domenica 29 settembre 2013

La faccia del mare (Odyssea)


La faccia del mare
di William Molducci

Massimo Ranieri, dopo avere realizzato l'album Meditazione insieme al musicista brasiliano Eumir Deodato, le cui registrazioni si protrassero per ben quattro mesi dal settembre 1975 al gennaio 1976, si cimentò in una nuova sperimentazione musicale, con il progetto La faccia del mare (Odyssea).
Si tratta di un concept album incentrato su l'Odissea di Omero, da cui trae il respiro epico per realizzare undici brani che rappresentano il viaggio della vita, in una una serie di avventure vissute tra mare e amore. Il viaggio è chiaramente autobiografico, parte idealmente dal golfo di Napoli per approdare a New York, dove tra delusioni e tradimenti, il nostro moderno Ulisse trova la forza e il coraggio di intraprendere una carriera di successo.
I testi furono scritti da Vito Pallavicini insieme a Michelle Vasseur (i due avevano già collaborato insieme, scrivendo le parole del brano Gran Premio, portato a Sanremo da gli Albatros di Toto Cutugno). Le musiche portano tutte la firma di Gianni Guarnieri ad eccezione de Il cuore del mare, scritta insieme a Vito Pallavicini e a Victor Bacchetta (conosciuto con lo pseudonimo di Victor Bach), che curò anche gli arrangiamenti dell'album.
Bacchetta per molti anni ha collaborato con Mina e Al Bano in qualità di pianista e arrangiatore, mentre Pallavicini è conosciuto per avere scritto brani quali Azzurro (portata al successo da Adriano Celentano), Io che non vivo senza te, Non ti bastavo più e Tripoli 69 per Patty Pravo, Messico e nuvole per Enzo Jannacci e La filanda, interpretata da Milva. Gianni Guarnieri ha scritto le musiche per numerose canzoni eseguite da Anna Identici, Ornella Vanoni, Joe Dassin e Rosanna Fratello.
Questo gruppo di autori si è dimostrato creativo e ben assortito, insieme hanno scritto un disco perfettamente adatto alle qualità canore ed interpretative di Massimo Ranieri. Il cantante napoletano a sua volta si è proposto nei panni di un giovane Ulisse con toni interpretativi convinti e suggestivi, accompagnati da efficaci arrangiamenti orchestrali, in cui si muove completamente a suo agio.


