mercoledì 30 ottobre 2013

216 mois di Valentin e Frédéric Potier


Recensione cortometraggi: 216 mesi (18 anni)

di William Molducci

216 mois dei registi Valentin e Frédéric Potier, descrive un'irreale storia familiare, in cui si affrontano i temi della libertà di fronte alla reclusione, la menzogna, la manipolazione e la speranza. E' la storia di Charles che vuole vivere e scoprire un mondo che lo rifiuta, ma è anche la storia di una madre che non può lasciare andare il proprio figlio in quanto è la fonte del suo successo, pur amandolo profondamente.


La trama si basa sul grande successo di Maureen, una cantante apparentemente ventriloqua, capace di esibirsi da sola in melodici duetti, molto apprezzati dal pubblico, che ha un ventre enorme. Tutto sembra procedere per il meglio, ma un problema ostacola la sua carriera e preoccupa il marito, che è anche il suo manager. L'incantevole voce interiore di Maureen ha un nome: Charles e nel surrealismo della situazione egli raggiungerà presto l'età di 18 anni (quindi 216 mesi), avendo un unico desiderio nella sua vita: quello di potere finalmente nascere.
Charles vive nel ventre di Maureen, che lo accudisce come un figlio ancora in gestazione, anche se è in grado di capire, parlare e soprattutto cantare. Con il passare del tempo la volontà di venire alla luce diventa più forte, soprattutto dopo che, sempre nel surrealismo del racconto, incontra Lisa, di cui conosce soltanto la voce. Si tratta di una giovane cameriera che lavora nell'hotel dove i suoi genitori sono ospiti.
Il film nel suo sviluppo narrativo trascende da qualsiasi legame con la realtà oggettiva, ma allo stesso tempo descrive aspetti tipici dell'egoismo umano. Fuori da ogni metafora la storia ci mostra lo sfruttamento di un talento artistico, in contrapposizione alla volontà di una persona di essere libera e di volere vivere la sua vita.
Il finale assumerà toni al limite del drammatico, nel momento in cui Maureen avrà le contrazioni e il marito, che si trova alla guida dell'auto, non riuscirà ad evitare un incidente autostradale. Questo evento causerà la nascita di Charles, che uscendo dall'auto e barcollando sulla strada, cadrà accidentalmente nel fiume.
E' il suo primo giorno di vita, ma non sarà l'ultimo. Incontrerà ancora Lisa e potrà continuare a cantare le sue splendide melodie al loro figlio appena nato.
Pur nel breve tempo di ventisei minuti, il film riesce a ben calibrare fatti e situazioni, giocando su di un apparente livello di vita privata, ma in sostanza ponendo l'attenzione su questioni quali l'amore materno, i diritti umani e la loro presenza nella società.
Il regista Valentin Potier ha iniziato la sua carriera artistica realizzando spot pubblicitari. Nel 2007 ha scritto e diretto il cortometraggio Tony Zoreil, un film che ha ottenuto oltre 40 riconoscimenti. Il protagonista di quest'ultima storia è Tony, un giovane ragazzo con delle orecchie enormi, che ha difficoltà a crearsi delle amicizie proprio a causa di questa imperfezione fisica, sino a quando non incontrerà una ragazza afflitta dal suo stesso problema.
Frédéric Potier è il padre di Valentin, ha iniziato la sua carriera come fotografo, dopo alcuni progetti realizzati insieme, padre e figlio hanno scritto e diretto 216 Mois.

Articolo copyright © William Molducci
Fotografia copyright © legittimi proprietari

venerdì 25 ottobre 2013

“Fotografie che non sono mai esistite”, Emmanuil Yevzeriki


Mosca, Museo dell'Ebraismo, 4 Ottobre-17 Novembre 2013

di Simonetta Sandri



Un'altra domenica che mi chiede con forza di andare alla ricerca di qualcosa di unico, di nuovo, di straordinario. Una domenica autunnale, dove le foglie gialle, dalle mille tenui sfumature, cadono, sfiorano ed accarezzano le teste di alcune statue luccicanti alla luce di raggi di sole timido ma tiepido. Qualcuna arriva a terra, quasi con timidezza, qualche altra si appoggia sulla tua spalla e sfiora il tuo viso fresco risvegliato dalla brezza mattutina. Un'altra statua, fra le tante, sembra vigilare attenta sui passanti che la guardano, e che, chiacchierando, si girano ad ammirarla ed a compiacersi di colori degni di una sbocciante foresta canadese dipinta da mano esperta ed attenta.

