martedì 7 gennaio 2014

I semafori rossi non sono Dio

Perle in fondo al mare: I semafori rossi non sono Dio di Gino Paoli

di William Molducci

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Nel 1974 Gino Paoli pubblica, per conto della Durium, un album dal titolo inusuale: I semafori rossi non sono Dio, dove reinterpreta in lingua italiana le canzoni di Joan Manuel Serrat, una delle figure più importanti della musica moderna catalana. Serrat è nato a Barcellona e le sue composizioni, in lingua catalana e castigliana, sono poesie messe in musica, sia si tratti di suoi testi sia di poeti quali come Antonio Machado o Miguel Hernández.


Nel disco sono affrontati argomenti quali libertà, emarginazione, ossessione e democrazia (in quel periodo in Spagna vigeva ancora il regime di Franco), i brani dell'album provengono dai lavori di Serrat intitolati Mi niñez del 1970 e Meditérraneo del 1971. Nello stesso anno la casa discografica Ricordi pubblica un LP intitolato Paoli canta Serrat, ma si tratta dello stesso disco della Durium.


L'album

I crediti dell'opera portano le firme di Gino Paoli, Lorenzo Raggi e naturalmente Joan Manuel Serrat, gli arrangiamenti sono stati curati da Pinuccio Pirazzoli, che ha avuto il merito di “vestire” al meglio i brani per Paoli, come nel caso de Il manichino (*), la cui originale marcetta è stata trasformata in un valzer lento. Sin dai tempi di Senza fine e di Che cosa c'è il “valzer” si è dimostrato congeniale a Gino Paoli, che, grazie al tempo 3/4 riesce a dare maggiore spessore alle sue riflessioni. Il testo racconta di un uomo che s'innamora di un manichino, tanto da portarselo a casa e vivere una storia d'amore immaginaria, che lo porterà alla pazzia. Questo è anche il brano più conosciuto del disco, presentato da Paoli a Canzonissima 1974 e proposto per lungo tempo durante i suoi concerti.
Mediterraneo è uno dei brani più famosi di Serrat, nel cui significato Gino si cala naturalmente, viste le analogie tra la sua Genova e la città natale dell'autore catalano, unite idealmente e geograficamente dalle acque di un unico mare: “Sono nato in riva al mare, son cresciuto sulla spiaggia. e nell'ombra di uno scoglio dorme il mio primo amore, come una barca che dondola allo scirocco e nascosti nella sabbia ho lasciato sogni e giochi...”. Nel 1971, Serrat scrisse questo brano, che parla del Mediterraneo e della sua identità. Nel testo originale non si accenna a tematiche politiche o sociali, anche se probabilmente devono essere lette sotto le righe. In quegli anni in Spagna il franchismo era ancora al potere e le canzoni di protesta, se non volevano essere clandestine o censurate, dovevano “mascherarsi”. Il brano Mediterraneo fu spesso utilizzato da Paoli per aprire o chiudere i suoi concerti.

Nonostante tutto (Que va a ser de ti) è uno dei pezzi di questo disco pubblicati come singolo in 45 giri, favorito da un ritornello di facile memorizzazione e allo stesso tempo di ampio respiro: “Ho vissuto tanto ma, non ho capito mai cosa sono ed ho passato tutta la gioventù chiedendo agli altri una scusa per capire a cosa serve un'avventura, che non ho chiesto io... sparì, sparì veloce e leggera la mia avventura in fior, nonostante tutto non so niente, dopo cosa sarà di me... ora cosa sarà di me...”.