Odyssea
L'inizio del viaggio alla ricerca di se stesso e della sua libertà, coincide con il brano Il cuore del mare: “... è la mia libertà, che vado a cercare, ma tu, però, aspettami e non tradirmi mai... amore, amore mio, questo è il mattino dell'addio... partire è un po' come morire, ma morire e non capire è soffrire, e senza andare conta poi tornare?”.
Se partire è un po' come morire, la promessa del ritorno viene pronunciata nel brano intitolato Penelope, colmo di rimpianti d'amore e di amicizie perdute: “... tornerò, oh Penelope, vedrai che tornerò. I tuoi occhi danzano sul mare, in un tramonto arancio che davvero intenerisce, il cuore... e chissà... chissà se Don Giulio viene ancora a trovarti, per tenerti lontano dal diavolo... chissà... se come diceva sempre, ti ha tenuta d'acconto per me....
Nel disco c'è un brano che si eleva sopra tutti gli altri, si tratta di Stephanos, in cui Massimo Ranieri recita nel parlato iniziale con emozionante convinzione e anche con un po' di mestiere. Le esperienze teatrali e soprattutto cinematografiche con il regista Mauro Bolognini, con cui aveva recitato nei film Metello, Imputazione di omicidio per uno studente e Bubù, si vedono e soprattutto si “sentono”. La canzone parla del fedele cane Argo, che lo riconosce e lo accoglie al suo ritorno:Argo... ehi Argo... Non mi ha riconosciuto più nessuno, ma tu si... sei diventato il cane dei pescatori... o forse all'alba hai continuato ad aspettarmi... Argo, caro, vecchio fedele e meraviglioso Argo”. Mentre i pescatori tirano su le reti e cantano la canzone di Stephanos, Argo muore, proprio nel momento del ritorno del suo padrone: “Argo, non puoi lasciarmi così... e Stephanos sette mari attraversò, per cercare una donna, che non avesse cuore che per lui”.
Non mancano le citazioni autobiografiche e quindi il ricordo del mare del golfo di Napoli, che per Ranieri/Ulisse resta quello preferito e di cui, nel suo viaggio senza fine, ne sente continuamente la mancanza, come nei versi de La faccia del mare: “... il mare... io ho la faccia sua, lui mi è cresciuto dentro, ed è per questo che non potrò restare. Il mio, non assomiglia sai, a questo tuo mare, ha uno sguardo che, tu non puoi capire, il mio mare...”.
Armonie melodiche introducono il brano I lotofagi, che inizia con questi versi: “Atmosfera di acquario, suoni non sonorizzati, corpi già scorporizzati: si cerca, l'oblio...”. Nel IX libro dell'Odissea si racconta di come Ulisse giunse presso il popolo dei Lotofagi dopo nove giorni di tempesta, che colse lui e i suoi uomini presso Capo Malea, spingendoli oltre l'isola di Citera. Gli indigeni accolsero bene i compagni di Ulisse e offrirono loro il dolce frutto del loto, l'unico alimento di cui disponevano, che però causava la perdita della memoria, quindi l'oblio.
Il testo scritto da Vito Pallavicini e da Michelle Vasseur descrive metafore surreali che coinvolgono varie figure quali la donna, che mettendo il piede sopra ad un cielo artificiale, cade nel vuoto oppure il passero intento a volare verso cieli veri o come il pesco, nel momento in cui fiorisce e mette dita rosa dentro il blu...
I lotofagi moderni cercano nei loro inverni le “rose meccaniche”, in un evoluzione tecnologia, che si prevede sempre più frenetica.
Ulisse è vicino ad arrivare alla meta, ma in questa “odissea” le sirene incantatrici diventano dirottatori dalle facce brutte, come recitano i testi del brano intitolato Dirottamento, che musicalmente dona qualche concessione alla disco music imperante in quel periodo: “E pensare che un'ora sola e... ed ero già a casa mia. E pensare che lo stesso sole è sugli alberi della mia via... ecco sono qui, finalmente sono qui, sono qui...”.
Il mare è il protagonista anche del brano intitolato New York City, dove tagliato in due da abbagli di neon, Ulisse alias Nessuno sente il vuoto della grande mela; “Qui i montoni ci vengono tutti a sbattere uno ad uno, ma tu sei New York ed io non sono “Nessuno”... Ho nella mente l'idea del mare, tu non me la puoi levare; se chiedi di me, domanda di “Nessuno”. Qui la grande mela è Polifemo il ciclope, da cui Ulisse vuole scappare, sentendosi tradito da questa città: “... sparo nei fari, ti devo accecare, così io potrò scappare: al buio anche tu non sai che fare... New York City: quanti ne hai finiti... New York City quanti ne hai traditi”. Nel 1964, appena tredicenne, con lo pseudonimo di Gianni Rock, il cantante napoletano partì per gli Stati Uniti come spalla di Sergio Bruni, in una serie di concerti che lo videro debuttare sul palcoscenico all'Academy di Brooklyn. Come riportato nella sua biografia, il sogno di diventare ricco e famoso in America si frantumò presto e fu costretto a tornare in Italia.
Ottoni, grida e grancassa introducono il brano Sole sulla banda, con toni allegri e festaioli tipici della banda di paese nei giorni di festa, un vero e proprio preludio del ritorno a casa: “Il mio domani è qua, scintille tremule fa il sole, il sole... Penelope, Penelope, sono qui...”.
Odyssea è il brano che da il titolo al disco e che racchiude la sintesi del progetto: “Ne ho passate tante, sai. E' stata un'odissea, la mia, oh, quanti naufragi... son segnati sulla faccia mia... Li hai già visti, lo so...”. Come già detto il mare è la fonte di ispirazione di tutto il disco, un mare che rappresenta un microcosmo di passioni, donne, marinai, dirottatori, avventurieri sprezzanti del pericolo. Questo brano viene eseguito magistralmente da Ranieri, accompagnato da un crescendo musicale praticamente senza fine, che si conclude soltanto in un successivo brano strumentale, intitolato per l'appunto Finale.


