lunedì 22 settembre 2014

Intervista a Luigi Lopez

di William Molducci
Le note scritte da Luigi Lopez hanno accompagnato per oltre vent'anni la scena musicale italiana, sino ad arrivare ai successi made in U.S.A.


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Con Carla Vistarini (paroliera, sceneggiatrice e scrittrice) ha scritto numerosi successi, tra cui, “La voglia di sognare”, storica hit di Ornella Vanoni del 1974, “La notte dei pensieri” di Michele Zarrillo (vincitore Sanremo giovani 1987), “La nevicata del '56” interpretata da Mia Martini (Premio della critica a Sanremo 1990) e “Mondo” per Riccardo Fogli, vincitore del Festivalbar Discoverde 1976, primo di una lunga serie di pezzi scritti per il cantante dopo la sua uscita dai Pooh. Lopez ha affidato le sue canzoni, tra gli altri, a grandi interpeti quali Mina, Patty Pravo, Domenico Modugno, Alice, Franco Califano, Fiorella Mannoia, Sylvie Vartan, Peppino di Capri.
Tra i riconoscimenti internazionali segnaliamo il 1º Primo premio al 13° World Popular Song Festival al suo brano “Where Did We Go Wrong”, eseguito dalla cantante californiana Anne Bertucci (in quell’occasione Lopez rappresentava gli U.S.A.), i dischi d'oro e di platino per “Another Chapter” cantata da John Rowles, premio per la migliore canzone straniera alla 8ª edizione del World Popular Song Festival di Tokyo, con il brano “Ritratto di donna” interpretato da Mia Martini e alla 13ª grazie a “Holiday in Mexico” eseguita da John Rowles.
Lopez è' noto al grande pubblico anche per avere scritto e cantato “Pinocchio perché no?”, sigla delle nuove avventure di Pinocchio, l'edizione italiana del cartone animato giapponese ispirato all'omonimo burattino di Collodi.


L’intervista
Quarant’anni di carriera, una vita dedicata alla musica, come hai iniziato?
Sono innamorato della mia chitarra da quando l’indimenticabile Febo Conti, in una trasmissione in bianco e nero (sto parlando degli anni ’50 e dintorni), spiegò come costruire una chitarrina rudimentale.
Seguii le sue istruzioni e con un barattolo di pomodori vuoto, una bacchetta di legno e un filo d’acciaio, misi su una specie di strumento tribale. Dopo mesi di quello “strazio”, fatto di note sorde e ruvide, sempre monotonali, riuscii con sole 6.000 lire ad acquistare la mia prima chitarra a sei corde.
Nel 1965 o ’66 (un bel salto temporale), ero il “chitarrista elettrico” degli Shocks, il mio gruppo. In una magica serata ci esibimmo al Titan Club di Roma, come band di supporto dei mitici Gun. Alla fine della performance, vennero nel mio camerino a congratularsi nientemeno che Gianni Boncompagni e i Rokes, con Shel Shapiro in testa.
Avevo fatto una buona impressione e fu Gianni a propormi di scrivere canzoni, aiutandomi con i suoi preziosi consigli.
È cominciata così, poi arrivò il mio primo contratto di esclusiva con l’Apollo Records di Edoardo Vianello, che m’introdusse professionalmente nel grande mondo della RCA Italiana.
Hai scritto canzoni per tantissimi artisti, tra cui Riccardo Fogli, Mia Martini, Ornella Vanoni, Fiorella Mannoia, Rita Pavone, Michele Zarrillo, sono nate anche amicizie?
E non dimentichiamo Domenico Modugno, il più grande di tutti, per il quale scrissi “Delfini”.
Certo, l’amicizia, il rapporto umano, le affinità, l’empatia addirittura, sono le condizioni senza le quali non sarei riuscito a collaborare con gli artisti per i quali ho scritto e composto. Ho rifiutato centinaia di volte di dare una mia canzone, su richiesta, come fosse un prodotto preconfezionato. Se non si capisce l’artista, se non ci si integra nel suo sentire, come si può creare un percorso musicale che sia coerente con la sua storia, i suoi gusti, il suo background?