Ma andate a... è un canto liberatorio, che elenca situazioni e modi di vivere non graditi. Senza mai trascendere nella volgarità, l'eloquente messaggio raggiunge il suo scopo: “... il mondo vuole tutto quello che tu hai, ma non si accorge mai di quello che gli dai, il mondo ti dà tutto quello che non vuoi, ma poi vuole occuparsi dei fatti tuoi, prendo su e vado via, ma andate a... mi sono proprio rotto e vado via, dove c'è un uomo buono è la patria mia, dove non serve carta d'identità, dove la gente ti accetta per quel che sei, ma se voi state qui andate a...”. Per rifarsi alla terminologia di quei tempi, possiamo affermare che questa è una vera e propria canzone di protesta, da cui è stato tratto il verso che ha dato il titolo all'album.
La sbandata: “Una voglia muta ti si legge in faccia, una voglia matta d'amore che non hai più, quando hai lasciato il tuo uomo, con il tuo bambino avevano negli occhi il rimpianto muto che oggi hai tu...” L'amore è finito a causa di un uomo entrato nella vita di lei, annoiata da un marito distratto dai problemi della vita e colpevolmente assente. Si tratta di un brano malinconico, per nulla puritano, un ritratto di situazioni simili a quelle vissute da tante persone.

Nel disco l'amore non è cantato nel senso convenzionale del termine, si ritrova nei rimpianti di un'estate che finisce e a margine di storie di uomini e di donne immersi nella vita quotidiana. Il manichino è forse l'unico ritratto di amore assoluto, tanto perfetto da portare alla follia. In Chopin l'uomo cerca sempre un amore di vent'anni, ma gli si prospetta un'inevitabile solitudine: “E' stato in tutte le cantine, conosce tutte le puttane, si è fermato in ogni porto, tra la rovina e la ricchezza, tra le bugie e le promesse, sorride ancora a tutti Chopin... ha l'incoscienza di un bambino e la dolcezza di un cretino, crede ancora all'amore Chopin...”.

I miei dieci anni (Mi niñez), la canzone dei ricordi, del tempo perduto, delle sensazioni vissute e mai dimenticate: “... avevo un balcone di fiori e un esercito di bottoni e un treno con sette vagoni, rotto alla terza stazione. Avevo un cielo blu e un libro di avventure e una pagina che saltavo sempre via, con i cuscinetti a sfera sotto a una tavoletta, facevo sempre il pelo agli angoli di strada... perché solo ieri avevo imparato a volare, perdendo il tempo in riva al mare...”. Canzone struggente e nostalgica, ricordi infantili di un uomo adulto, con tanto di sguardo “bambino”, che brilla ancora nei suoi occhi.

...la donna che amo è la mia padrona, è mia madre il mio cane è la mia puttana...", questo verso è inequivocabilmente tratto dal brano La donna che amo, un elenco di libere associazioni e di figure, per nulla casuali, riferite alla sua donna: “... io pensavo di averla e mi ha avuto lei, con il mio cane e il mio letto e gli amici miei, povero Gino...”.

Un'altra estate è un brano dolcissimo e breve, dove si parla di un amore fuori dai consueti canoni, che potrebbe svanire con la fine malinconica dell'estate. Forse l'estate tornerà, ma fra loro due ci sarà sempre un anno in più... Il testo italiano del brano è completamente diverso da quello originale, il cui titolo tradotto è Piccole cose: “Uno se cree, que las matò, el tiempo y la ausencia. Pero su tren, vendiò boleto, de ida y vuelta...”.

La libertà (il titolo originale è Come un passero – Còmo un gorriòn), è qui sotto forma di gabbiano a cui è resa la libertà, una grande vela bianca che non si ferma e non si stanca, per sfidare il vento. In questo brano simboli e metafore sono utilizzati per descrivere il desiderio e la necessità di non avere costrizioni.

Grazie ai poeti...

I semafori rossi non sono Dio riportarono Paoli all'attenzione di critica e pubblico, dopo un periodo un po' in ombra, che coincideva con l'esplosione del fenomeno dei cantautori anni 70, facendo ripartire la sua carriera con forza e ispirazione.
Chi volesse acquistare quest'album può collegarsi con eBay, dove il vinile è facilmente reperibile ad un prezzo moderato, inoltre, la versione intitolata Gino canta Serrat è disponibile sia in cassetta K7 sia in CD.

(*) = Il manichino è stato inciso anche da Franco Simone, nel suo primo VocePiano del 1990, un disco registrato in diretta con Franco alla voce e il Maestro Maurizio Mariano al pianoforte. Un'altra versione è stata incisa da Chantango, all'interno del CD “Bestiario d'Amore” del 2007.

Copyright © by William Molducci

Pubblicato su Contatto Diretto il 7.1.2014
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