di William Molducci
Aurelio
Fort, friulano di nascita, vive nelle montagne bellunesi. Fin da
ragazzo ha intrapreso un percorso di sperimentazione
artistica che ha riguardato fotografia, pittura, scenografia, musica
e grafica; da circa trent’anni si è dedicato esclusivamente
all’arte visiva. La sua ricerca espressiva coniuga materia,
pensiero e tempo con chiare adesioni all’arte povera e all’arte
concettuale, ma si estende liberamente anche in altri ambiti formali
e nello spirito di diverse esperienze stilistiche. Dal 1980 a oggi ha
realizzato un album di canzoni e più di ottanta tra mostre,
installazioni, azioni, progetti e performance in Italia, Europa e
Stati Uniti. Dal 3 febbraio al 2 marzo 2016
la sua “Materia Mater” sarà esposta alla Galerie 24b di Parigi.
Intervista
“Esistere per Ri/
Esistere” è un progetto artistico Internazionale, culminato il 25
aprile 2013 con un’installazione urbana nel centro di Belluno...
Inizialmente,
Alfonso Lentini ed io, avevamo pensato a un'azione clandestina:
spargere e disseminare a sorpresa la città di sassi e parole (le
povere armi dei poveri), un “blitz” in un certo senso, poi via
via si è fatta strada l'idea di estendere questo gesto fino a
includere concretamente una moltitudine di persone. Così, grazie al
blog che abbiamo aperto su Facebook e a un efficace passa parola,
sono arrivate adesioni di artisti, scrittori, poeti, bambini, donne e
uomini che si sono riconosciuti in questo progetto e che volevano
“farne parte”, un po' da tutta Italia e da oltre 40 nazioni nel
mondo. Ogni sasso aveva dunque un'identità, un nome e un cognome e
un'impronta digitale che suggellava la frase “Resistere per Ri/
Esistere”. Rinunciando al “colpo d'effetto” era diventata
un'installazione civile.
Dal 3 febbraio al 2 marzo 2016 “Materia Mater” sarà esposta alla Galerie 24b di Parigi |
Quel giorno molte
persone hanno portato con sé qualche sasso per continuare idealmente
l’azione, una sorta d’installazione che prende corpo e vive di
vita propria…
… un prolungamento
spontaneo dell'opera e una simbolica moltiplicazione di gesti e
significati. Era esattamente quello che stava accadendo, e che in
parte è avvenuto, ma nella notte tra il 25 e il 26 aprile si è
sovrapposto un fatto un po' sgradevole e non preventivato: gran parte
dei sassi vennero trafugati, prelevati, insomma fatti sparire. Questo
gesto maleducato interruppe brutalmente il “susseguirsi”
dell'azione. In seguito i responsabili furono identificati e i sassi
recuperati, ma questa è un'altra storia e mi fermerei qui.
L'arte povera porta
inevitabilmente all'esplorazione di nuovi percorsi artistici?
Ogni
corrente artistica nasce dalla volontà di reagire contro un'estetica
dominante e apparentemente imperturbabile, l'arte povera ha
contribuito non poco a sconvolgere la sensibilità della cultura
borghese che era appena riuscita ad accettare i processi elaborati
dalle avanguardie dei primi decenni del 900. E' un’arte
dell'essenza delle cose. Più che rappresentare
la materia la presenta.
L'arte povera produce “senso” in un mare d'assurdo e lo fa
attraverso la metamorfosi delle cose e dei materiali più
insignificanti per poi riconsegnarli in sublimazioni splendenti. Devo
ricordare che nel 1978 ho abitato un periodo a Umbertide, in Umbria,
e che lì vicino, a Città di Castello, ho realizzato la mia prima
“vera” mostra. Da quelle parti aleggiava prepotentemente il nome
di Alberto Burri e quello fu il mio incontro formativo
con l'arte povera, anche se poi ci furono altri incontri e altri
cammini. Per quanto mi riguarda, ho sempre accettato tutte le
influenze e tutte le infatuazioni.
Decostruzione dell'attualità. (2008), Installazione, Stadt Museum, Bruneck |
Come si colloca,
nella tua storia d’artista il disco “Volano le canzoni”,
pubblicato nel 1982?
La
musica, il rock, il blues e la canzone d'autore hanno avuto grande
importanza nella mia adolescenza e nella mia prima giovinezza, ero
fortemente attratto da quel potenziale espressivo in tutte le sue
sfumature artistiche, politiche e sociali. Così com’ero attratto
dai fumetti, dalla fotografia, dal teatro, dalla letteratura.
Scrivevo delle canzoni come tanti (con la chitarra e con la voce) poi
venne il desiderio e anche l'intenzione di dare a queste canzoni una
forma più completa e una struttura musicale più “corposa”
quindi le feci ascoltare a un po' di persone, piacquero a Mogol e al
direttore della RCA. Il disco fu realizzato negli studi di
registrazione “ Il Mulino” di Lucio Battisti, fu un momento bello
e gratificante, poi dovetti sopportare (mio malgrado) tutti i
disdicevoli aspetti promozionali e così via. Mi resi conto che
scrivere delle buone canzoni e confezionare un buon prodotto
discografico costituiva forse 1/3 del “lavoro”, il resto era
“mestiere” e altre cose. Il disco non andò neanche male e
scrissi nuove canzoni per un secondo album ma ormai senza “godimento”
e senza troppa convinzione... in realtà non avevo talento (non quel
talento che forse con un po' di velleità avevo segretamente pensato
di avere) e di fare il cantautore per mestiere questo proprio non era
nelle mie corde, mi sarei annoiato mortalmente, l'avventura non aveva
più alcun fascino ed è finita lì.
