domenica 13 ottobre 2013

Tripoli e i muri della libertà


Arte di strada, per la strada, dalla strada, sulla strada: Tripoli e i muri della libertà
Testo e foto di Simonetta Sandri

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Il difficile non è raggiungere qualcosa, è liberarsi dalla condizione in cui si è. Marguerite Duras

Espressione di libertà e libertà di espressione: questo sono e sono stati i muri della rivoluzione libica. Tripoli è oggi ancora colorata dai graffiti più incredibili. Oggi che i risultati della libertà riconquistata stentano ancora a decollare, eccoci ad affrontare un breve e curioso viaggio con loro e attraverso di loro, prima che scoloriscano definitivamente e facciano dimenticare tante domande. Perché il disegno, come la scrittura, necessita di poco materiale, non costoso, facilmente accessibile a tutti: bastano la fantasia, tanta fantasia, idee e sogni, una grande voglia di volare, pennelli e qualche barattolo di colore.
 


I muri sono sempre stati simbolo di chiusura, di divieto, di proibito, sbarrato, bloccato, isolamento, inquietudine, paura, mancanza di libertà. Ti dicono controllo, perquisizione, sospetto, nascondiglio, mistero ed attenzione ma ti ricordano, inesorabilmente, che puoi anche fuggire, scavalcare, scappare, volare via lontano. Il muro che separa e divide riporta alla memoria Berlino, il maestoso vallo di Adriano, il duro muro israeliano - palestinese. E poi i tristi e grigi muri della memoria e della vergogna, quelli del pianto di Gerusalemme, di Santiago del Cile, della nebbiosa Belfast o degli invalicabili confini fra Messico e Stati Uniti. I muri sono sempre stati simbolo di ostacolo, di chiusura, di tristezza, di netta, rigida e grigia separazione, di ignoranza, di non rispetto, di incertezza, di pianto e di vergogna.
A Tripoli, invece, quasi miracolosamente, mura, muri e pareti hanno significato libertà di pensiero e di espressione, veicolando il messaggio di una rivoluzione di giovani ed anziani, di uomini attenti che, con colori e pennelli, imbrattavano la tristezza di oltre quarant'anni di dittatura, esprimevano disappunto e gioia condivisa di momenti difficili e sofferti. Una sorpresa degna del più grande e dolce uovo di Pasqua del mondo.


Questa spettacolare libertà di espressione, una street art particolare, si manifestava già nel 2011, attraverso la ricca, ed ormai leggera, fantasia ed i simboli disegnati di pensieri a lungo soffocati nella nera paura, nel terrore e nel silenzio più tetri. Ora si poteva parlare, non solo sussurrare, si riusciva a dare un colore alle idee, si poteva gridare, leggere, scrivere, colorare, pensare, ragionare, parlare, contestare, sognare, sperare, uscire allo scoperto di un cielo senza troppe nuvole, insomma riflettere e finalmente pensare.
A gennaio 2012, quando iniziai i miei primi viaggi di lavoro a Tripoli, il timore dell'incertezza e dell'instabilità del paese veniva magicamente addolcito dall'osservare, con immensa meraviglia, quei muri che sembravano ospitare, a braccia aperte, disegni ed ombre colorate che inneggiavano alla libertà ed alla fine del tiranno. Cercavo in ogni vicolo un'immagine diversa. Incredibilmente la trovavo, sempre. Giravo l'angolo, le ali di un un'aquila vittoriosa e i visi di giovani martiri apparivano alla mia vista. 


Alcune saracinesche crivellate da colpi di arma da fuoco erano incredibilmente dipinte con colombe e verdi rami di ulivo, notori simboli di pace. Ero stupita da quel controsenso di una colomba dipinta su temibili fori di proiettile, sparati da mano ignota. Forse qualcuno aveva voluto proprio mandare un messaggio, a me, a voi, a chiunque passasse di lì con animo curioso e desideroso di pace. 


Camminavo per le strade della città, grandi e piccole, strette e larghe, lunghe e corte, non osavo prendere foto per il timore di urtare qualche ignota e nascosta suscettibilità.
Non sapevo ancora esattamente dove ero capitata. Solo una mattina di una calda e ventosa giornata di Ramadan, alle 6h30, quando tutti dormivano ancora dopo il lauto pasto a valle della prima preghiera della giornata, avrei avuto il coraggio di aggirarmi per le vie silenziose e polverose di Tripoli, armata solo di macchina fotografica argentea e di tanta profonda, pura e rispettosa curiosità. Davanti a me si apriva un mondo che odorava di magia, un colore rosa pallido e tenue tempestato di brillantini stellati, una voglia armata di gridare quanto era bello essere liberi, quanto poteva essere incredibile e stupefacente esprimersi a colori e con i colori che odoravano solo ed esclusivamente di colori.  