 

Siamo ancora qui, sempre sull'attenti, affascinati dai colori di questa incredibile metropoli, Mosca, una città dove, nonostante le difficoltà della lingua, si trova sempre uno spazio per essere incuriositi, sorpresi, saltellanti e felici. Una città che vorresti condividere con chi ami in ogni suo minimo spazio ed intimo respiro. Dicevamo, un altro giorno di festa dove abbiamo deciso, io e il mio fedele ed attento compagno di ricerche e passeggiate, di recarci alla mostra di fotografia di Emmanuil Yevzerikhin. Sarà l'ennesima sorpresa di questa splendida, maestosa e ricca città, e non lo sarà solo la scoperta di un ennesimo nuovo fotografo ma anche e soprattutto il luogo che ospita la sua mostra. Ancora una volta non abbiamo sbagliato a voler sfidare il ventre tentacolare della profonda metropolitana moscovita, che, pure nel suo caos e nel suo soffocante affollamento, rimane un vero inno all'arte e alla potenza dell'uomo, insaziabile creatore e forgiatore. 




Dotato di grande senso dell'orientamento, che invece a me manca quasi del tutto, dall'uscita della metro Marina Roshcha, il mio accompagnatore, cartina alla mano, mi conduce alla Ulitsa Obraztsova numero 11. Eccoci di fronte alla maestosa entrata del Museo dell'Ebraismo e del Centro della Tolleranza, dove ad accoglierci, seduto a pensare o semplicemente solo a riposarsi, vi è un serio signore barbuto, dal capo coperto. che rappresenta lo stereotipo del personaggio che ci si può attendere in questo quartiere.


Il museo, inaugurato nel Novembre 2012 alla presenza di Shimon Peres, pare essere il più grande al mondo, 9.000 metri quadri di esposizione di manufatti ebraici ma anche un percorso che va dalla creazione del mondo, passando per il dono della Torah, i Templi a Gerusalemme fino alla storia delle persecuzioni. In un prossimo articolo torneremo sul Museo, che merita spazio a sé, ora vogliamo concentrarci sulla mostra fotografica. Entriamo, quasi timorosi, con un po' di cautela e di rispetto, e ci troviamo immediatamente di fronte ad una struttura enorme, interessante per la sua particolare forma e per l'essere un esempio di ristrutturazione industriale da manuale. Alla sinistra della biglietteria si trova l'esposizione fotografica per la quale siamo arrivati fin qui. Lungo un corridoio che spicca per il colore acceso ed intenso dei suoi mattoni, lasciati a respirare e traspirare la loro aria originaria, appese alle pareti di destra, scorrono fotografie della vita delle comunità ebraica russa degli anni ‘50-‘60. Sono scene di vita quotidiana, tutte rigorosamente in bianco e nero, quelle che appaiono al visitatore.
 



Due parole sull’autore, prima di scorrere le immagini. Emmanuil Yevzerikhin (1911-1984) è noto come fotografo dell’era sovietica ed autore di scatti famosi di eventi della Seconda Guerra Mondiale, quali quelli della battaglia di Stalingrado, e di celebrità dell’epoca come Maxim Gorky, Mikhail Kalinin, Valery Chkalov e Mikhail Gromov. Nonostante la sua brillante carriera come fotografo dell’era sovietica nell’agenzia Tass, Yevzerikhin rimase legato alle proprie radici. Nato, infatti, nel 1911 a Rostov sul Don da famiglia ebrea, continuò ad essere coinvolto nella vita della comunità ebraica, dando luce ad una serie di fotografie ora presentate alla Mostra del Museo dell’Ebraismo. Queste foto testimoniano come la gente comune rifiutasse che un regime repressivo impedisse loro una vita spirituale attiva.

Nell’esposizione moscovita di oggi, ammiriamo fotografie della Sinagoga Corale della Capitale, costruita fra il 1887 ed il 1906, conservate come parte dell’archivio personale di Yevzerikhin, acquisito, dopo la sua morte, dalla Sepherot Foundation, un’organizzazione basata nel Liechtenstein, dedicata alla raccolta dell’arte russa del XVII-XX secolo.
Pur ripetitive, le immagini immortalano anche piccoli dettagli, persone colte di sorpresa, Torah aperte, preghiere collettive nella sinagoga nel giorno di festa dello Shabbat, immagini in fila che ciascuno di noi può far scendere da un filo che le sfalserà alla vista. Una sopra, una sotto e poi ancora su e giù, di lato e di fronte, così si può vedere e ricostruire la scena come si vuole, nell'ordine che si preferisce. Sono tutte allineate come una pellicola, appese al soffitto con un lungo cavo metallico, sono sicura che se si potessero far scorrere velocemente, essendovene molte simili e che differiscono in minimi particolari, si potrebbe ottenere un effetto cartone animato


