di William Molducci
Le note scritte da Luigi
Lopez hanno accompagnato per oltre vent'anni la scena musicale
italiana, sino ad arrivare ai successi made in U.S.A.
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Con Carla Vistarini
(paroliera, sceneggiatrice e scrittrice) ha scritto numerosi
successi, tra cui, “La voglia di sognare”, storica hit di Ornella
Vanoni del 1974, “La notte dei pensieri” di Michele Zarrillo
(vincitore Sanremo giovani 1987), “La nevicata del '56”
interpretata da Mia Martini (Premio della critica a Sanremo 1990) e
“Mondo” per Riccardo Fogli, vincitore del Festivalbar Discoverde
1976, primo di una lunga serie di pezzi scritti per il cantante dopo
la sua uscita dai Pooh. Lopez ha affidato le sue canzoni, tra gli
altri, a grandi interpeti quali Mina, Patty Pravo, Domenico Modugno,
Alice, Franco Califano, Fiorella Mannoia, Sylvie Vartan, Peppino di
Capri.
Tra i riconoscimenti
internazionali segnaliamo il 1º Primo premio al 13° World Popular
Song Festival al suo brano “Where Did We Go Wrong”, eseguito
dalla cantante californiana Anne Bertucci (in quell’occasione Lopez
rappresentava gli U.S.A.), i dischi d'oro e di platino per “Another
Chapter” cantata da John Rowles, premio per la migliore canzone
straniera alla 8ª edizione del World Popular Song Festival di Tokyo,
con il brano “Ritratto di donna” interpretato da Mia Martini e
alla 13ª grazie a “Holiday in Mexico” eseguita da John Rowles.
Lopez è' noto al grande
pubblico anche per avere scritto e cantato “Pinocchio perché no?”,
sigla delle nuove avventure di Pinocchio, l'edizione italiana del
cartone animato giapponese ispirato all'omonimo burattino di Collodi.
L’intervista
Quarant’anni di
carriera, una vita dedicata alla musica, come hai iniziato?
Sono innamorato della mia
chitarra da quando l’indimenticabile Febo Conti, in una
trasmissione in bianco e nero (sto parlando degli anni ’50 e
dintorni), spiegò come costruire una chitarrina rudimentale.
Seguii le sue istruzioni
e con un barattolo di pomodori vuoto, una bacchetta di legno e un
filo d’acciaio, misi su una specie di strumento tribale. Dopo mesi
di quello “strazio”, fatto di note sorde e ruvide, sempre
monotonali, riuscii con sole 6.000 lire ad acquistare la mia prima
chitarra a sei corde.
Nel 1965 o ’66 (un bel
salto temporale), ero il “chitarrista elettrico” degli Shocks, il
mio gruppo. In una magica serata ci esibimmo al Titan Club di Roma,
come band di supporto dei mitici Gun. Alla fine della performance,
vennero nel mio camerino a congratularsi nientemeno che Gianni
Boncompagni e i Rokes, con Shel Shapiro in testa.
Avevo fatto una buona
impressione e fu Gianni a propormi di scrivere canzoni, aiutandomi
con i suoi preziosi consigli.
È cominciata così, poi
arrivò il mio primo contratto di esclusiva con l’Apollo Records di
Edoardo Vianello, che m’introdusse professionalmente nel grande
mondo della RCA Italiana.
Hai scritto canzoni
per tantissimi artisti, tra cui Riccardo Fogli, Mia Martini, Ornella
Vanoni, Fiorella Mannoia, Rita Pavone, Michele Zarrillo, sono nate
anche amicizie?
E non dimentichiamo
Domenico Modugno, il più grande di tutti, per il quale scrissi
“Delfini”.
Certo, l’amicizia, il
rapporto umano, le affinità, l’empatia addirittura, sono le
condizioni senza le quali non sarei riuscito a collaborare con gli
artisti per i quali ho scritto e composto. Ho rifiutato centinaia di
volte di dare una mia canzone, su richiesta, come fosse un prodotto
preconfezionato. Se non si capisce l’artista, se non ci si integra
nel suo sentire, come si può creare un percorso musicale che sia
coerente con la sua storia, i suoi gusti, il suo background?
Per tanti anni
Carla Vistarini ha scritto i testi delle tue musiche, com’è
iniziata la vostra collaborazione? E Qual era il vostro metodo di
lavoro?