Per tanti anni Carla Vistarini ha scritto i testi delle tue musiche, com’è iniziata la vostra collaborazione? E Qual era il vostro metodo di lavoro?
Fui il suo mentore e il suo primo sostenitore. Quando cominciai ad avere credibilità come compositore, cosa che si realizzò quasi subito agli inizi della mia carriera, la convinsi a scrivere il testo di una mia musica. Carla era già una formidabile poetessa, le sue poesie mi commuovevano, perché non provare, mi chiedevo? Non fu facile farla accettare dai miei collaboratori, dai vari produttori ma bastò la sua “Mi sei entrata nel cuore”, cantata dagli Showmen, a farla entrare di diritto nella grande famiglia dei parolieri italiani. Da allora è iniziata la sua straordinaria carriera di scrittrice di canzoni, di autrice letteraria, televisiva, teatrale. In quanto al metodo, non ce n’è stato mai uno. Lei mi sentiva cantare una melodia e mi sorprendeva con i suoi fogli di carta pieni di idee oppure poteva accadere che io sbirciassi fra le sue righe e una nuova canzone si materializzasse fra le mie dita, sempre intrecciate a quelle fedelissime “sei corde”.
Hai lavorato lungamente nella West Coast americana, con artisti del calibro di Nat Kipner, Steve Lukather e Jeff Porcaro (Toto), Jimmie Haskell (The Chicago), Bobby Hart (The Monkeys), Abraham Laboriel, Tim Pierce, J. R. Robinson, Bob Esty, Larry Klein, Paulino Da Costa, Tony Peluso (The Carpenters), vuoi parlarci di questo importante periodo della tua carriera?
Ci credete alle favole? Io sì. Nel 1977 ero a Tokyo con Mia Martini per il World Popular Song Festival, dove vinsi con lei il “Most outstanding song award”, con il brano “Ritratto di donna”.
Alberto Carisch, uno fra i più grandi editori italiani di sempre, venne a congratularsi e mi chiese di dargli delle canzoni per la sua Southern music, una società che operava negli Stati Uniti. Ero ancora scettico quando Alberto Testa, il compianto autore di straordinari successi, venne a trovarmi per prendere una cassetta con sei mie canzoni, per portarla personalmente negli U.S.A. Due anni dopo mi chiamarono da Los Angeles. Ho ancora nelle orecchie la voce di Bobby Hart, leader storico dei “The Monkeys”, che mi diceva che John Rowles stava incidendo una di quelle canzoni. Si trattava del brano “Good thing when it’s gone” che vide come guest star Vangelis (premio Oscar per la colonna sonora del film “Momenti di gloria”), proporsi volontariamente per eseguire un assolo di chitarra. Sbarcai a Los Angeles durante il giorno del ringraziamento e da allora non mi sono più fermato.
Here i go again” interpretata da Julie Anthony, ha girato il mondo, così come “Another chapter” eseguita da John Rowles …
Si tratta di ennesimi regali della mia avventura americana. Ero in vacanza a Londra, davanti a Buckingham Palace, intento ad ammirare il cambio della guardia, quando alle mie spalle sentii qualcuno intonare un’inconfondibile melodia, c’era una ragazza con le guance punteggiate di lentiggini, che canticchiava la mia “Here i go again”, in quei giorni al top delle classifiche in Australia. Hai capito cosa può fare una canzone? Ha fatto il giro del mondo senza spendere un soldo, semplicemente “a bordo” di un cuore, accompagnata da un ricordo.


