giovedì 19 dicembre 2013

Il Teatro civile di Simone Cristicchi: Magazzino 18

Magazzino 18 rappresentato a Pola in Istria

Di Daria Deghenghi

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Chi lo ha contestato (generalmente a priori) non ha capito niente di ciò che volevasi dimostrare. “Magazzino 18” non è l’invocato processo a Tito o, peggio, a una nazione, e non è l’indulto per le foibe. Non è rivendicazione del territorio, non è irriverenza, non è odio e soprattutto non è incitamento all’odio. “Magazzino 18” è solo ed è unicamente la condanna del terrore dell’uomo sull’uomo. Per capirci: di qualsiasi terrore e di qualsiasi uomo che infligga terrore al proprio simile. Ma soprattutto è redenzione delle vittime. Per capirci un’altra volta, se ce ne fosse ancora il bisogno: di qualsiasi vittima innocente, di oggi, di ieri e di sempre.



 

Chiusa parentesi sull’umano bisogno di cercare il pelo nell’uovo e il nemico dietro l’angolo, prendiamo il lavoro di Simone Cristicchi per quello che voleva essere ed è di fatto: una splendida narrazione, epica e lirica al contempo, dell’esodo giuliano-dalmata con tutti gli antefatti e le conseguenze; un magnifico allestimento teatrale, un buono strumento didattico per chi ancora fosse digiuno di storia e geografia patria e un eccellente contributo alla corrente riconciliatoria che si va affermando malgrado tutto di qua e di là dal confine.
Confine che fu il casus belli, la fonte di tutte le sciagure. La storia (Bernas, Cristicchi) è veloce, incalzante, incisiva, commovente; la regia (Antonio Calenda) è lineare e pulita, costruita ad innesto di storie particolari nella trama universale, rafforzate da video, fotografie e brani musicali toccanti; la recitazione ineccepibile. Cristicchi è in scena un’ora e tre quarti senza prendere fiato. È uno e trino nei personaggi di Persichetti, dello Spirito e della Vittima (a turni, la vittima del fascismo, la vittima di un’amministrazione angloamericana indifferente, la vittima dell’esodo e dell’espropriazione dei beni, la vittima dell’ostilità dei connazionali in patria, la vittima del revanscismo e delle foibe, la vittima dell’illusione e della disillusione nel socialismo). Il pretesto della narrazione è uno qualunque. L’archivista Persichetti è chiamato dal Ministero degli Interni a fare l’inventario, per poi farlo sparire, delle masserizie accatastate da decenni in un magazzino del porto di Trieste. È nostro amico dal momento in cui apre bocca perché ci rappresenta. Rappresenta chi ignora, chi è pauroso, chi preferirebbe non averci mai messo piede in quella palude di morti e di memoria seppelliti nel silenzio più assoluto, e chi  tuttavia vuole sapere e non vuole più tacere di fronte a tanta ingiustizia.
Persichetti non conosce, ma d’altronde è scontato: è giovane ed è romano, non ha parenti esuli, in Croazia ci andrà solo per fare il bagno, non ha mai sentito parlare di “esodo” (tant’è che ci mette l’accento sulla prima “o”) né conosce l’aggettivo “giuliano-dalmata” (e infatti lo scambia per un nome proprio di persona: il tale Giuliano Dalmata). È spassoso come Alberto Sordi, è mite, buono ed è sincero. Sguardo ebete per timore, occhi fuori dalle orbite, capelli alla scienziato pazzo, con Persichetti Cristicchi ha dato il meglio di sé e ha reso onore alla lunga tradizione comico-satirica italiana. Ma la satira è solo un ornamento. La storia è ben altra, ed è drammatica da non poter trattenere le lacrime. A raccontarla sarà lo Spirito delle masserizie (sempre Cristicchi, non meno convincente di prima), la voce narrante che a momenti si fa un freddo documentarista, a momenti giudice universale e a tratti anche sacerdote, per recitare l'ennesimo suffragio alle vittime.



I fatti sono noti ai giuliani ma vanno insegnati a chi ancora non conosce. Serve allo scopo la breve ricostruzione storica e geopolitica per disegnare l’Istria dal 1914 in qua: dissoluzione della monarchia austroungarica, fascismo, occupazione, guerra, armistizio, truppe titine a Trieste, amministrazione anglo-americana a Pola, Trattato di Pace, Vergarolla, foibe, esodo, il mea culpa di Đilas, il controesodo dei monfalconesi, l'Isola calva. Ma il quadro storico sarebbe piuttosto arido se Cristicchi non ci avesse incastonato la sciagura degli individui, le vittime che "muoiono ancora oggi su un altro campo di battaglia: quello dei numeri". Poche troveranno posto sulla scena di Magazzino 18, ma sono emblematiche: quella che è stata stuprata 17 volte in una notte e gettata in foiba, quello che ci finì dentro fucilato e quello che invece lo seguì da vivo solo per subire una morte ancora più atroce, quello che morì e quello che sopravvisse alla strage di Vergarolla solo per seppellirne la famiglia intera, quello che temette per la propria vita e partì esule, quello che fu costretto a lottare contro i pregiudizi di un'Italia matrigna, quella che morì assiderata in un campo profughi all'età di un anno e quello infine che s’impiccò perché “senza radici non si può vivere”.... Vittime senza numero e senza nome, tranne uno: il medico chirurgo Giuseppe Micheletti, che non ha smesso di operare giorno e notte malgrado avesse perso lui stesso in spiaggia entrambi i figlioletti. La sciagura degli italiani d’Istria è agghiacciante e “Magazzino 18” ne offre una brillante testimonianza che è, insieme, catarsi e lezione di vita da “non dimenticare”. Proprio come recita l’undicesimo comandamento di Cristicchi. Non dimenticare.


Daria Deghenghi, giornalista, vive a Pola e scrive per il quotidiano dell'Istria e del Quarnero “La Voce del Popolo”.

Fotografie gentilmente concesse da Alen Kalebić



Copyright © by Daria Deghenghi

1 commento:

Anonimo ha detto...

articolo veramente bello. Come lo spettacolo.

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