Fui il suo mentore e il
suo primo sostenitore. Quando cominciai ad avere credibilità come
compositore, cosa che si realizzò quasi subito agli inizi della mia
carriera, la convinsi a scrivere il testo di una mia musica. Carla
era già una formidabile poetessa, le sue poesie mi commuovevano,
perché non provare, mi chiedevo? Non fu facile farla accettare dai
miei collaboratori, dai vari produttori ma bastò la sua “Mi sei
entrata nel cuore”, cantata dagli Showmen, a farla entrare di
diritto nella grande famiglia dei parolieri italiani. Da allora è
iniziata la sua straordinaria carriera di scrittrice di canzoni, di
autrice letteraria, televisiva, teatrale. In quanto al metodo, non ce
n’è stato mai uno. Lei mi sentiva cantare una melodia e mi
sorprendeva con i suoi fogli di carta pieni di idee oppure poteva
accadere che io sbirciassi fra le sue righe e una nuova canzone si
materializzasse fra le mie dita, sempre intrecciate a quelle
fedelissime “sei corde”.
Hai lavorato
lungamente nella West Coast americana, con artisti del calibro di Nat
Kipner, Steve Lukather e Jeff Porcaro (Toto), Jimmie Haskell (The
Chicago), Bobby Hart (The Monkeys), Abraham Laboriel, Tim Pierce, J.
R. Robinson, Bob Esty, Larry Klein, Paulino Da Costa, Tony Peluso
(The Carpenters), vuoi parlarci di questo importante periodo della
tua carriera?
Ci credete alle favole?
Io sì. Nel 1977 ero a Tokyo con Mia Martini per il World Popular
Song Festival, dove vinsi con lei il “Most outstanding song award”,
con il brano “Ritratto di donna”.
Alberto Carisch, uno fra
i più grandi editori italiani di sempre, venne a congratularsi e mi
chiese di dargli delle canzoni per la sua Southern music, una società
che operava negli Stati Uniti. Ero ancora scettico quando Alberto
Testa, il compianto autore di straordinari successi, venne a trovarmi
per prendere una cassetta con sei mie canzoni, per portarla
personalmente negli U.S.A. Due anni dopo mi chiamarono da Los
Angeles. Ho ancora nelle orecchie la voce di Bobby Hart, leader
storico dei “The Monkeys”, che mi diceva che John Rowles stava
incidendo una di quelle canzoni. Si trattava del brano “Good thing
when it’s gone” che vide come guest star Vangelis (premio Oscar
per la colonna sonora del film “Momenti di gloria”), proporsi
volontariamente per eseguire un assolo di chitarra. Sbarcai a Los
Angeles durante il giorno del ringraziamento e da allora non mi sono
più fermato.
“Here i go again”
interpretata da Julie Anthony, ha girato il mondo, così come
“Another chapter” eseguita da John Rowles …
Si tratta di ennesimi
regali della mia avventura americana. Ero in vacanza a Londra,
davanti a Buckingham Palace, intento ad ammirare il cambio della
guardia, quando alle mie spalle sentii qualcuno intonare
un’inconfondibile melodia, c’era una ragazza con le guance
punteggiate di lentiggini, che canticchiava la mia “Here i go
again”, in quei giorni al top delle classifiche in Australia. Hai
capito cosa può fare una canzone? Ha fatto il giro del mondo senza
spendere un soldo, semplicemente “a bordo” di un cuore,
accompagnata da un ricordo.
Al World Popular
Song Festival di Tokyo 1982, hai vinto un importante premio
rappresentando gli Stati Uniti con il brano “Where did we go
wrong”…
Il World Popular Song
Festival mi ha portato fortuna, premi e soddisfazioni
indimenticabili. C’ero stato già due volte, con Mia Martini e con
Roberta Voltolini ma nell’edizione del 1982 ottenni il più grande
e importante riconoscimento della mia carriera d’autore.
