speciale: adoro i suoi romanzi, capaci di fondere armoniosamente (e semplicemente) la fantasia narrativa con il rigore storico. Assieme a Manfredi feci anche uno spettacolo bellissimo sull’Odissea, che abbiamo portato in giro in varie città italiane: lui parlava a ruota libera della storia di Ulisse, in tutte le sue implicazioni storiche, mitologiche e simboliche; e io davo voce ai versi di Omero.

Sei l’autore di “Thaleroneide”, il primo poema epico ambientato in un mondo virtuale di Internet?

Sono orgoglioso di questo poema, anche se destinato a una nicchia, cioè ai “giocatori di ruolo” di quel mondo fantasy (“Isylea”, un universo para-tolkieniano popolato di elfi, maghi, draghi). Può sembrare strana, l’idea di un epos ambientato in una non-realtà: ma, se ci pensi bene, il fantasy ha SEMPRE caratterizzato l’epica, da Omero fino ad Ariosto. Il ciclope Polifemo e la maga Alcina - per dirne due - non sono certo personaggi storici!


Il teaser di “Le Salon Indien” - Progetto per una commedia tra il realistico e il fiabesco; regia e sceneggiatura di Alessandro Pace, soggetto di Renato Pace; il film è attualmente in fase di pre-produzione e in cerca di ulteriori finanziatori.



Nel 2014 hai sostituito Gerard Depardieu nel ruolo del conte normanno Ruggero d’Altavilla, nel musical diretto da Cristina Muti, con musiche di Nicola Piovani: “L’ultima notte di Scolacium”…

A Catanzaro. Un ricordo bellissimo. Fu Cristina Muti a volermi a tutti i costi, contro le perplessità dei produttori. In tutta franchezza, quelle perplessità avevano ragion d’essere: come si fa a sostituire un divo famoso con un dicitore quasi sconosciuto, quand’anche dotato? A quel punto però, non mi restava che accettare la sfida, anche per onorare il coraggio di Cristina. Così mi calai nei panni di quel prode normanno che attorno all’anno 1060 conquistò la Calabria… col preciso obiettivo di conquistarla di nuovo! Per mia fortuna fu un successo. E fu anche l’occasione di fare amicizia con artisti eccezionali: come Edoardo Siravo, Rosa Feola, i fratelli Mancuso…

Hai interpretato Vittorio, il protagonista narratore nell’opera lirica “Il viaggio di Roberto” (un treno verso Auschwitz), per la regia di Alessio Pizzech. Un’esperienza artistica e umana?

L’hai detto. Alcuni filosofi greci sostenevano che la felicità consistesse nell’assenza di dolore, altri che fosse la FINE del dolore. Io ho sperimentato un “ossimoro reale” sulla mia pelle: ho sperimentato la felicità di condividere un dolore. “Il viaggio di Roberto” è stato anche un viaggio dentro noi stessi, un viaggio sofferto ma bellissimo. Da allora mi sento più ricco "dentro”, più consapevole, più degno di vivere la vicenda umana. Grazie anche a tutti gli altri compagni di avventura: a partire dalla fantastica Cinzia Damassa fino ai cantanti, agli orchestrali, alle comparse, ai bambini del coro.


 

Totteide”, il Promo:


* Non possiamo sapere con precisione quando è nata la poesia. Sicuramente è nata dai racconti di caccia e di guerra degli ominidi primitivi, decine di migliaia di anni fa. La scrittura ancora non c’era, e il ritmo, la melodia, le rime e le assonanze (tutti elementi che formalmente caratterizzano la poesia) garantivano a quei racconti (il germe dell’epos) di essere ricordati e tramandati oralmente. Dunque la poesia è legata al canto e alla musica fin dalla nascita. Volendo ipotizzare una datazione, potremmo dedurre - dagli studi archeologici - che 30mila anni fa, presso l’uomo di Cro-Magnon, la poesia già esisteva. Così come già esistevano diversi strumenti musicali; non solo percussivi, ma anche a fiato: nelle tombe dell’uomo di Cro-Magnon sono stati infatti rinvenuti flauti rituali ricavati dalle ossa dei morti. Canto e poesia hanno cominciato a separarsi solo molto tempo dopo l’invenzione della scrittura; forse nel primo millennio avanti Cristo. Pertanto possiamo concludere, senza azzardo, che poesia e canto sono stati indissolubilmente uniti per almeno 27mila anni. 


Copyright by William Molducci

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