Nello sfilare delle immagini simili se non spesso quasi uguali, all’esterno della sinagoga appaiono uomini vestiti in maniera pressoché identica, che stanno innocentemente a guardare ed osservare lo sfilare delle persone che entrano ed escono dalla sinagoga. La curatrice della mostra, Maria Yesimova, ha indicato che potessero essere membri dell’apparato governativo di sicurezza, pronti a prendere nota dei nomi di che frequentasse quel luogo. Immagini e riflessioni che turbano la visita e che ci fanno ricordare, ancora una volta, la difficile, tragica e complessa storia degli ebrei di Russia. Ma questo è un altro capitolo
 


Copyright © Simonetta Sandri

Le fotografie esposte sono copyright © Sepherot Foundation

giovedì 17 ottobre 2013

Mari del sud: Sergio Endrigo



Mari di poesia: Sergio Endrigo
di William Molducci

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Mari del Sud è il disco del 1982 di Sergio Endrigo, conosciuto dai collezionisti per la copertina disegnata da Hugo Pratt, in cui appare Corto Maltese, il marinaio che alla ricchezza preferisce libertà e fantasia; un moderno Ulisse capace di fare viaggiare il lettore nei luoghi più affascinanti del mondo.
La recensione di questo album è un'occasione per intraprendere un'esplorazione nel mondo di Endrigo, un pellegrinaggio che porta inevitabilmente molto lontano, dato lo spessore e la notorietà del personaggio. Il viaggio inizia dall'Italia per approdare in Istria, sua terra natale, per giungere sino al Brasile, terra di poeti e samba.
Spesso la curiosità ci spinge a conoscere libri, film o dischi poco conosciuti o addirittura dimenticati, qualche volta si ha la fortuna di scoprire opere belle e inaspettate, come nel caso di questo lavoro del cantautore istriano. Il disco in questione non ha riscosso un grande successo di vendite, soprattutto perché fu poco pubblicizzato dalla Fonit Cetra, la sua casa discografica, ma grazie anche al contributo artistico di Hugo Pratt, non è stato dimenticato.



Mari del Sud non ha bisogno di sponsor, si promuove da solo grazie alle musiche composte da Endrigo e agli ottimi testi scritti dalla moglie Maria Giulia Bartolocci (conosciuta anche con lo pseudonimo di Plumrose) e da Sergio Bardotti, alcune volte anche a quattro mani.
Le registrazioni dell'album terminarono alla mezzanotte di domenica 11 luglio 1982, nello stesso giorno in cui la Nazionale di calcio guidata da Enzo Bearzot, vinse il campionato del mondo in Spagna.
Mari del Sud si distingue dal disco precedente (… e noi amiamoci), per la scelta di affidare gli arrangiamenti a Fio Zanotti, il quale in quel periodo stava collaborando con artisti quali Loredana Bertè, Ornella Vanoni e Milva e che in seguito lavorerà con Adriano Celentano, Zucchero, Claudio Baglioni, Francesco De Gregori e Renato Zero. In parole povere, con il gotha della musica leggera italiana. L'apporto creativo di Zanotti migliora l'utilizzo della ritmica negli arrangiamenti, creando un sound in linea con le tendenze di quegli anni.
Due dei testi di Mari del Sud, portano la firma di Sergio Bardotti: Si comincia a cantare e I barbari. La collaborazione tra Bardotti ed Endrigo è di lunga data, suoi i primi testi nell'album del 1963, che porta lo stesso nome del cantautore istriano, da cui fu tratto il singolo Era d'estate.

