Mosca,
Museo dell'Ebraismo, 4 Ottobre-17 Novembre 2013
di Simonetta Sandri
Un'altra domenica che mi chiede con forza di andare alla ricerca di qualcosa di unico, di nuovo, di straordinario. Una domenica autunnale, dove le foglie gialle, dalle mille tenui sfumature, cadono, sfiorano ed accarezzano le teste di alcune statue luccicanti alla luce di raggi di sole timido ma tiepido. Qualcuna arriva a terra, quasi con timidezza, qualche altra si appoggia sulla tua spalla e sfiora il tuo viso fresco risvegliato dalla brezza mattutina. Un'altra statua, fra le tante, sembra vigilare attenta sui passanti che la guardano, e che, chiacchierando, si girano ad ammirarla ed a compiacersi di colori degni di una sbocciante foresta canadese dipinta da mano esperta ed attenta.
Siamo
ancora qui, sempre sull'attenti, affascinati dai colori di questa
incredibile metropoli, Mosca, una città dove, nonostante le
difficoltà della lingua, si trova sempre uno spazio per essere
incuriositi, sorpresi, saltellanti e felici. Una città che vorresti
condividere con chi ami in ogni suo minimo spazio ed intimo respiro.
Dicevamo, un altro giorno di festa dove abbiamo deciso, io e il mio
fedele ed attento compagno di ricerche e passeggiate, di recarci alla
mostra di fotografia di Emmanuil Yevzerikhin. Sarà l'ennesima
sorpresa di questa splendida, maestosa e ricca città, e non lo sarà
solo la scoperta di un ennesimo nuovo fotografo ma anche e
soprattutto il luogo che ospita la sua mostra. Ancora una volta non
abbiamo sbagliato a voler sfidare il ventre tentacolare della
profonda metropolitana moscovita, che, pure nel suo caos e nel suo
soffocante affollamento, rimane un vero inno all'arte e alla potenza
dell'uomo, insaziabile creatore e forgiatore.
Dotato
di grande senso dell'orientamento, che invece a me manca quasi del
tutto, dall'uscita della metro Marina Roshcha, il mio accompagnatore,
cartina alla mano, mi conduce alla Ulitsa Obraztsova numero 11.
Eccoci di fronte alla maestosa entrata del Museo dell'Ebraismo e del
Centro della Tolleranza, dove ad accoglierci, seduto a pensare o
semplicemente solo a riposarsi, vi è un serio signore barbuto, dal
capo coperto. che rappresenta lo stereotipo del personaggio che ci si
può attendere in questo quartiere.
Il
museo, inaugurato nel Novembre 2012 alla presenza di Shimon Peres,
pare essere il più grande al mondo, 9.000 metri quadri di
esposizione di manufatti ebraici ma anche un percorso che va dalla
creazione del mondo, passando per il dono della Torah, i Templi a
Gerusalemme fino alla storia delle persecuzioni. In un prossimo
articolo torneremo sul Museo, che merita spazio a sé, ora vogliamo
concentrarci sulla mostra fotografica. Entriamo, quasi timorosi, con
un po' di cautela e di rispetto, e ci troviamo immediatamente di
fronte ad una struttura enorme, interessante per la sua particolare
forma e per l'essere un esempio di ristrutturazione industriale da
manuale. Alla sinistra della biglietteria si trova l'esposizione
fotografica per la quale siamo arrivati fin qui. Lungo un corridoio
che spicca per il colore acceso ed intenso dei suoi mattoni, lasciati
a respirare e traspirare la loro aria originaria, appese alle pareti
di destra, scorrono fotografie della vita delle comunità ebraica
russa degli anni ‘50-‘60. Sono scene di vita quotidiana, tutte
rigorosamente in bianco e nero, quelle che appaiono al visitatore.
Due
parole sull’autore, prima di scorrere le immagini. Emmanuil
Yevzerikhin (1911-1984) è noto come fotografo dell’era sovietica
ed autore di scatti famosi di eventi della Seconda Guerra Mondiale,
quali quelli della battaglia di Stalingrado, e di celebrità
dell’epoca come Maxim Gorky, Mikhail Kalinin, Valery Chkalov e
Mikhail Gromov. Nonostante la sua brillante carriera come fotografo
dell’era sovietica nell’agenzia Tass, Yevzerikhin rimase legato
alle proprie radici. Nato, infatti, nel 1911 a Rostov sul Don da
famiglia ebrea, continuò ad essere coinvolto nella vita della
comunità ebraica, dando luce ad una serie di fotografie ora
presentate alla Mostra del Museo dell’Ebraismo. Queste foto
testimoniano come la gente comune rifiutasse che un regime repressivo
impedisse loro una vita spirituale attiva.
Nell’esposizione
moscovita di oggi, ammiriamo fotografie della Sinagoga Corale della
Capitale, costruita fra il 1887 ed il 1906, conservate come parte
dell’archivio personale di Yevzerikhin, acquisito, dopo la sua
morte, dalla Sepherot Foundation, un’organizzazione basata nel
Liechtenstein, dedicata alla raccolta dell’arte russa del XVII-XX
secolo.
Pur
ripetitive, le immagini immortalano anche piccoli dettagli, persone
colte di sorpresa, Torah aperte, preghiere collettive nella sinagoga
nel giorno di festa dello Shabbat, immagini in fila che ciascuno di
noi può far scendere da un filo che le sfalserà alla vista. Una
sopra, una sotto e poi ancora su e giù, di lato e di fronte, così
si può vedere e ricostruire la scena come si vuole, nell'ordine che
si preferisce. Sono tutte allineate come una pellicola, appese al
soffitto con un lungo cavo metallico, sono sicura che se si potessero
far scorrere velocemente, essendovene molte simili e che differiscono
in minimi particolari, si potrebbe ottenere un effetto cartone
animato.
Nello
sfilare delle immagini simili se non spesso quasi uguali, all’esterno
della sinagoga appaiono uomini vestiti in maniera pressoché
identica, che stanno innocentemente a guardare ed osservare lo
sfilare delle persone che entrano ed escono dalla sinagoga. La
curatrice della mostra, Maria Yesimova, ha indicato che potessero
essere membri dell’apparato governativo di sicurezza, pronti a
prendere nota dei nomi di che frequentasse quel luogo. Immagini e
riflessioni che turbano la visita e che ci fanno ricordare, ancora
una volta, la difficile, tragica e complessa storia degli ebrei di
Russia. Ma questo è un altro capitolo
Copyright © Simonetta Sandri
Le
fotografie esposte sono copyright © Sepherot Foundation
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