Aurelio Fort |
“C’era una
volta il mare” fa parte del “Trittico di pittura dolomitica”,
una forma imponente che non ha bisogno di spiritualità?
Abito
qui, (non vivo qui... qui è solo lo “spazio” in cui si svolge al
momento la mia esistenza), in queste valli silenziose e gelide dove
il corpo va in rovina e lo spirito “impietrisce” ai piedi di
queste montagne spettacolari, celebri e ottuse che io detesto. Mi è
stato chiesto di realizzare un’opera pittorica di grande formato
che sarebbe dovuta restare esposta all'aria aperta un anno intero,
abbandonata alle intemperie e maltrattata da grandi escursioni
termiche. Questa richiesta ha provocato in me una certa eccitazione e
ho subito pensato a un'opera come se fosse un deposito di “tempi”,
un'opera costruita attraverso una stratificazione di materiali
instabili che si sarebbero deteriorati
e meravigliosamente compromessi
entrando in una specie di simbiosi geologica con il paesaggio. Un
paesaggio non ha niente di romantico, un paesaggio colpisce per il
suo aspetto preistorico, per quello che suscita nel nostro
profondo... da qui il riferimento al mare per dire di un tempo
lontanissimo, inumano, al di fuori da ogni memoria, un tempo per noi
inimmaginabile che annienta e che annichilisce, più spirituale di
così...
Il silenzio del secolo nuovo. (2008), Installazione, Mostra "Sichereit", Concentart, Berlino |
I titoli delle tue
mostre sono spesso dei giochi di parole non fini a se stessi ma
tracce di un percorso teorico da cui ci si può discostare, come per
esempio in “Recto/ Verso”…
I
titoli delle mie mostre, così come quelli delle mie opere, sono solo
il presentimento di un'altra logica,
sono un “come se” non sono quasi mai analogici, quasi mai
didascalici, non vogliono cioè illustrare né dire che cosa
rappresentano, sono un omaggio al “senso” perché vanno incontro
al legittimo bisogno di senso (che è un problema dell'uomo). Si
cerca di dare una forma a qualcosa che non ha una spiegazione, il
mondo non ha alcun senso ma facciamo “come se” ne avesse uno. Per
quanto riguarda i giochi di parole, beh, non escludo il piacere di un
certo vezzo letterario.
Se è vero che ogni
artista viene al mondo per dire una cosa sola, hai individuato quella
piccola cosa su cui costruire il tuo mondo?
Un artista è quasi
sempre uno speleologo. Deve addentrarsi, inoltrarsi in sé e
nell'oscurità delle proprie visioni, questo a volte non è comodo.
Sono convinto che ogni vera ricerca artistica ruoti in sostanza
attorno ad un asse centrale profondo. Fare arte non è solo un atto
fisico ma è soprattutto un atto psichico.
Il
sesso e la morte sono gli unici due accadimenti indiscutibili della
vita di chiunque e dei quali sappiamo poco o nulla, ecco, credo che
gran parte del mio agire artistico sia “generato” da questo
nucleo ossessivo: Il sesso, la morte e il loro intimo rapporto
all'interno della forma del tempo. In verità invecchio senza
imparare nulla (non so capitalizzare), non ricorro mai al così detto
“mestiere” e alle sue astuzie: percepisco ogni nuova opera come
un esordio, come un azzardo, con lo stesso nervosismo e la medesima
ansia. C'è in me un'inclinazione fondamentale all'eccitazione della
scoperta, cioè al fascino e di intravedere qualcosa di inedito, una
nuova forma, un nuovo sviluppo. Quella “piccola cosa” che in
fondo sostiene la mia ricerca è “l'inquietudine”, la condizione
del vivere, nasce dall'esperienza di essere nato (è senza scampo).
E' il niente, ma è il mio niente,
un niente non trascurabile.
Resistere per Ri/ Esistere, Progetto Internazionale con Alfonso Lentini, 25 aprile 2013, Belluno |
E’
importante una società in cui abbia senso l'arte? Cosa la distingue
da una società in cui l’arte e l’artista sono emarginati?
Nell'arte conta la
verità, bisogna trovare l'essenza della vita umana... il sogno. C'è
una grande forza che nasce dai sogni. E' la passione che muove il
mondo. Una società che marginalizza l'arte è votata al cinismo,
all'ipocrisia, all'indifferenza e non può che dare vita a un mondo
vuoto e informe. E' quello che abbiamo tutti i giorni sotto i nostri
occhi.
Aurelio Fort nella nostra elaborazione Pop Art |
Copyright by William
Molducci
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