Pennelli, tubetti e vasetti avevano preso il posto di fucili, granate e mitragliatori. Non più fumo ma solo tutte le tonalità dei colori liberi e leggeri. La vita prima era in bianco e nero, un film muto e senza sottotitoli. Ora i curiosi registi di pellicole variopinte e vocianti urlavano la loro immensa felicità al sole caldo ed accecante, dai raggi liberi e maestosi che assomigliavano a rami nodosamente aperti e multiformi di una verde, rigogliosa, ricca e fiorita pianta rampicante carica di gemme. I colori dominanti erano sicuramente, oltre a quelli della nuova bandiera libica - nero, rosso e verde - l'arancione, il giallo e l'azzurro. Le tonalità del sole, del mare, del cielo, della verità e della ragione. 


Molte mani abili ed intelligenti avevano lasciato una traccia, un'ombra, un tratto deciso che diceva “ci siamo”, una macchia, una nuvola, un soffio, un alito, un respiro di nuova speranza. Ti immaginavi un giovane seduto a dipingere ma poi parlando con il vicino di ufficio che aveva ricamato la sua saracinesca di barbiere o di elettricista, ti accorgevi che non solo i giovani avevano preso parte a quel colorare la città rinata. Tutti c'erano stati. Tutti avevano voluto il cielo liberamente dipinto. Tutti avevano voluto contribuire a cancellare le nubi. Magicamente, anche un arco vicino ad una bianca, candida e merlettata moschea, ospitava una scena dipinta di vita quotidiana. Libya Free, lo leggi quasi ovunque, incroci volti di giovani sorridenti, gente che dalle saracinesche dipinte sventola bandiere, condizionatori coperti ed annegati anch’essi nei colori, occhi speranzosi, immagini del vecchio dittatore spettinato, ormai lontano ricordo.




Nessuno vorrebbe più preoccuparsi di nulla e di nessuno. I mesi passano, le coscienze rinate partoriscono nuove idee fiorite. Eccoti allora a scoprire un nuovo lungo muro, interamente dipinto da giovani e forti mani, in un posto tremendamente simbolico, Bāb al-Azīzīyya, la “porta meravigliosa”, dove opachi militari di una vecchia e scomparsa dittatura affilavano le loro potenti ed ormai inutili armi. Di fronte ad una guerra sepolta inneggiano ora suoni, musica, immagini e colori. Un libro aperto dipinto e sfogliato simboleggia la potenza della cultura, la voglia di poter leggere anche tra le righe, di usare la forza di una pagina per aprire porte mai aperte, lucchetti mai slucchettati, segreti mai rivelati. 


Ti soffermi sui petali di un fiore, alcune ragazzine poco meno che ventenni, ma dal capo già coperto, sorridono al cielo limpido mentre intingono le loro giovani, spensierate e fresche idee nei colori della libertà. E poi ci sono i martiri, le bandiere, gli arcobaleni, i muri illuminati, le colombe. Serenità e felicità ritrovate aleggiano e serpeggiano su quei muri, religione che si unisce alla passione di sensazioni mai dipinte




L'oro del fresco tramonto, ormai sopraggiunto al termine della nostro viaggio durato una giornata, risplende su quei volti, svela tanti pensieri, tutti rigorosamente in fila, pronti ad obbedire ad un soffio di vento di gioia del tutto inaspettata. Nuove storie d'amore inconsapevoli stanno nascendo con nuovi entusiasti attori e sipari che si aprono sugli arcobaleni. Il muro, i muri qui trasudano libertà, traspirano essi stessi i sacrifici di chi ha permesso a tanti di arrivare a questo miracoloso oggi. Qui molti hanno ritrovato la luce e la felicità, questo paese a tanti ha dato tanto, me compresa. Mentre il Ghibli, sornione e tenero, sorride a Tripoli, così caldo ma così diverso dagli ultimi quarant'anni, i capelli, pieni della sabbia da esso trasportata da molto lontano, si scompigliano e guardano in alto, felici di essere sotto quel cielo libero e leggero insieme a tante anime vocianti e serene, di fronte a un muro profumatamente colorato che ora sembra solo voler separare il passato fosco da un luminoso e splendente futuro. Brezza di speranza. Insciallah.



Un foto-racconto sul tema è stato pubblicato su http://www.thepostinternazionale.it/autore/sandri nel Febbraio 2013. Alcuni amici riportano che il muro descritto di Bāb al-Azīzīyya è stato recentemente abbattuto. Siamo almeno riusciti a tenerne traccia, di passaggio….

Copyright © by Simonetta Sandri

4 commenti:

Titti ha detto...

Dopotutto

La parola di un uomo è il più duraturo dei materiali.
Arthur Schopenhauer

Anonimo ha detto...

Un lavoro straordinario, frutto di approfondimento e conoscenza dei luoghi e delle dinamiche profonde di una societa'. Ogni lavoro offre, con ironia e spesso vera drammaticita', la misura di come la liberta' sia un bene prezioso di cui molto spesso non si comprende la straordinaria importanza. Grazie Simonetta per avercelo ricordato.

Anonimo ha detto...

Non sono un Libertador. I Libertadores non esistono. Sono i popoli che si liberano da sé. Ernesto Che Guevara

Anonimo ha detto...

Sei brava scritto una cosa che mi rimasto nei cuore. Brava. Da Alina .

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