Inizia il viaggio

Nel 2002, in occasione della pubblicazione del CD prodotto dal Club Tenco, in cui si rese omaggio a Endrigo, Bardotti si è esibito anche come cantante (esordì nel 1961 come cantautore con lo pseudonimo di Sergio Dotti). L'album si intitolava Canzoni per te – dedicato a Sergio Endrigo e ospitava artisti del calibro di Bruno Lauzi, Marisa Sannia, Arsen Dedić, (cantautore croato, che ha inciso il live con Gino Paoli, tratto dal loro concerto alla sala Vatroslav Lisinski di Zagabria nel 2005), Roberto Vecchioni, Gino Paoli ed Enzo Jannacci. Bardotti ha eseguito il brano intitolato La casa, inserito come bonus track nella ristampa in CD dello storico disco del 1969: La Vita, Amico, È L'Arte Dell'Incontro, firmato da Sergio Endrigo, Vinicius de Moraes, Giuseppe Ungaretti, Toquinho e Sergio Bardotti, con gli arrangiamenti di Luis Enriquez Bacalov.
Molti degli artisti che incisero le canzoni di Endrigo nel 2002, parteciparono successivamente al progetto Ciao Poeta, uno spettacolo in suo omaggio tenutosi l'11 gennaio 2006 all'Auditorium Parco della Musica di Roma. Sergio Bardotti fu il direttore artistico della manifestazione, con la collaborazione di Claudia Endrigo (la figlia), per la regia di Emanuele Scaringi.
Arsen Dedić, e Sergio Endrigo erano amici e si sono esibiti insieme nelle numerose manifestazioni musicali, che si tenevano in Jugoslavia sin dai primi anni sessanta. Nel 1990, grazie ad Arsen, Endrigo ha tenuto due concerti a Pola, nel Teatro popolare istriano e all'ACY marina.
Senza entrare nel merito del dramma vissuto dagli italiani d'Istria, ricordiamo che 1947 è il brano che il cantautore istriano ha dedicato alla sua città natale, una canzone contro la guerra, anche se non se ne fa esplicito riferimento. Si tratta di un brano struggente, dove tra nostalgia e rimpianto Endrigo parla dell'esodo da Pola, compiuto insieme alla sua famiglia: “Da quella volta non l'ho rivista più, cosa sarà della mia città, ho visto il mondo e mi domando se, sarei lo stesso se fossi ancora la... come vorrei essere un albero che sa, dove nasce e dove morirà”.
A questo proposito citiamo quanto ha dichiarato il regista istriano Luka Krizanac, durante l'intervista, che ci ha recentemente concesso: Per quanto riguarda le ragioni storiche dell'Istria cito una cosa che mi diceva mia nonna - sono nata austriaca, mi sono sposata italiana, sono andata in pensione come jugoslava, e morirò croata...”. E stiamo parlando soltanto del ventesimo secolo.
Endrigo ha inciso due brani in lingua croata: Kud Plove Ovaj Brod (dove va la nave) di Esad Arnautalic e Luca Juras (presentata al Festival di Spalato del 1970) e Više Te Volim (Ti amo di più), dello stesso Endrigo e del musicista croato Zdenko Runjic, noto per avere scritto la canzone Skalinada, portato al successo da Oliver Dragojević.

Anfiteatro romano di Pola (Copyright William Molducci)
 
In suo ricordo numerosi artisti croati hanno eseguito Kud Plovi Ovaj dal vivo, tra questi Rade Šerbedžija e Kemal Monteno, oltre allo stesso Arsen Dedić. Monteno e Šerbedžija, sono artisti molto seguiti in Croazia e nelle altre repubbliche della ex-Jugoslavia. Rade Šerbedžija è noto anche per l'importante carriera di attore in film quali Prima della pioggia – Leone d'Oro alla Mostra di Venezia 1994, Il Santo, Batman Begins e Henry Potter e i doni della morte 1.

