Anna
Foa, Portico
d'Ottavia 13, Una casa del ghetto nel lungo inverno del '43,
Laterza, 2013, 144 p.
di
Simonetta Sandri
La
memoria è carità e giustizia per le vittime del male e del dolore,
individui e popoli scomparsi talora anche in silenzio e
nell'oscurità, schiacciati dal "terribile potere di
annientamento" della Storia universale, come la chiamava
Nietzsche. La memoria è resistenza a questa violenza; essa significa
andare alla ricerca dei deboli calpestati e cancellati, di quella
"pietra rifiutata dai costruttori", di cui il Signore farà
la pietra angolare della sua casa, ma che giace sepolta sotto le
rovine e i rifiuti e va ritrovata e custodita con amore e rispetto.
(Claudio
Magris)
Sono
a Roma con una cara amica, passeggiamo per il ghetto. Questa città è
ormai anche mia. Ci siamo riviste dopo tanti anni, appuntamento in un
Campo dei Fiori illuminato dal sole del tramonto, bellissima piazza
come sempre, fiorita, immersa nei colori dei tulipani e delle rose
che fanno capolino dai chioschi che da lungo tempo la accarezzano.
Maria mi aveva parlato di questo libro coinvolgente della Foa, e
avevo, come al solito, dovuto attendere il mio rientro in Italia per
acquistarlo. Dopo le chiacchiere e la gustosissima cena, con lei
varco il portone antico di Portico d'Ottavia 13. La mia amica abita
lì ora, avrei visto quel luogo prima di leggere le parole impresse
sul fuoco di quella professoressa che mi avrebbe tenuta incollata
alle pagine intrise di storie e storia nelle buie e fredde serate
moscovite. Sono scorsi fiumi d'inchiostro sulle deportazioni degli
ebrei, sulle loro tragedie, le razzie che li hanno portati lontano,
le loro anime vendute, rapite, violentate, smembrate, rovistate,
scucite, strappate, rovesciate, sballottate, sviscerate, trafugate,
cancellate.
Abbiamo visto molte immagini di quelle anime, fotografie,
mostre, musei, film. Ma ora abbiamo una sensazione diversa, molto
forte ed intensa, quella di vederli per davvero, nella corte
rinascimentale, per le scale, persi fra le belle logge, davanti alle
porte dalle quali sono usciti per l'ultima volta il 16 ottobre del
1943. Di quel giorno autunnale piovoso non ci sono foto, qualcuno
dice per le esitazioni dei tedeschi di Dannecker di fronte a
deportazioni degli ebrei romani effettuate proprio "sotto le
finestre del Papa", qualcuno pensa ad un caso, qualcun altro
alla loro possibile esistenza in un archivio ancora inesplorato.
Leggendo le pagine della Foa, che ha lungo abitato in quell'immobile,
non si percepisce violenza ma solo fretta, povera gente che non
comprende, che cerca di scappare, di rifugiarsi in case vicine ma che
proprio per la fretta e i calci dei fucili che spingono violentemente
e velocemente all'esterno, non riesce a sfuggire alla presa di
tenaglia di rapitori di vite. Osservo le scale dal sapore antico: la
casa si trova vicino all'omonimo portico del II secolo a.C.,
costruito in sostituzione del più antico Portico di Metello, e sulle
cui rovine, nel medioevo, furono edificati un grande mercato del
pesce ed una chiesa. Dicevo, guardo quelle scale e le ricorderò bene
quando leggerò che gli abitanti della Casa, quel funesto giorno di
Ottobre, furono fatti scendere sotto il livello del suolo, fra i
ruderi di quel Portico-mercato.
Le persone più umili della comunità
ebraica che vivevano nella Casa, ambulanti, sarti, falegnami con
mogli, figli, cognate, venivano trascinati via, senza distinzione di
sesso ed età; le liste erano stilate con precisione, i nomi chiari e
impressi sulle pagine insanguinate che i reparti speciali avevano fra
le mani. Leggiamo nomi e cognomi, storie di vite perdute, ma non
dimenticate anche grazie a questo libro, vediamo cantine buie e
polverose dove qualche giorno dopo la razzia qualcuno avrebbe dato
alla luce una bambina. Sono stata tentata di riportare il nome di
questa madre, ma preferisco non farlo per non dimenticare tutti gli
altri citati nel libro ma che io non ho elencato. Gradino dopo
gradino, passo dopo passo, scala dopo scala, antro dopo antro,
anfratto dopo anfratto, piano dopo piano, finestra dopo finestra,
porta dopo porta, i ricordi si affacciano alla nostra immaginazione
incredula e ferita. Ricordo che non abbiamo, per età ed esperienza
di vita, ma che leggendo questo libro siamo convinti di avere.
Insieme alla mostra di Robert Capa a Roma, sull’Italia del 1943,
commentata recentemente su questo stesso blog, vediamo ancora il filo
rosso di questo nostro Paese che deve davvero sforzarsi per avere
memoria di chi, senza far rumore, era scomparso nel nulla. Il grande
merito di queste pagine è proprio questo, quello di creare una
memoria a chi non c'era, di farlo riflettere a lungo, di fargli
sentire l'odore acre della paura.
Copyright
© by Simonetta Sandri
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