Ferdinando
Scianna, Ti mangio con gli occhi, Ed. Contrasto 2013
di
Eleonora Bonoretti
Ferdinando
Scianna, classe 1943, uno dei fotografi più famosi al mondo,
introdotto da Henri Cartier-Bresson nel 1982 come primo italiano
nella prestigiosa Agenzia Magnum, ha iniziato la sua carriera tra le
cerimonie e le Feste religiose della sua terra.
Nasce
a Bagheria e inizia a fotografare negli anni '60 durante gli studi
alla facoltà di Lettere e Filosofia di Palermo; dall'amicizia con
Leonardo Sciascia ai reportage per "L'Europeo", attraverso
le pubblicazioni per "Le Monde Diplomatique" e poi il 1987,
anno in cui si confronta con la fotografia di moda, riscuotendo un
successo internazionale, fino ai giorni nostri con "Ti mangio
con gli occhi", una raccolta di memorie personali e ricordi
professionali, per ognuno dei quali esiste un gusto indimenticabile,
un odore penetrante e un'immagine ad accompagnarlo.
F.
Scianna é fotografo, ma anche giornalista, scrittore e critico
visuale. In questo progetto il testo prende il sopravvento sulle
immagini, la cucina diventa la lingua. “Questo non è un libro
sulla cucina e ancora meno un libro di cucina. Non ci sono ricette. E
magari è uno dei suoi più gravi difetti. E’ un libro sul mangiare
e sul ruolo fondamentale che il cibo ha avuto e ha nella mia memoria
e nelle mie esperienze di vita”, scrive nell’introduzione.
E’
dal suo paese natio, da Bagheria, che il libro si apre, tra le
memorie del Bar Aurora, sul corso Umberto, la migliore gelateria e
pasticceria, regno indiscusso del miglior caffè. Scrive Scianna:
"Per un baarioto, il caffè dell'Aurora era la pietra di
paragone assoluta e insuperata. Uno poteva andare in viaggio per
pochi giorni o emigrare per decenni. La prima cosa che faceva
tornando era precipitarsi all’Aurora per prendere un caffè, il
caffè”. Il corso oggi, è una via piena di mostri edilizi, il
Bar Aurora chiuse inaspettatamente e così ne resta solo il mito, il
ricordo del sapore della crostatina di fragoline di Ribera a maggio,
con l’impalpabile sottigliezza e leggerezza della pasta frolla e la
perfetta densità della crema di burro. I racconti continuano, fra le
abitudini locali, fra le grida dei venditori ambulanti di pesce,
frutta e verdura che scandiscono i ritmi delle stagioni con
l’alternanza della propria mercanzia; le sardine di Aspra, i meloni
gialli di Ficuzza, i cavuliceddi e i gelsi neri. Tra i rami
del limoneto di famiglia, ci narra della credenza popolare che
attribuisce la morte di un prete a ogni perfetto sbucciamento di
limone. Del profumo denso delle zagare ad agosto, dei dolcissimi
limoni che solo i rami torti possono offrire e della prima lezione
sull’egoismo e sull’avidità ricevuta, per aver scelto il limone
più grosso, rivelatosi poi il più aspro, tra i quattro frutti che
il padre aveva posto sul tavolo come promessa di delizia alla fine
del pasto.
Nei
ricordi della sua infanzia e adolescenza siciliana incontriamo: la
mafalda, un pane bianco e morbido, cosparso di semi di sesamo,
dove si racchiudono le panelle; lo sfincione, una
specie di pizza o torta di cipolle, che cambia preparazione secondo i
condimenti (le cuonze). Tradizioni culinarie che si legano
alla storia di un popolo e alla sua storia personale, personaggi
tipici come Ciccio Mosca, pescatore esperto nel cucinare
l’ammuogghiu per condire la pasta, Zu Bastianu, vaccaro
che insieme alla moglie portava le due mucche in strada per vendere
il latte fresco, munto direttamente nelle gamelle dei clienti di
quartiere.
I
sapori della Sicilia lo accompagnano sempre, diventano una necessità
anche a Milano, dove oggi Scianna risiede, un richiamo stagionale
come quello del finocchietto selvatico di montagna, senza il quale,
la pasta con le sarde non si può fare, è il piatto identitario per
eccellenza con la sua sicilianità, come quello degli asparagi
selvatici che ogni anno richiamavano l’amico Leonardo Sciascia a
Racalmuto per degustarli.
I
cibi, i sapori, restano impressi indelebilmente nell’animo, come le
polpette al sugo, mangiate a New York, in casa dei genitori di Martin
Scorsese. Lui, come i suoi genitori non sono nati in Sicilia, ma
andavano a comprare il pane a New York da una fornaia proveniente da
Polizzi Generosa vicino a Palermo, che nemmeno lei era mai stata al
suo paese di origine. “Ma il sapore di quel pane, come quella
neolingua mezza siciliana e mezza americana che scambiavano per
italiano, era ancora una patria, il racconto di un’identità.”
Per
Scianna, oggi siamo tutti un po’ emigranti dentro, ed è per questo
che la cucina diventa la primordiale lingua che ci lega alla nostra
terra. La Sicilia è la grande protagonista di questi brevi racconti,
ma non solo. C’è la cucina di Paul Bocuse, a Lione, lo
spuntino di Ferran Adrià, L’anatra di Parigi, El molino
de chocolate, ci sono le saline della Bolivia e i pesci dal volto
umano. Non mancano le riflessioni sugli scandali alimentari del
nostro secolo, La distruzione delle arance, lo scafazzo,
sovrapproduzioni di frutta condotte in discarica per calmierare il
mercato e non fare crollare i prezzi, pere e arance ammucchiate,
irrorate di sostanze per renderle inconsumabili e poi schiacciate da
ruspe che ne completano l’uccisione; non mancano le domande nel
racconto sui macelli industriali, dopo averne visitato uno in
Argentina, dichiara di essere diventato vegetariano per venti giorni.
Ti
mangio con gli occhi è anche un libro di viaggi, di gusti della
memoria che si ritrovano e ci fanno sentire un po’ di casa in ogni
dove. E’ soprattutto il cibo di strada, che secondo Scianna, “è
la lingua popolare vera, che, mentre definisce l’identità di un
paese, getta un efficacissimo ponte di comunicazione con ogni
visitatore straniero. Una lingua che si comprende al volo, senza
bisogno di traduzione”.
L’ultimo
racconto appare come una confessione: “Non c’è niente che mi
rassereni come cucinare. Per me è quasi come ascoltare musica: mette
in moto razionalità ed estetica. E’ regola codificata, da
rispettare con grande scrupolo artigianale, e nello stesso tempo
possibilità di sperimentazione.”
Spesso
si sente usare l’espressione, “Parla come mangi”… dopo aver
letto questo intenso libro, potrei dire che Ferdinando Scianna, non
solo parla come mangia, esprimendosi in una scrittura piacevole e
intrigante, ma, soprattutto, guarda come mangia. Gli scatti si
accompagnano perfettamente ai racconti come il sucu o
l’astratto di pomodoro alla pasta, niente è fuori posto, il
libro scivola veloce fra sensazioni e ricordi, fra profumi caldi e
dolciastri, fra sapori pungenti e avvolgenti.
Copyright
© by Eleonora Bonoretti
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