Arte
di strada, per la strada, dalla strada, sulla strada: Tripoli e i
muri della libertà
Testo
e foto di Simonetta Sandri
Il
difficile non è raggiungere qualcosa, è liberarsi dalla condizione
in cui si è. Marguerite Duras
Espressione
di libertà e libertà di espressione: questo sono e sono stati i
muri della rivoluzione libica. Tripoli è oggi ancora colorata dai
graffiti più incredibili. Oggi che i risultati della libertà
riconquistata stentano ancora a decollare, eccoci ad affrontare un
breve e curioso viaggio con loro e attraverso di loro, prima che
scoloriscano definitivamente e facciano dimenticare tante domande.
Perché il disegno, come la scrittura, necessita di poco materiale,
non costoso, facilmente accessibile a tutti: bastano la fantasia,
tanta fantasia, idee e sogni, una grande voglia di volare, pennelli e
qualche barattolo di colore.
I muri sono sempre stati simbolo di chiusura, di divieto, di proibito, sbarrato, bloccato, isolamento, inquietudine, paura, mancanza di libertà. Ti dicono controllo, perquisizione, sospetto, nascondiglio, mistero ed attenzione ma ti ricordano, inesorabilmente, che puoi anche fuggire, scavalcare, scappare, volare via lontano. Il muro che separa e divide riporta alla memoria Berlino, il maestoso vallo di Adriano, il duro muro israeliano - palestinese. E poi i tristi e grigi muri della memoria e della vergogna, quelli del pianto di Gerusalemme, di Santiago del Cile, della nebbiosa Belfast o degli invalicabili confini fra Messico e Stati Uniti. I muri sono sempre stati simbolo di ostacolo, di chiusura, di tristezza, di netta, rigida e grigia separazione, di ignoranza, di non rispetto, di incertezza, di pianto e di vergogna.
A
Tripoli, invece, quasi miracolosamente, mura, muri e pareti hanno
significato libertà di pensiero e di espressione, veicolando il
messaggio di una rivoluzione di giovani ed anziani, di uomini attenti
che, con colori e pennelli, imbrattavano la tristezza di oltre
quarant'anni di dittatura, esprimevano disappunto e gioia condivisa
di momenti difficili e sofferti. Una sorpresa degna del più grande e
dolce uovo di Pasqua del mondo.
Questa
spettacolare libertà di espressione, una street
art particolare, si manifestava già
nel 2011, attraverso la ricca, ed ormai leggera, fantasia ed i
simboli disegnati di pensieri a lungo soffocati nella nera paura, nel
terrore e nel silenzio più tetri. Ora si poteva parlare, non solo
sussurrare, si riusciva a dare un colore alle idee, si poteva
gridare, leggere, scrivere, colorare, pensare, ragionare, parlare,
contestare, sognare, sperare, uscire allo scoperto di un cielo senza
troppe nuvole, insomma riflettere e finalmente pensare.
A
gennaio 2012, quando iniziai i miei primi viaggi di lavoro a Tripoli,
il timore dell'incertezza e dell'instabilità del paese veniva
magicamente addolcito dall'osservare, con immensa meraviglia, quei
muri che sembravano ospitare, a braccia aperte, disegni ed ombre
colorate che inneggiavano alla libertà ed alla fine del tiranno.
Cercavo in ogni vicolo un'immagine diversa. Incredibilmente la
trovavo, sempre. Giravo l'angolo, le ali di un un'aquila vittoriosa e
i visi di giovani martiri apparivano alla mia vista.
Alcune
saracinesche crivellate da colpi di arma da fuoco erano
incredibilmente dipinte con colombe e verdi rami di ulivo, notori
simboli di pace. Ero stupita da quel controsenso di una colomba
dipinta su temibili fori di proiettile, sparati da mano ignota. Forse
qualcuno aveva voluto proprio mandare un messaggio, a me, a voi, a
chiunque passasse di lì con animo curioso e desideroso di pace.
Camminavo per le strade della città, grandi e piccole, strette e larghe, lunghe e corte, non osavo prendere foto per il timore di urtare qualche ignota e nascosta suscettibilità.
Non
sapevo ancora esattamente dove ero capitata. Solo una mattina di una
calda e ventosa giornata di Ramadan, alle 6h30, quando tutti
dormivano ancora dopo il lauto pasto a valle della prima preghiera
della giornata, avrei avuto il coraggio di aggirarmi per le vie
silenziose e polverose di Tripoli, armata solo di macchina
fotografica argentea e di tanta profonda, pura e rispettosa
curiosità. Davanti a me si apriva un mondo che odorava di magia, un
colore rosa pallido e tenue tempestato di brillantini stellati, una
voglia armata di gridare quanto era bello essere liberi, quanto
poteva essere incredibile e stupefacente esprimersi a colori e con i
colori che odoravano solo ed esclusivamente di colori.
