La carna trist
di William Molducci
Marisa Vallone, nata a
Bari nel 1986, è la regista del cortometraggio “La carna trist”,
che è stato il suo saggio di diploma al Centro Sperimentale di
Cinematografia. In precedenza aveva realizzato documentari e corti,
tra cui “Sotto il cellophane” del 2012, selezionato in numerosi
festival cinematografici.
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Il film è interamente
ambientato in Puglia nel 1956, in una zona rurale dai colori
rossastri tipici della terra di questa bellissima regione. I dialoghi
sono esclusivamente in dialetto pugliese definito “ritmato ma
fluido”.
La prima scena del
cortometraggio mostra l’arrivo di un uomo, che corre e il sorriso
divertito di Lucia, che si trasforma in espressione seria e
preoccupata. Si tratta di un mutamento significativo, da divertito a
impaurito, da illusione a consapevolezza, da idealismo a realismo.
Una doppia chiave di lettura, che accompagnerà tutto il film, sia
nella trama sia nei personaggi.
Lucia, la protagonista
(interpretata dalla brava Maria Stella Cassano), vive in una famiglia
lontana dalla religione, tanto che il prete del paese le rivela, che
non avrebbe voluto neppure battezzarla. L’anziano padre è un
comunista ateo, che svolge un importante ruolo all’interno del
partito locale. La figlia, invece, è cresciuta con gli insegnamenti
di Don Antonio e in una discussione col padre gli confessa che crede
a una vita dopo la morte. Forse spinto dalle parole della figlia ma
ancora più dal sopraggiungere della morte, il padre esprime il
desiderio di confessarsi. Lucia corre in cerca di un prete, contenta
della decisione del genitore. Nel viaggio alla ricerca del sacerdote
la ragazza troverà soltanto chiusure e porte chiuse, portandola
sempre più lontano dalle sue certezze e, purtroppo, anche dal padre
morente.
“La
carna trist na’ vol manc Crist” è un'espressione dialettale
garganica usata allo scopo di commentare il comportamento di qualcuno
che ha commesso malefatte. Letteralmente, la carne triste non la
vuole neanche Cristo. In qualche modo, chi fa uso di questa frase
"prevede" il futuro dell'anima della persona cui si
riferisce, affermando che la sua anima non sarà gradita a Gesù
Cristo.
Uno dei primi personaggi
a entrare in scena è Minguccio, che si offre di aiutare la ragazza
dandole un passaggio in bicicletta. L’uomo rappresenta
l’indifferenza che circonda la protagonista, infatti, quando la
bicicletta si rompe, invece di reagire pensa soltanto ad apprezzarla
fisicamente. Una donna anziana alla ricerca di una scarpa osserva da
lontano i due, la sua presenza nella storia è una contrapposizione e
simboleggia l’aspetto mistico di quel mondo rurale. Minguccio e la
vecchia sono l’opposto l’uno dell’altro e non è un caso che si
trovino con Lucia nello stesso luogo, tra strade isolate e sterpi.
Il lavoro di regia e di
scrittura è basato sulla caratterizzazione dei personaggi e di
quello che raffigurano. Il fulcro attorno al quale si muove tutto è
Lucia, che difende le proprie idee e la sua libertà, consapevole
però della sua fragilità, proprio come le lumache che lei ruba alla
terra e che come lei hanno bisogno di un guscio per sentirsi
protette. La forza della ragazza, il suo guscio, è la fede, messa a
dura prova sia dalla madre, che l’accusa delle gravi condizioni del
padre sia dagli stessi sacerdoti, che rifiutano di impartire il
sacramento della confessione, in virtù di una coerenza terrena che
nulla ha a che fare con la misericordia e il perdono. Nella scena
finale Lucia incontra nuovamente la donna anziana, che ora ha tutte e
due le scarpe, come i due percorsi che hanno accompagnato la ragazza
prima di rendersi conto che il guscio si è definitivamente rotto.
In soli venti minuti
Marisa Vallone è riuscita a sviluppare un racconto apparentemente
“antico” e con temi lontani dal sentire odierno; la padronanza
del linguaggio cinematografico le ha consentito di realizzare una
storia costruita su metafore, che ha il merito di rendere evidenti le
contraddizioni e la confusione del tempo attuale.
I suoni, i colori, i
rallenty fanno parte del racconto, il rumore che fa il prete mentre
mangia i lupini ha un motivo di essere, così come il canto delle
cicale nell’assolata campagna pugliese o i sorrisi ironici delle
due ragazze che Lucia incontra nel finale. Tutto è adottato in
funzione narrativa, esasperando contrasti e sintonie, fornendo allo
spettatore molteplici chiavi di lettura, indispensabili per
comprendere i diversi piani in cui si muovono i protagonisti.
Gran merito della
riuscita del film è anche degli attori: Maria Stella Cassano, Franco
Ferrante, Pinuccio Sinisi e Tiziana Schiavarelli; notevoli le musiche
scritte da Mariano Paternoster, autore anche della colonna sonora del
precedente film della Vallone.
Copyright © by William
Molducci
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