Conclusione
La faccia del mare (Odyssea) è una delle migliori produzioni di Massimo Ranieri, alla cui base c'è un progetto artistico e un lavoro di gruppo di altissimo livello. Purtroppo l'album rimane sconosciuto alla maggiore parte delle persone, in quanto nel periodo in cui fu realizzato i cantanti di musica leggera tradizionali erano in forte declino di popolarità.
Resta la consolazione che oggi, dopo 35 anni, l'album si può facilmente rintracciare sotto forma di vinile originale (eBay), file digitale (iTunes) o CD, un'opportunità che non ebbe nel 1978.

Copyright © by William Molducci

venerdì 20 settembre 2013

Vivian Maier, la misteriosa bambinaia fotografa, ora a Mosca


Street photography 2: Vivian Maier, la misteriosa bambinaia fotografa, ora a Mosca
Brothers Lumiere Center of Photography, Mosca, Bolotnaya Naberezhnaya 3, bdg 1
di Simonetta Sandri
4 settembre-27 Ottobre 2013

Quando ho preparato il primo testo sulla Street Photography, immedesimandomi a fondo e con un po’ di modestia, negli scatti dei grandi fotografi camminatori, come amo definirli, mi ero imbattuta per caso in Vivian Maier che avevo solo citato di sfuggita, gettando quasi un amo alla vostra curiosità. Allora non avevo troppo approfondito il misterioso personaggio, che, tuttavia, mi aveva profondamente colpito e lasciato quasi un senso di vuoto che si sarebbe colmato solo con la decisione di rinviare la ricerca ad altro, più idoneo, tranquillo e calmo momento. Immaginatevi dunque la mia sorpresa e curiosa eccitazione quando aprendo il The Moscow Times del 29 agosto, alla pagina 12 What’s on, ovvero il calendario settimanale della vita culturale moscovita (ancora lo conservo), leggo che dal 4 settembre il Centro Fotografico Fratelli Lumière della capitale avrebbe ospitato varie fotografie della Maier, per la prima volta in Russia. Dovevo andare al più presto, anche se, a malincuore (la trepidazione era tanta, troppa), avrei dovuto aspettare una decina di giorni, dovendo prima partire per una pillola di ultima, tenera e romantica vacanza romana e concludere alcuni importanti impegni personali e lavorativi. Roma ne era valsa la pena, davvero, dunque ho atteso alla fine senza troppa fatica, ma il ritorno in Russia sarebbe stato accolto da questa novità. Ecco allora che, un sabato mattina uggioso e piovoso, mi armo di ombrello, impermeabile, scarpe da tennis, cartina ed indirizzo manoscritto e cerco il Centro Lumière. Trepidante.