Quell’anno
rappresentavo nientemeno che gli Stati Uniti d’America e vinsi il
primo premio, il “Golden grand prize”, con la mia canzone “Where
did we go wrong” eseguita da Anne Bertucci, con i versi di Nat
Kipner (primo produttore dei Bee Gees e straordinario autore) e
l’arrangiamento di Jimmie Haskell (arrangiò la famosa “If you
leave me now” dei Chicago). E’ stato un risultato che pochi
possono vantare, lo dico con orgoglio, anche perché quello è stato
l’unico contest mondiale cui abbiano partecipato tutti i paesi,
compresi quelli di lingua anglofona. Da quel momento il governo degli
Stati Uniti mi ha riconosciuto un passaporto a vita, senza alcun
limite di permanenza o di attività, incredibile, no?
Le tue canzoni per
i bambini hanno sempre un grande successo, per esempio: Pinocchio
perché no? (oltre un milione di copie vendute) e le sigle televisive
(La fantastica Mimi e Cybernella), possiamo considerarle degli
evergreen per i più piccoli?
Per i più piccoli di
oggi e i “più piccoli” di ieri. Ho visto lacrime di commozione
in persone ormai grandi, che cantando in coro con me, mi hanno
confessato l’emozione di avermi incontrato, di aver finalmente
conosciuto dopo tanti anni chi li aveva affascinati quando da
giovanissimi seguivano quelle indimenticabili serie di cartoni
animati in TV.
Ho scritto quasi seicento
canzoni e moltissime sono divenute degli evergreen, successi che mi
danno ancora tante soddisfazioni ma “Pinocchio perché no?” e le
altre sue “sorelline”, sono un’altra cosa: fuori dal tempo,
dalle mode, soprattutto fuori dalle logiche del mercato discografico.
Quelle canzoncine vanno avanti e sembrano non soffrire della crisi
che ha investito l’industria del disco. Resteranno nel cuore e
nella mente di tutte quelle persone che in esse ritrovano i profumi,
i suoni della loro giovinezza.
Nel 1977 insieme a
Tony Cicco, Carla Vistarini, Riccardo Fogli, Viola Valentino,
Giancarlo Lucariello e Danilo Vaona avete fondato il supergruppo dei
Fantasy, cosa ricordi di quel progetto?
Si è trattato di un
esperimento unico nella storia del pop italiano: volevamo creare, e
ci siamo riusciti, una specie di comunità musicale che unisse in sé
personaggi eterogenei con caratteristiche, storie e ruoli diversi.
Un’idea appassionante che ci coinvolse tutti e ci portò alla
realizzazione dell’album “Fantasy”. Non potevamo immaginare che
da lì a poco, eventi legati alle nostre singole carriere, ci
avrebbero riportato su strade diverse. Ottenemmo un discreto successo
in Inghilterra con “Surrender”, la versione inglese di
“Cantando”, primo e unico singolo estrapolato da quello “storico”
album. E’ ancora forte il ricordo di quell’esperienza unica e
davvero romantica.
“La nevicata del
‘56” cantata a Sanremo da Mia Martini, una grande soddisfazione?
Enorme! Fra tutte le voci
che hanno interpretato le mie canzoni, quella di Mia, è la “mia”
prediletta. Carla ed io (era lei l’autrice del testo originale
presentato al festival, testo
cui Franco Califano aveva contribuito con una piccola variazione
iniziale, una riga estrapolata dalla sua versione “cantautoriale”,
al maschile), eravamo convinti
che ci saremmo aggiudicati il primo premio, ma fu proprio Mia a
confidarci che “La nevicata” avrebbe ottenuto “soltanto” il
premio della critica. Che dire? Quel premio è valso come il
riconoscimento più alto, dal valore incommensurabile. La nostra
canzone da allora è entrata nel repertorio dei classici della musica
pop italiana. Non c’è inverno, non c’è nevicata che non
richiami “La nevicata del ‘56”, che non riporti a quelle note,
alla voce di un’anima insuperabile, quella della nostra
indimenticabile Mia Martini.
La discografia
italiana è quasi scomparsa, in televisione non si ascoltano canzoni,
tranne che nei talent-show, una coppia di autori come Lopez-Vistarini
potrebbe vivere di musica oggi?
Naturalmente la domanda
non allude alla coppia, al valore degli autori, vero?
Il problema che è
insito nella questione è quello legato alla situazione generale del
paese. La creatività tutta soffre della deriva economica che ci sta
portando verso scenari inattesi e speriamo non futuribili. E’
comprensibile che i “prodotti” della creatività siano fra i
primi “generi di consumo” a soffrire del malessere che si è
venuto a creare.
