sabato 12 aprile 2014

Ferdinando Scianna, Ti mangio con gli occhi

Ferdinando Scianna, Ti mangio con gli occhi, Ed. Contrasto 2013

di Eleonora Bonoretti

Ferdinando Scianna, classe 1943, uno dei fotografi più famosi al mondo, introdotto da Henri Cartier-Bresson nel 1982 come primo italiano nella prestigiosa Agenzia Magnum, ha iniziato la sua carriera tra le cerimonie e le Feste religiose della sua terra.



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Nasce a Bagheria e inizia a fotografare negli anni '60 durante gli studi alla facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo; dall'amicizia con Leonardo Sciascia ai reportage per "L'Europeo", attraverso le pubblicazioni per "Le Monde Diplomatique" e poi il 1987, anno in cui si confronta con la fotografia di moda, riscuotendo un successo internazionale, fino ai giorni nostri con "Ti mangio con gli occhi", una raccolta di memorie personali e ricordi professionali, per ognuno dei quali esiste un gusto indimenticabile, un odore penetrante e un'immagine ad accompagnarlo.


F. Scianna é fotografo, ma anche giornalista, scrittore e critico visuale. In questo progetto il testo prende il sopravvento sulle immagini, la cucina diventa la lingua. “Questo non è un libro sulla cucina e ancora meno un libro di cucina. Non ci sono ricette. E magari è uno dei suoi più gravi difetti. E’ un libro sul mangiare e sul ruolo fondamentale che il cibo ha avuto e ha nella mia memoria e nelle mie esperienze di vita”, scrive nell’introduzione.
E’ dal suo paese natio, da Bagheria, che il libro si apre, tra le memorie del Bar Aurora, sul corso Umberto, la migliore gelateria e pasticceria, regno indiscusso del miglior caffè. Scrive Scianna: "Per un baarioto, il caffè dell'Aurora era la pietra di paragone assoluta e insuperata. Uno poteva andare in viaggio per pochi giorni o emigrare per decenni. La prima cosa che faceva tornando era precipitarsi all’Aurora per prendere un caffè, il caffè”. Il corso oggi, è una via piena di mostri edilizi, il Bar Aurora chiuse inaspettatamente e così ne resta solo il mito, il ricordo del sapore della crostatina di fragoline di Ribera a maggio, con l’impalpabile sottigliezza e leggerezza della pasta frolla e la perfetta densità della crema di burro. I racconti continuano, fra le abitudini locali, fra le grida dei venditori ambulanti di pesce, frutta e verdura che scandiscono i ritmi delle stagioni con l’alternanza della propria mercanzia; le sardine di Aspra, i meloni gialli di Ficuzza, i cavuliceddi e i gelsi neri. Tra i rami del limoneto di famiglia, ci narra della credenza popolare che attribuisce la morte di un prete a ogni perfetto sbucciamento di limone. Del profumo denso delle zagare ad agosto, dei dolcissimi limoni che solo i rami torti possono offrire e della prima lezione sull’egoismo e sull’avidità ricevuta, per aver scelto il limone più grosso, rivelatosi poi il più aspro, tra i quattro frutti che il padre aveva posto sul tavolo come promessa di delizia alla fine del pasto.
Nei ricordi della sua infanzia e adolescenza siciliana incontriamo: la mafalda, un pane bianco e morbido, cosparso di semi di sesamo, dove si racchiudono le panelle; lo sfincione, una specie di pizza o torta di cipolle, che cambia preparazione secondo i condimenti (le cuonze). Tradizioni culinarie che si legano alla storia di un popolo e alla sua storia personale, personaggi tipici come Ciccio Mosca, pescatore esperto nel cucinare l’ammuogghiu per condire la pasta, Zu Bastianu, vaccaro che insieme alla moglie portava le due mucche in strada per vendere il latte fresco, munto direttamente nelle gamelle dei clienti di quartiere.
I sapori della Sicilia lo accompagnano sempre, diventano una necessità anche a Milano, dove oggi Scianna risiede, un richiamo stagionale come quello del finocchietto selvatico di montagna, senza il quale, la pasta con le sarde non si può fare, è il piatto identitario per eccellenza con la sua sicilianità, come quello degli asparagi selvatici che ogni anno richiamavano l’amico Leonardo Sciascia a Racalmuto per degustarli.
I cibi, i sapori, restano impressi indelebilmente nell’animo, come le polpette al sugo, mangiate a New York, in casa dei genitori di Martin Scorsese. Lui, come i suoi genitori non sono nati in Sicilia, ma andavano a comprare il pane a New York da una fornaia proveniente da Polizzi Generosa vicino a Palermo, che nemmeno lei era mai stata al suo paese di origine. “Ma il sapore di quel pane, come quella neolingua mezza siciliana e mezza americana che scambiavano per italiano, era ancora una patria, il racconto di un’identità.”
Per Scianna, oggi siamo tutti un po’ emigranti dentro, ed è per questo che la cucina diventa la primordiale lingua che ci lega alla nostra terra. La Sicilia è la grande protagonista di questi brevi racconti, ma non solo. C’è la cucina di Paul Bocuse, a Lione, lo spuntino di Ferran Adrià, L’anatra di Parigi, El molino de chocolate, ci sono le saline della Bolivia e i pesci dal volto umano. Non mancano le riflessioni sugli scandali alimentari del nostro secolo, La distruzione delle arance, lo scafazzo, sovrapproduzioni di frutta condotte in discarica per calmierare il mercato e non fare crollare i prezzi, pere e arance ammucchiate, irrorate di sostanze per renderle inconsumabili e poi schiacciate da ruspe che ne completano l’uccisione; non mancano le domande nel racconto sui macelli industriali, dopo averne visitato uno in Argentina, dichiara di essere diventato vegetariano per venti giorni.
Ti mangio con gli occhi è anche un libro di viaggi, di gusti della memoria che si ritrovano e ci fanno sentire un po’ di casa in ogni dove. E’ soprattutto il cibo di strada, che secondo Scianna, “è la lingua popolare vera, che, mentre definisce l’identità di un paese, getta un efficacissimo ponte di comunicazione con ogni visitatore straniero. Una lingua che si comprende al volo, senza bisogno di traduzione”.
L’ultimo racconto appare come una confessione: “Non c’è niente che mi rassereni come cucinare. Per me è quasi come ascoltare musica: mette in moto razionalità ed estetica. E’ regola codificata, da rispettare con grande scrupolo artigianale, e nello stesso tempo possibilità di sperimentazione.”
Spesso si sente usare l’espressione, “Parla come mangi”… dopo aver letto questo intenso libro, potrei dire che Ferdinando Scianna, non solo parla come mangia, esprimendosi in una scrittura piacevole e intrigante, ma, soprattutto, guarda come mangia. Gli scatti si accompagnano perfettamente ai racconti come il sucu o l’astratto di pomodoro alla pasta, niente è fuori posto, il libro scivola veloce fra sensazioni e ricordi, fra profumi caldi e dolciastri, fra sapori pungenti e avvolgenti.

Copyright © by Eleonora Bonoretti

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