Rubrica di cinema
corto
a cura di Simonetta
Sandri e William Molducci
Anna bello sguardo
di Vito Palmieri
Anna
bello sguardo è nato da un'idea elaborata dal regista Vito Palmieri
(in concorso a Sedicicorto anche con Matilde,
selezionato alla Berlinale 2013 e premiato al Toronto International
Film Festival), insieme alla classe II C della Scuola Secondaria
Testoni Fioravanti di Bologna. Il film ha come protagonista Alessio
un ragazzino con la passione del basket, che non riesce a giocare con
i suoi coetanei a causa della sua bassa statura. Un giorno, mentre si
trova nel ristorante della nonna, presta attenzione alla fotografia
di Lucio Dalla, morto da appena un mese, ritratto insieme ad Augusto
Binelli il pivot della Virtus Bologna. Si tratta di una fotografia a
suo tempo molto conosciuta, ma al giorno d'oggi passata oramai nel
dimenticatoio nel mondo degli adolescenti. Nonostante la notevole
differenza di statura dei due uomini, Alessio li crede entrambi
giocatori di basket, sarà la nonna a rivelargli che Lucio non è un
giocatore, ma un musicista. Alessio
inizierà a capire che la statura non è così importante per
realizzarsi nella vita, inoltre, riuscirà a conquistare la simpatia
di Anna, la compagna di scuola preferita. E proprio insieme ad Anna
correrà per le strade di Bologna sino a giungere sotto le finestre
del palazzo dove abitava Lucio Dalla, giusto in tempo per ascoltare
il brano Anna
e Marco,
lo stesso che alla ragazza ricordava i viaggi in auto con i suoi
genitori, le cui note sono il motivo conduttore del film e molto
probabilmente della loro adolescenza.
Anna bello sguardo è
stato girato tra i luoghi frequentati dal cantante bolognese, tra cui
la Trattoria Annamaria (dove la proprietaria interpreta la nonna del
ragazzo), Piazza Maggiore e naturalmente anche Via Massimo D'Azeglio,
dove risiedeva e dove recentemente è stata dipinta la sua sagoma,
mentre suona il sax con attorno i gabbiani delle isole Tremiti, sul
balcone di casa, ad opera dell'artista trevigiano Mario Martinelli. Lucio Dalla naturalmente
non recita nel film, ma è lui l'indubbio protagonista della storia,
così come lo sono i suoi suoni e gli accordi che accompagnano le
varie scene, i colori delle strade del centro di Bologna e gli
sguardi della gente che ascolta la sua canzone in strada. (WM)
1937
di
Svetozar Golovlev
In 18 minuti, Golovlev proietta lo spettatore negli anni cupi della Russia del Grande Terrore ovvero della repressione diretta da Stalin per “epurare” il partito comunista da presunti cospiratori. Il 1937 rappresenta, infatti, il periodo più acuto per arresti e processi. In questo clima, osserviamo due giovani con in braccio il loro bambino a bordo di un treno affollato dai colori smunti. Lei ha il capo coperto da un umile fazzoletto, lui, Stepa, indossa un basco verdino che lo fa sembrare più vecchio. Da abiti e vegetazione potremo essere in Settembre, freddo ma non troppo. Per la dolcezza del viso, la ragazza ricorda la Maria del Gesù di Nazareth di Zeffirelli. Gli occhi sembrano di altro colore, ma bellezza e tenerezza sono le stesse. La paura è altrettanto presente nello sguardo di entrambe, ma identica speranza accompagna i loro passi. Ascoltiamo questi giovani chiacchierare, in attesa di vederli scendere alla fermata che li porterà in una chiesa di un villaggio alla periferia di Mosca dove sono diretti per battezzare il figlioletto. Durante la camminata, di notte, dal finestrino di un treno che trasporta prigionieri in luogo lontano e segreto, una mano anonima lascia cadere un biglietto manoscritto. I giovani lo raccolgono, trepidanti ma curiosi e vi leggono un appello ad un familiare, una dichiarazione di innocenza, ma al tempo stesso d’amore, di volontà di rassicurare una moglie amata lontana. Tentennano, vorrebbero trasmettere quella missiva ma sono terrorizzati dal poter essere arrestati come oppositori del comunismo. Angosciati, pensano di essere inseguiti nel buio della notte e, nel timore, gettano il biglietto che poteva essere la salvezza di un prigioniero o l’ultimo saluto alla famiglia ignara del destino in agguato. Giunti alla chiesa ortodossa cui erano diretti, qui incontrano un’altra coppia arrivata per sposarsi, in segreto. Così come in segreto deve essere celebrato il battesimo, altrettanto dovrà avvenire per il matrimonio. Se i futuri sposi giungono senza testimoni di nozze, i nostri protagonisti arrivano senza padrino e madrina. Allora le coppie si aiutano. Nel battesimo, l’acqua purificatrice laverà via le paure, indicherà la soluzione che si cerca con difficoltà. Perché capiamo che i due giovani, che sembrano ritrovare, sulla strada del ritorno, il foglietto gettato nell’ombra, faranno in modo che quel messaggio venga recapitato. Perché la coscienza e l’amore trionfano su ogni repressione. (SS)
Il Passo della lumaca
di
Daniele Suraci
Il passo della lumaca di
Daniele Suraci, si apre con una serie di sguardi e di gesti ripresi
in primo piano, con ottimi tagli di regia e movimenti di macchina. Si
tratta degli sguardi e del sorriso di un bambino, che accompagna la
mamma a fare acquisti e, per nulla interessato agli interessi della
madre, trova il modo di giocare con una lumaca, che lentamente
scivola sulla vetrina di un negozio. Oltre a questi due elementi,
accompagnati da una costruzione musicale al servizio delle immagini,
in simbiosi con le azioni del piccolo protagonista, appare il volto
di una bambina, che abita di fronte al negozio in cui si svolge
l'azione. La bimba ha uno sguardo triste e il ragazzino fa in modo di
strapparle un sorriso, giocando con dei cappelli ed altri oggetti,
prelevati ed indossati da un negozio, che li espone in strada.