Mari del sud

Mari del Sud si apre con il brano intitolato Mal d'amore (Endrigo-Bartolocci). Una delicata melodia, introdotta dal pianoforte, accompagna un testo poetico e ispirato, che racconta lo stato d'animo e i turbamenti dei primi innamoramenti. Il testo descrive le speranze, le ansie e le attese, che crea un nuovo amore: “Due gocce, una goccia appena, un fiume, un fiume in piena, la pioggia a primavera. Qualcosa nascerà, un'inquietudine improvvisa, ti butterà giù senza difesa, e sai cos'è? Mal d'amore, mal d'amore... Braccia aperte da riempire, il tuo corpo da calmare, libri bianchi da scoprire...”. Se il pianoforte aveva introdotto le prime strofe, l'oboe suonata da Paolo Cardini, supportata dalla ritmica e dal controcanto di Ornella Vanoni, donano al brano forza e allo stesso tempo grazia.
Mari Del Sud, dal ritmo allegro e sincopato, aperto dal flauto di Pan di Giampiero Lucchini e guidato dalla batteria, è una critica alle cosiddette vacanze organizzate, dove tutto è prestabilito, finto e spesso ingannevole: “Si va in carovana, verso il Nirvana, la felicità, mani strette al volante verso nuovi orizzonti promesse in contanti, e in tasca bugie e fotografie delle agenzie...” . Un'insidia che può trarre in inganno chiunque, anche chi ha lo spirito di un marinaio avventuriero: “… stupida estate, inganni anche me, che conosco i viaggi, i miraggi e le imprese di Corto Maltese...”.
Amici nel bene e nella fortuna, amicizia che forse non è più in grado di sostenere le difficoltà in un'età più matura. Queste considerazioni, un po' amare, sui limiti dell'amicizia è il tema di Amici, il brano scritto da Endrigo e da sua moglie: “... se tornasse la paura, quella antica, quella vera, giocheresti la tua pace, per nascondermi in cantina, rischieresti giù in prigione, una lima dentro il pane. Meglio non pensarci più, famiglia, figli, sì lo so...”. Forse è però soltanto un momento di stanchezza e di nostalgia, l'amarezza è temporanea: “... non è niente, sarà stanchezza, e tra poco è già mattina, ricomincia la settimana, forse è solo un po' di nostalgia, un momento di debolezza, per gli amici qualsiasi cosa, un bicchiere e poi si va...”.
Francesco Baracca, il testo, scritto a quattro mani (Bartolocci-Bardotti), descrive le gesta e gli ultimi istanti di vita del noto aviatore romagnolo, abbattuto da un colpo proveniente da terra (a questo proposito esistono diverse contrastanti versioni) e quindi eroe immacolato dei cieli: “... ma un colpo basso della fanteria, e già perdeva quota la sua vita, un fuoco d'artificio, una cometa, come un uccello ferito che cadendo, diventa solo piume e vento.... La visione poetica del testo descrive l'aviatore mentre si alzava nel cielo “come un allegro valzer romagnolo, e di lassù la terra si mostrava, come una donna felice gli si apriva”. Poesia ispirata e inusuale nel panorama della canzone italiana.

i "Mari del sud" sono anche in Istria. Photo Copyright by William Molducci
Ritmo swing per Tip Tap, un brano ironico, che evidenzia come Endrigo prediliga la musica italiana, rispetto ai ritmi di provenienza americana: “Si lo so, c'è più musica in America, perché la tutto marcia a suon di musica, se una donna americana ti lascia e va canti un blues e quando non basta non sbattono la testa, ma battono punta e tacco in un attacco di tip-tap”. I testi sono scritti a quattro mani da Bartolocci e Bardotti, una formula che sembra funzionare ed esaltare il loro lato ironico: “Isernia se tu fossi in California con quanto swing suoneresti le campane e quanti ballerini e quante luci colorate, quanti trombettisti neri nella banda comunale a sfilare lungo i tuoi boulevards... e se ti serve uno struscio, benedici anche il liscio e buonanotte Broadway . L'arrangiamento si differenzia dagli altri brani, per la forte presenza degli ottoni, con Enzo Feliciati ed Enzo Sufritti alle trombe, Sandro Conini al trombone, Tony Sherrett sax tenore e Rudy Trevisi con il sax contralto.
Endrigo canta insieme a una giovanissima Ivana Spagna nel brano intitolato Labirinto (testo di Bartolocci), domandandosi quali siano gli avvenimenti che determinano i percorsi della vita: “In quali stanze, in quali oscuri corridoi, si perde il segno, o forse il sogno, che tracciamo noi, i nostri gesti e le parole, le emozioni, i bei disegni sul futuro... con che magia, con quale perfida alchimia, la rosa rossa, la promessa, si trasforma in nostalgia...”. Spagna ha cantato anche nei cori della canzone Mari del sud, insieme ad Angela Bai e Antonella Pepe. Indovinato l'inserimento del sax contralto di Rudy Trevisani.
Pandora è firmato da Endrigo e da Hugo Pratt, si tratta di una ballata con un testo ispirato all'albo di Corto Maltese intitolato Una ballata del mare salato, dove Pandora è la nipote di un ricco inglese, mentre suo padre si è dato alla pirateria facendosi chiamare il Monaco. Sulla stessa nave dove è tenuta in ostaggio, Pandora incontrerà e si innamorerà di Corto Maltese, ma quando alla fine tornerà in Australia sposerà un altro uomo. Pandora donna che viaggia, donna che lavora... donna che ti sguscia, che scompare … sai com'è... Pandora lasci solo la speranza a chi ti adora, come me”. Il brano si avvale del violino di Tino Fornai.
La canzone I barbari pone l'attenzione sulla violenza, sempre più presente nella vita di tutti i giorni. Anche i testi di questo brano sono stati scritti a quattro mani da Maria Giulia e Bardotti. Si tratta di una ballata lenta e amara, gli arrangiamenti sottolineano questi passaggi, con alcune trovate di Zanotti, come il suono prolungato di una sirena d'allarme. Il finale non apre alla speranza, anzi, il contrario : “... e mentre stai morendo, ti offrono una sigaretta e con gli occhi spaventati ti tagliano la testa, con il presagio scuro, è loro adesso è loro, il mondo del futuro”.
L'ultimo brano del disco si intitola Si comincia a cantare, in questa canzone Endrigo parla di sé e dei motivi per cui continua a cantare e a scrivere musica: “ Si comincia a cantare, per parlare a qualcuno, solitudine a parte, non hai proprio nessuno, si comincia a cantare, con parole d’amore, per rapire e incantare e meglio ingannare le ragazze in fiore, e si canta e si vola, tra le cose più belle, tra una pallida luna e un po’ di polvere di stelle...”. Il testo è scritto da Maria Giulia e da Bardotti, tra le firme del brano c anche quella di Zanotti, oltre a Endrigo.
Grazie a Internet il disco Mari del sud può essere facilmente reperito sotto forma di file digitale su iTunes, CD e anche nel vecchio vinile, tramite eBay.