So solo che devo attraversare il ponte sulla Moscova vicino alla Cattedrale di Cristo il Redentore, non lontano dalla metropolitana Kropotkinskaya, e dirigermi nel vero ed unico centro culturale della città, vivo, pullulante di idee e colori. Cammino curiosa verso un posto che troverò davvero magico, la fabbrica di cioccolato Einem, aperta nel 1867 dai tedeschi Theodor Ferdinand von Einem e Julius Heuss, nazionalizzata nel 1918 e, nel 1992, ribattezzata Ottobre Rosso. Nel 2007 lo stabilimento fu spostato a nord della città e la centralissima area riconvertita secondo le esigenze più moderne di una capitale in vorticosa trasformazione. Dal 2010, Ottobre Rosso - il cui nome ben si addice se si osservano i bricchi color rosso acceso - non ha più niente a che fare con il cioccolato, se non per il nome che è rimasto sulle classiche tavolette che si acquistano come souvenir.
Mi viene in mente il bambino Charlie Bucket dell’omonimo film con Johnny Deep, pur non avendo nulla a che fare, lo so, ma questo posto fa pensare ad una favola buona, dal finale dolce e zuccherino, ignoro il perché. Pura e semplice fantasia libera e liberata …
Oggi l’area di Ottobre Rosso, che si trova di fronte all’imponente monumento di Pietro il Grande che svetta su un’altrettanto imponente nave, ospita centri di fotografia dal forte e penetrante odore di pellicola, gallerie moderne e alternative, con esposizioni temporanee, il bar-biblioteca del Museo di fotografia Lumiere, il suo fornito bookshop. Questo centro è uno spazio per mostre, qui stiamo andando ad incontrare Vivian. Compro il biglietto, 300 rubli, che conserverò con alcune foto acquistate nel bookshop sulla Mosca degli anni Quaranta - Settanta, ed entro, curiosa di ammirare le 50 fotografie esposte, rigorosamente in bianco e nero, quasi tutte risalenti agli anni Cinquanta. Ho preso alcune fotografie della Mosca di quegli anni per cercare un filo conduttore. Lo troverò con attenzione, magari in uno dei prossimi testi che cercherò di pensare per voi.

 
Torniamo a Vivian, le cui immagini spesso sono state comparate a quelle di Henri-Cartier-Bresson (ammetto che concordo con il paragone) e le cui composizioni avvicinate a quelle dell’ungherese André Kertész. Si dice che fosse amica dell’austriaca Lisette Model ma nella realtà si sa pochissimo della sua vita, avvolta quasi completamente dal mistero. Nel primo testo avevo indicato che era nata a New York, pare invece fosse nata Francia il 1 febbraio 1926, arrivata negli Stati Uniti negli anni '30, dove ha vissuto, a New York, lavorando come commessa in un negozio di caramelle. Dagli anni '40 si era trasferita a Chicago, dove era stata assunta come bambinaia in una famiglia del North Side.

Appassionata di cinema europeo, aveva imparato l'inglese andando a teatro, vestiva abiti e scarpe da uomo e indossava enormi cappelli. Una donna che non amava parlare, così la ricordano gli impiegati nello storico negozio di apparecchiature fotografiche di Chicago Central Camera, che ha trascorso i suoi ultimi giorni in una casa pagata dai tre ragazzi che aveva accudito fino agli anni '60. Sono loro, raggiunti da John Maloof, fotografo per passione e agente immobiliare per professione in cerca di materiale fotografico per la scrittura di un libro sui quartieri di Chicago, a raccontare di una donna misteriosa, socialista, femminista e anti-cattolica, che scattava fotografie in continuazione. Caduta in disgrazia, i suoi mobili vennero messi all'asta e 40.000 negativi, dei quali circa 15.000 ancora all'interno di rullini non sviluppati, furono acquistati per poche centinaia di dollari da Maloof. È lui a decidere di far conoscere al mondo intero l'opera di Vivian pubblicando gran parte delle immagini acquisite sul blog Vivian Maier - Her discovered work (vivianmaier.blogspot.com), sempre più frequentato. Sboccia così, a metà tra leggenda e virtualità, il mito di Vivian Maier, la fotografa del mistero della quale si conoscono rare notizie biografiche e il cui viso si intravvede solo in alcuni autoscatti. Si tratta di 40 anni di immagini che sfilano, pensate quanto ancora ci sia da vedere. A Mosca, oggi, vi sono 50 splendide fotografie, peraltro acquistabili in originale, di anziane impellicciate che guardano stizzite l'obiettivo, 


di uomini con i cappelli che fumano sigari, di bambini che piangono accuditi da mamme attente, di donne eleganti che aspettano l’autobus (forse), 



di mani di innamorati che si intrecciano, come le mie, le nostre.