La parte iniziale del
film è ricca di spunti ed attese, quasi come si svolgesse in un
momento di sospensione, rispetto allo svolgersi degli avvenimenti.
Non ci sono parole, ma soltanto gesti, sguardi, rumori, risate e le
azioni dei due piccoli protagonisti. Questo momento “sospeso”
svanisce con lo svanire dei giochi del bambino, che torna a casa con
la sua mamma. Il finale non ha la stessa intensità della prima parte
del film e forse i dialoghi finali disturbano l'atmosfera che si era
creata sino a quel punto, anche se risultano necessari in quanto sarà
la madre della bambina a continuare il gioco, parlando con lei.
Questa, avendo assistito a tutta la scena descriverà le azioni che
aveva fatto il bambino, suscitando finalmente i sorrisi della figlia.
Si tratta di una buona prova di regia da parte di Suraci, pur avendo
avuto a che fare con un soggetto di una certa complessità, in quanto
basato esclusivamente sui movimenti, gli sguardi e gli umori di due
bambini.
Ottima la colonna sonora
realizzata da Giordano Corapi, musicista romano di grande talento,
autore delle musiche degli spettacoli di Gabriele Lavia (tra cui
Macbeth,
Danza di morte
e Il malato immaginario)
e di quelle di numerosi cortometraggi tra cui Sulla
strada di casa, Marta
con la A e La
piccola illusione, diretti
da Emiliano Carapi, Tana
libero tutti di Vito
Palmieri (tra i tanti premi ottenuti per la colonna sonora, citiamo
quello assegnato dal Genova Film Festival 2007) e La
bas di Guido Lombardi. (WM)
di Mikhail Mestetskiy
Siamo
in Russia, con un interessante cortometraggio, che ha ricevuto una
menzione speciale della Giuria al Lago film festival, come Best
International Fiction Film, oltre che
una al 31
Festival Tout Court
di Aix-en-Provence. Due treni si fermano
improvvisamente l’uno di fronte all’altro, su due linee
parallele, davanti al mare e ad un cielo rosato popolato da gabbiani
in volo. I tralicci dell’alta tensione e della luce aprono le
braccia verso il cielo, svettano verso l’alto, inermi. Paiono rami
secchi. Il guasto sulla linea, che forse dura poche ore, forse un
giorno o forse piú, ferma le vite dei passeggeri, immobilizza azioni
e pensieri ma allo stesso tempo incrocia svariate vicende umane. Un
ragazzo osserva fuori dal finestrino ed incrocia lo sguardo di una
ragazza mora che scoprendo la maglietta bianca gli mostra il seno, in
un candido e stravagante invito. Il gesto colpisce per la sua
stranezza ma allo stesso tempo per la sua tenerezza. Il finestrino
rimane quasi appannato, il treno scorre per un momento avanti ed
indietro, i vagoni sfilano, le carrozze si mescolano per poi tornare
una di fronte all’altra. Le vite dei passeggeri passano sullo
schermo, chi muore, chi nasce, 20 minuti di pellicola che potrebbero
essere 20 anni, ogni minuto un anno. Vi sono matrimoni, separazioni,
funerali, amici che giocano a carte, ognuno aspetta che il treno
riparta, da un momento all’altro, ma il tempo passa inesorabile. Si
aspetta, ma la vita intanto scorre. All’ultimo momento, il
protagonista che ha incrociato la ragazza del vagone di fronte, che
nel tempo ha cambiato occhiali, pettinatura ed abiti, oltre ad avere
seppellito entrambi i genitori, decide di incontrare la dolce
sconosciuta, dopo aver scambiato con lei solo due fugaci parole dal
finestrino. Ecco, tuttavia, che proprio nel momento in cui si
appresta a passare da un treno all’altro, il convoglio riparte, fra
passeggeri festosi e felici. Invano i due cercano di incontrarsi, il
tempo e’ andato, l’occasione perduta. Alcune lacrime scendono,
gli occhi rossi del nostro giovane sono in primo piano. Delusione e
tristezza per un momento mancato, per una vita che non ha incontrato
un’altra, per un finale quasi da Sliding
Doors.
Copyright © by William Molducci and Simonetta Sandri
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