Al World Popular Song Festival di Tokyo 1982, hai vinto un importante premio rappresentando gli Stati Uniti con il brano “Where did we go wrong”…
Il World Popular Song Festival mi ha portato fortuna, premi e soddisfazioni indimenticabili. C’ero stato già due volte, con Mia Martini e con Roberta Voltolini ma nell’edizione del 1982 ottenni il più grande e importante riconoscimento della mia carriera d’autore.
Quell’anno rappresentavo nientemeno che gli Stati Uniti d’America e vinsi il primo premio, il “Golden grand prize”, con la mia canzone “Where did we go wrong” eseguita da Anne Bertucci, con i versi di Nat Kipner (primo produttore dei Bee Gees e straordinario autore) e l’arrangiamento di Jimmie Haskell (arrangiò la famosa “If you leave me now” dei Chicago). E’ stato un risultato che pochi possono vantare, lo dico con orgoglio, anche perché quello è stato l’unico contest mondiale cui abbiano partecipato tutti i paesi, compresi quelli di lingua anglofona. Da quel momento il governo degli Stati Uniti mi ha riconosciuto un passaporto a vita, senza alcun limite di permanenza o di attività, incredibile, no?
Le tue canzoni per i bambini hanno sempre un grande successo, per esempio: Pinocchio perché no? (oltre un milione di copie vendute) e le sigle televisive (La fantastica Mimi e Cybernella), possiamo considerarle degli evergreen per i più piccoli?
Per i più piccoli di oggi e i “più piccoli” di ieri. Ho visto lacrime di commozione in persone ormai grandi, che cantando in coro con me, mi hanno confessato l’emozione di avermi incontrato, di aver finalmente conosciuto dopo tanti anni chi li aveva affascinati quando da giovanissimi seguivano quelle indimenticabili serie di cartoni animati in TV.
Ho scritto quasi seicento canzoni e moltissime sono divenute degli evergreen, successi che mi danno ancora tante soddisfazioni ma “Pinocchio perché no?” e le altre sue “sorelline”, sono un’altra cosa: fuori dal tempo, dalle mode, soprattutto fuori dalle logiche del mercato discografico. Quelle canzoncine vanno avanti e sembrano non soffrire della crisi che ha investito l’industria del disco. Resteranno nel cuore e nella mente di tutte quelle persone che in esse ritrovano i profumi, i suoni della loro giovinezza. 

 
Nel 1977 insieme a Tony Cicco, Carla Vistarini, Riccardo Fogli, Viola Valentino, Giancarlo Lucariello e Danilo Vaona avete fondato il supergruppo dei Fantasy, cosa ricordi di quel progetto?
Si è trattato di un esperimento unico nella storia del pop italiano: volevamo creare, e ci siamo riusciti, una specie di comunità musicale che unisse in sé personaggi eterogenei con caratteristiche, storie e ruoli diversi. Un’idea appassionante che ci coinvolse tutti e ci portò alla realizzazione dell’album “Fantasy”. Non potevamo immaginare che da lì a poco, eventi legati alle nostre singole carriere, ci avrebbero riportato su strade diverse. Ottenemmo un discreto successo in Inghilterra con “Surrender”, la versione inglese di “Cantando”, primo e unico singolo estrapolato da quello “storico” album. E’ ancora forte il ricordo di quell’esperienza unica e davvero romantica.
La nevicata del ‘56” cantata a Sanremo da Mia Martini, una grande soddisfazione?
Enorme! Fra tutte le voci che hanno interpretato le mie canzoni, quella di Mia, è la “mia” prediletta. Carla ed io (era lei l’autrice del testo originale presentato al festival, testo cui Franco Califano aveva contribuito con una piccola variazione iniziale, una riga estrapolata dalla sua versione “cantautoriale”, al maschile), eravamo convinti che ci saremmo aggiudicati il primo premio, ma fu proprio Mia a confidarci che “La nevicata” avrebbe ottenuto “soltanto” il premio della critica. Che dire? Quel premio è valso come il riconoscimento più alto, dal valore incommensurabile. La nostra canzone da allora è entrata nel repertorio dei classici della musica pop italiana. Non c’è inverno, non c’è nevicata che non richiami “La nevicata del ‘56”, che non riporti a quelle note, alla voce di un’anima insuperabile, quella della nostra indimenticabile Mia Martini.