Una coppia di autori come
la nostra, avrebbe legittimamente ragione di esistere e di produrre
anche oggi, a patto di essere in un contesto professionale vitale
come quello che ci ha visto protagonisti e super attivi fino a una
decina di anni fa. In quel periodo è iniziato il declino della
nostra economia e con essa l’appannamento di tantissime attività,
con scopi non primari, come le produzioni musicali. Sempre ammesso
che le produzioni musicali possano definirsi beni non primari.
Personalmente ritengo la
musica un “ossigeno” indispensabile alla sopravvivenza. Come
diceva Oscar Wilde? ”Potrei fare a meno di tutto tranne che del
superfluo”.
Purtroppo, la
“cosa-pubblica-musicale” sembra essere caduta nelle mani di una
piccola e malinconica oligarchia, con la complicità di una
televisione sempre più soffocata da interessi commerciali e
sensazionalistici. Il quadro che ne viene fuori non sembra poter
ospitare la voglia di progettualità, di studio, di
compartecipazione, che sussisteva ai nostri tempi e che ha reso
possibile la nascita dei grandi cantautori e in genere di tutto il
meglio della nostra attività e della nostra produzione musicale.
“Delfini”, in
altre parole l’incontro con Domenico Modugno e Franco Migliacci,
che ricordo hai della vostra collaborazione?
Quando ho incontrato il
grande Modugno mi tremavano gli occhi, le mani. “Delfini”, con
quel meraviglioso testo di Franco Migliacci, ha segnato la storia
della mia vita musicale in Italia. Ho vissuto quella realizzazione
come un sogno. Tutto è stato perfetto, magico, dal lavoro di Stefano
Borzi, bravissimo arrangiatore del brano sino a Massimo Modugno, che
con commozione ha superato se stesso per essere all’altezza di un
papà così monumentale. Io mi sono goduto giorno per giorno il
perfezionamento della registrazione, come si osserva un pittore che
proceda sulla sua tela, con quei piccoli tocchi e ritocchi. “Delfini”
è sostanzialmente un quadro, pieno di metafore e di emotività, non
c’è un rigo in quella canzone, che non arrivi alla mente o al
cuore.
Modugno, Domenico, Mimmo,
chiamiamolo come più ci piace, il grande “Mr. Volare” aveva
davvero le ali. Durante la registrazione non volle che sulla sua voce
fosse messo nessuno dei tecnologici effetti che avrebbero potuto
aiutare la sua performance. Straordinario e insuperato maestro.
Sei uno dei pochi
autori che ha scritto canzoni sia per Mina sia per Ornella Vanoni,
una bella soddisfazione?
Due grandi antagoniste? O
due insuperabili contendenti? Beh, comunque entrambe nel mio “libro
dei record”. Ancora non saprei dire chi di queste due immense
interpreti sia la mia preferita; me le tengo strette, strettissime
nell’album delle mie soddisfazioni più preziose. Brani quali
“Ancora dolcemente”, “Mi piace tanto la gente”, “La voglia
di sognare”, come potrei mai decidere per l’una o per l’altra?
Impossibile!
Luigi Lopez Oggi…
Con mio figlio Riccardo è
nata un’intesa musicale assai promettente. Questione di DNA? Lo
scorso anno la nostra canzone “Sailor”, cantata da Riccardo, ha
scalato le classifiche di tutte le radio Web, staremo a vedere …
Per quanto mi riguarda,
come ieri, come domani, finché ne avrò l’energia, tenterò di
scrivere l’ennesima canzone, per me, per gli altri, per tutti
quelli che abbiano ancora desiderio e necessità di una melodia da
portarsi appresso.
Vorrei, per finire,
riuscire a dare il mio contributo di idee e di comportamenti,
affinché la figura dell’autore sia finalmente riconosciuta,
tutelata, inquadrata come merita, nel tessuto del nostro vivere
comune.
Ringrazio
di cuore William Molducci per questa stimolante intervista e voi
tutti per avermi letto e talvolta ascoltato.
Si ringrazia Luigi Lopez per la disponibilità del materiale fotografico
Si ringrazia Luigi Lopez per la disponibilità del materiale fotografico
Copyright
© by
William Molducci
1 commento:
Caro Luigi, un abbraccio e molti auguri (stesso compleanno tu ed io...) Piero
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