E’ davvero un grande emozione passeggiare per quelle strade in bianco e nero e ritrovarsi ancora bambini fra le braccia accoglienti e calde dei genitori, osservando poi, da lontano, due poliziotti che trascinano un vecchio signore che non ha poi cosi l’aria da criminale ma solo le sembianze di un’antica sbornia.

Il mistero di questa donna introversa rimane grande, a me piace l’idea di lasciarlo così, anche se tanto si scriverà ancora sulla sua vita, forse perché lei davvero voleva questo, forse perché restare anonimi talvolta aiuta le vite difficili e solitarie. Tuttavia, rivelare una tale anima nascosta è stato sicuramente un grande regalo per tutti, anche se in molte immagini pare celarsi una profonda sofferenza, attenuata dalla curiosità e dall’amore per la vita. Cosi dunque voglio immaginarmi Vivian, chiusa e riservata ma allo stesso tempo tenera e sensibile alle sofferenze della strada, attenta all’essere umano ed alla sua storia fatta anche di tanti gesti teneri e sorpresi.
Perché la sorpresa e la tenerezza restano il cuore pulsante di ogni vita.
Con questa forte sensazione sono allora uscita dalla mostra, incamminandomi nuovamente, a testa china perché sovrappensiero, per le strade di Ottobre Rosso che visiterò di nuovo alla ricerca di altre idee.
Grazie ancora a voi per avermi accompagnato in questa passeggiata.
Il film Finding Vivian Maier è stato presentato al Toronto International Film Festival il 9 e 10 settembre 2013. 

 
Le foto incluse nel testo, che sono esposte alla Mostra di Mosca (curata da Anastasia Lepikova), sono tutte © Maloof Collection Ltd.

English Version:

Vivian Maier, the mysterious nanny photographer, now in Moscow
Brothers Lumiere Center of Photography, Mosca, Bolotnaya Naberezhnaya 3, bdg 1
by Simonetta Sandri
4 September-27 October 2013


When I prepared the first text on the Street Photography, humbly identifying myself with the shots of the great photographers-walkers, as I love to define them, I stumbled on Vivian Maier, who I gave only a passing mention, to just arouse readers’ curiosity. I then did not go too deep in this mysterious personality, which struck me intensively and left an empty space inside me that could be filled only by deciding to postpone the research for another, more suitable, quiet and calm moment. Imagine then my surprise and curious excitement when opening The Moscow Times of 29 August, at page 12, in the section What's on, or the weekly calendar of cultural life in Moscow (I still keep it), I read that, starting on September 4, the Center of Photography Lumière Brothers of the Capital would host, for the first time in Russia, various photographs of Maier. I felt immediately the need to go as soon as possible, even if, unwillingly (the trepidation was too great !), I had to wait for about ten days, having to leave for Italy to enjoy a last twinkle of a tender and romantic Roman holiday and finalize some important personal and business commitments. Rome was worth visiting, it did not take me much effort to wait, and at the same time the return to Russia was eagerly awaited by this news. Here then, on a gloomy and rainy Saturday morning, I armed myself with an umbrella, raincoat, tennis shoes, map and manuscript address and I went out to find the Lumière Center. 
 