Pennelli, tubetti e vasetti avevano preso il posto di fucili, granate e mitragliatori. Non più fumo ma solo tutte le tonalità dei colori liberi e leggeri. La vita prima era in bianco e nero, un film muto e senza sottotitoli. Ora i curiosi registi di pellicole variopinte e vocianti urlavano la loro immensa felicità al sole caldo ed accecante, dai raggi liberi e maestosi che assomigliavano a rami nodosamente aperti e multiformi di una verde, rigogliosa, ricca e fiorita pianta rampicante carica di gemme. I colori dominanti erano sicuramente, oltre a quelli della nuova bandiera libica - nero, rosso e verde - l'arancione, il giallo e l'azzurro. Le tonalità del sole, del mare, del cielo, della verità e della ragione.
Molte
mani abili ed intelligenti avevano lasciato una traccia, un'ombra, un
tratto deciso che diceva “ci siamo”, una macchia, una nuvola, un
soffio, un alito, un respiro di nuova speranza. Ti immaginavi un
giovane seduto a dipingere ma poi parlando con il vicino di ufficio
che aveva ricamato la sua saracinesca di barbiere o di elettricista,
ti accorgevi che non solo i giovani avevano preso parte a quel
colorare la città rinata. Tutti c'erano stati. Tutti avevano voluto
il cielo liberamente dipinto. Tutti avevano voluto contribuire a
cancellare le nubi. Magicamente, anche un arco vicino ad una bianca,
candida e merlettata moschea, ospitava una scena dipinta di vita
quotidiana. Libya Free,
lo leggi quasi ovunque, incroci volti di giovani sorridenti, gente
che dalle saracinesche dipinte sventola bandiere, condizionatori
coperti ed annegati anch’essi nei colori, occhi speranzosi,
immagini del vecchio dittatore spettinato, ormai lontano ricordo.
Nessuno
vorrebbe più preoccuparsi di nulla e di nessuno. I mesi passano, le
coscienze rinate partoriscono nuove idee fiorite. Eccoti allora a
scoprire un nuovo lungo muro, interamente dipinto da giovani e forti
mani, in un posto tremendamente simbolico, Bāb
al-Azīzīyya, la “porta
meravigliosa”, dove opachi militari di una vecchia e scomparsa
dittatura affilavano le loro potenti ed ormai inutili armi. Di fronte
ad una guerra sepolta inneggiano ora suoni, musica, immagini e
colori. Un libro aperto dipinto e sfogliato simboleggia la potenza
della cultura, la voglia di poter leggere anche tra le righe, di
usare la forza di una pagina per aprire porte mai aperte, lucchetti
mai slucchettati, segreti mai rivelati.
Ti
soffermi sui petali di un fiore, alcune ragazzine poco meno che
ventenni, ma dal capo già coperto, sorridono al cielo limpido mentre
intingono le loro giovani, spensierate e fresche idee nei colori
della libertà. E poi ci sono i martiri, le bandiere, gli arcobaleni,
i muri illuminati, le colombe. Serenità e felicità ritrovate
aleggiano e serpeggiano su quei muri, religione che si unisce alla
passione di sensazioni mai dipinte.
L'oro
del fresco tramonto, ormai sopraggiunto al termine della nostro
viaggio durato una giornata, risplende su quei volti, svela tanti
pensieri, tutti rigorosamente in fila, pronti ad obbedire ad un
soffio di vento di gioia del tutto inaspettata. Nuove storie d'amore
inconsapevoli stanno nascendo con nuovi entusiasti attori e sipari
che si aprono sugli arcobaleni. Il muro, i muri qui trasudano
libertà, traspirano essi stessi i sacrifici di chi ha permesso a
tanti di arrivare a questo miracoloso oggi. Qui molti hanno ritrovato
la luce e la felicità, questo paese a tanti ha dato tanto, me
compresa. Mentre il Ghibli, sornione e tenero, sorride a Tripoli,
così caldo ma così diverso dagli ultimi quarant'anni, i capelli,
pieni della sabbia da esso trasportata da molto lontano, si
scompigliano e guardano in alto, felici di essere sotto quel cielo
libero e leggero insieme a tante anime vocianti e serene, di fronte a
un muro profumatamente colorato che ora sembra solo voler separare il
passato fosco da un luminoso e splendente futuro. Brezza di speranza.
Insciallah.
Un
foto-racconto sul tema è stato pubblicato su
http://www.thepostinternazionale.it/autore/sandri
nel Febbraio 2013.
Alcuni amici riportano che il muro descritto di Bāb
al-Azīzīyya è
stato recentemente abbattuto. Siamo almeno riusciti a tenerne
traccia, di passaggio….
Copyright © by Simonetta Sandri
Copyright © by Simonetta Sandri
4 commenti:
Dopotutto
La parola di un uomo è il più duraturo dei materiali.
Arthur Schopenhauer
Un lavoro straordinario, frutto di approfondimento e conoscenza dei luoghi e delle dinamiche profonde di una societa'. Ogni lavoro offre, con ironia e spesso vera drammaticita', la misura di come la liberta' sia un bene prezioso di cui molto spesso non si comprende la straordinaria importanza. Grazie Simonetta per avercelo ricordato.
Non sono un Libertador. I Libertadores non esistono. Sono i popoli che si liberano da sé. Ernesto Che Guevara
Sei brava scritto una cosa che mi rimasto nei cuore. Brava. Da Alina .
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