La discografia italiana è quasi scomparsa, in televisione non si ascoltano canzoni, tranne che nei talent-show, una coppia di autori come Lopez-Vistarini potrebbe vivere di musica oggi?
Naturalmente la domanda non allude alla coppia, al valore degli autori, vero?
Il problema che è insito nella questione è quello legato alla situazione generale del paese. La creatività tutta soffre della deriva economica che ci sta portando verso scenari inattesi e speriamo non futuribili. E’ comprensibile che i “prodotti” della creatività siano fra i primi “generi di consumo” a soffrire del malessere che si è venuto a creare.
Una coppia di autori come la nostra, avrebbe legittimamente ragione di esistere e di produrre anche oggi, a patto di essere in un contesto professionale vitale come quello che ci ha visto protagonisti e super attivi fino a una decina di anni fa. In quel periodo è iniziato il declino della nostra economia e con essa l’appannamento di tantissime attività, con scopi non primari, come le produzioni musicali. Sempre ammesso che le produzioni musicali possano definirsi beni non primari.
Personalmente ritengo la musica un “ossigeno” indispensabile alla sopravvivenza. Come diceva Oscar Wilde? ”Potrei fare a meno di tutto tranne che del superfluo”.
Purtroppo, la “cosa-pubblica-musicale” sembra essere caduta nelle mani di una piccola e malinconica oligarchia, con la complicità di una televisione sempre più soffocata da interessi commerciali e sensazionalistici. Il quadro che ne viene fuori non sembra poter ospitare la voglia di progettualità, di studio, di compartecipazione, che sussisteva ai nostri tempi e che ha reso possibile la nascita dei grandi cantautori e in genere di tutto il meglio della nostra attività e della nostra produzione musicale.
Delfini”, in altre parole l’incontro con Domenico Modugno e Franco Migliacci, che ricordo hai della vostra collaborazione?
Quando ho incontrato il grande Modugno mi tremavano gli occhi, le mani. “Delfini”, con quel meraviglioso testo di Franco Migliacci, ha segnato la storia della mia vita musicale in Italia. Ho vissuto quella realizzazione come un sogno. Tutto è stato perfetto, magico, dal lavoro di Stefano Borzi, bravissimo arrangiatore del brano sino a Massimo Modugno, che con commozione ha superato se stesso per essere all’altezza di un papà così monumentale. Io mi sono goduto giorno per giorno il perfezionamento della registrazione, come si osserva un pittore che proceda sulla sua tela, con quei piccoli tocchi e ritocchi. “Delfini” è sostanzialmente un quadro, pieno di metafore e di emotività, non c’è un rigo in quella canzone, che non arrivi alla mente o al cuore.
Modugno, Domenico, Mimmo, chiamiamolo come più ci piace, il grande “Mr. Volare” aveva davvero le ali. Durante la registrazione non volle che sulla sua voce fosse messo nessuno dei tecnologici effetti che avrebbero potuto aiutare la sua performance. Straordinario e insuperato maestro.
Sei uno dei pochi autori che ha scritto canzoni sia per Mina sia per Ornella Vanoni, una bella soddisfazione?
Due grandi antagoniste? O due insuperabili contendenti? Beh, comunque entrambe nel mio “libro dei record”. Ancora non saprei dire chi di queste due immense interpreti sia la mia preferita; me le tengo strette, strettissime nell’album delle mie soddisfazioni più preziose. Brani quali “Ancora dolcemente”, “Mi piace tanto la gente”, “La voglia di sognare”, come potrei mai decidere per l’una o per l’altra? Impossibile!


Luigi Lopez Oggi…
Con mio figlio Riccardo è nata un’intesa musicale assai promettente. Questione di DNA? Lo scorso anno la nostra canzone “Sailor”, cantata da Riccardo, ha scalato le classifiche di tutte le radio Web, staremo a vedere …
Per quanto mi riguarda, come ieri, come domani, finché ne avrò l’energia, tenterò di scrivere l’ennesima canzone, per me, per gli altri, per tutti quelli che abbiano ancora desiderio e necessità di una melodia da portarsi appresso.
Vorrei, per finire, riuscire a dare il mio contributo di idee e di comportamenti, affinché la figura dell’autore sia finalmente riconosciuta, tutelata, inquadrata come merita, nel tessuto del nostro vivere comune.
Ringrazio di cuore William Molducci per questa stimolante intervista e voi tutti per avermi letto e talvolta ascoltato.

Si ringrazia Luigi Lopez per la disponibilità del materiale fotografico

Copyright © by William Molducci

1 commento:

Anonimo ha detto...

Caro Luigi, un abbraccio e molti auguri (stesso compleanno tu ed io...) Piero

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