Il monumento che la città di Pola ha dedicato a Sergio Endrigo. Photo Copyright W. Molducci
Ancora Sergio

Si comincia a cantare è anche il titolo dell'album postumo di Sergio Endrigo, pubblicato nel 2010 da onSale music, che contiene ventiquattro tracce registrate nel 1959 e firmate da famosi autori (tra cui Migliacci, Bindi, Calabrese e Modugno). In alcuni brani Endrigo appare con i suoi pseudonimi: Sergio Doria, Notarnicola e Riccardo Rauchi e il suo complesso.
Nel 2012, con l’aiuto dell’Unione Italiana, del municipio di Pola e della Regione istriana è stato realizzato un CD tributo intitolato 1947 – Hommage a Sergio Endrigo, che contiene una trentina di brani scelti con cura tra i più conosciuti, eleganti e riflessivi, interpretati da artisti polesi (con l'eccezione degli istriani Arsen Dedić e Massimo Savić).
Il 30 maggio 2013, in occasione dell'anniversario dell''80° anno dalla nascita di Endrigo (15 giugno 1933), Radio Capodistria ha trasmesso il concerto registrato al Teatro di Capodistria in occasione del Forum Tomizza, dedicato alla sua musica.
Il 26 luglio 2013 il Folk Festival, che si svolge a Spilimbergo in provincia di Pordenone, ha dedicato una serata a Sergio Endrigo, invitando il cantautore Simone Cristicchi a cantare accompagnato dalla Mitteleuropa Orchestra del Friuli Venezia Giulia diretta dal m° Valter Sivilotti. L'evento è stato trasmesso su RAI 1 il 15 agosto, purtroppo in seconda serata alle 23.30, ma è tuttora visibile, in versione integrale, su Youtube.
La città di Pola ha dedicato a Endrigo una splendida scultura ispirata alla famosa canzone L'Arca di N. L’opera, dell’artista Ciro Maddaluno, è stata realizzata dallo scultore Eros Cakic, con il contributo degli architetti Davor Matticchio e Zvonimir Vojnič.
Durante il breve viaggio nei “mari di poesia”, abbiamo incontrato artisti, poeti, luoghi e suoni che la memoria aveva per un po' dimenticato, ma di cui dobbiamo riappropriarci. Chiudiamo con due bellissime frasi, la prima tratta da Canzone per te, che nel 1968 vinse il Festival di Sanremo: “... la solitudine che tu mi hai regalato, io la coltivo come un fiore”. Il secondo testo è tratto dal brano Poema degli occhi, con le parole di Vinicius de Moraes: “... amore mio che occhi i tuoi, quanto mistero negli occhi tuoi, quanti velieri e quante navi, quanti naufragi, negli occhi tuoi...”.

Si ringrazia Claudia Endrigo per il supporto dato durante la realizzazione dell'articolo.
Le fotografie dei panorami istriani sono Copyright © William Molducci.
Tutti i marchi riportati appartengono ai legittimi proprietari.