My only information was that I had to cross the bridge over the Moscow River near the Cathedral of Christ the Savior, not far from Kropotkinskaya metro station, and make my way to the true and unique cultural center of the city, alive, bubbling with ideas and colors. I curiously approached a place, which is really ”magic”, the Einem chocolate factory, opened in 1867 by the German Ferdinand von Einem and Julius Theodor Heuss, nationalized in 1918, and renamed after the “Red October” in 1992. In 2007 the factory was moved to the north of the city and the central area transformed to satisfy the needs of a modern capital in a rapid and whirling transformation. Since 2010, the Red October - the name suits it perfectly if you look at the bright red bricks - has nothing to do with chocolate, if not for the name remaining on the classic bars of chocolate that you can buy as a souvenir. The child Charlie Bucket from the movie with Johnny Depp comes to my mind, even though he has nothing to do with the place. This place is a reminiscent of a good story, ending in a sweet and sugary way, I do not know why. Pure and free fantasy was released... Today, the area of the Red October, which is located opposite the impressive monument of Peter the Great that stands on an equally impressive ship, hosts centers of photography with a strong and penetrating smell of film, modern and alternative galleries, hosting temporary exhibitions, the library Bar of the Museum of Photography Lumière, and a bookshop with a variety of books. This center is a place for exhibitions; here we are going to meet Vivian. I bought a ticket for 300 rubles, to keep with some photos on Moscow of Forties - Seventies, purchased in the bookshop, and I entered the exhibition hall curious to see the 50 photographs displayed, strictly in black and white, most of them dating back to the Fifties. I took some photographs of Moscow of those years to find a common thread. I will look for it with attention, perhaps in one of the next articles that I will try to think for you.
Let's go back to Vivian, whose images have often been compared to those of Henri-Cartier-Bresson (I admit that I agree with the comparison) and whose compositions have been considered closer to those of the Hungarian André Kertész. It is said that she was a friend of the Austrian Lisette Model, but in reality very little is known of his life, almost completely shrouded in mystery. In the first text published I had indicated that she was born in New York, but it seems instead that she was born in France on February the 1st, 1926, arrived in the U.S. in the '30s, where she lived in New York, working as a clerk in a candy store. The '40s, she moved to Chicago, where she worked as a nanny for a family in the North Side.
Passionate about European cinema, she learned English by going to the theater. She was used to dressing gowns and men's shoes and wearing huge hats. A woman who did not like to talk, so the employees in the historic camera store in Chicago Central Chamber remember her, a woman who spent her last days in a house paid for by the three boys who had cared for until the '60s. Joined by John Maloof, a photographer by passion and real estate agent by profession in search of photographic material for writing a book about Chicago neighborhoods, they described her as a mysterious woman, socialist, feminist and anti-Catholic, taking photographs continuously. Disgraced, his furniture was auctioned and 40,000 negatives, of which about 15,000 still in undeveloped rolls were purchased for few hundred dollars by Maloof. It was his decision to make known to the world the work of Vivian publishing most of the images acquired through Blog Vivian Maier - Her Discovered work (vivianmaier.blogspot.com), more and more popular. It blooms so, halfway between legend and virtuality, the myth of Vivian Maier, photographer of the mystery, whose known biographical information are rare and face is barely visible only in a few self-portraits. It is 40 years of images that parade: think how much more there is to see [!]. In Moscow, today, there are 50 beautiful photographs, purchasable in original, of old women with fur coats looking angry to the lens,
of men with hats who smoke cigars, of crying babies cared for by attentive mothers, elegant women waiting for the bus (maybe), 

of hands of lovers intertwined, like mine, ours. 

It is really a great feeling to walk through those streets in black and white and children find themselves still cozy and warm in the arms of their parents, then watching from afar, two policemen dragging an old man who has not so the air of a criminal but only the semblance of an old hangover.  
The mystery of this woman introverted remains great; I like the idea to leave it, even if much more about his life will be written. I like the idea of the mystery left perhaps because she really wanted this, perhaps because sometimes to remain anonymous helps the difficult and lonely lives. However, to reveal such hidden soul was definitely a great gift for everyone, even if it seems that in many images there is a hidden suffering, tempered by curiosity and love for the life. So in this way I want to imagine Vivian, closed, discreet and reserved, but at the same time tender and sensitive to the sufferings of the street, caring human being and its story made of many tender and surprised gestures. Why the surprise and tenderness are the beating heart of all life. With this strong feeling I went out from the exhibition, walking back again, head bowed because in thoughts, to the streets of Red October I will visit again looking for other ideas. Thanks again to you for accompanying me on this walk.
Finding Vivian Maier film was screened at the Toronto International Film Festival on 9 and 10 September 2013.


Text Copyright © by Simonetta Sandri