di
Pierfrancesco Diliberto, “Pif”, Italia 2013, 90 mn, con Pif,
Cristiana Capotondi, Ninni Bruschetta, Claudio Gioè
di
Simonetta Sandri
Il
giovane Arturo, Palermo 1992, la prima parola pronunciata alla
nascita, “mafia” invece di “mamma”. La nostra storia, la
nostra coscienza. Un film sorprendente e commovente.Ideato
da un sorprendente “Pif”, classe 1972 - quella generazione che,
come la mia, ricorda bene i terribili eventi di mafia del 1992 -,
questo film è davvero profondo, toccante, un omaggio alle vittime
della mafia, diverso e originale perché fa riflettere anche
sorridendo, perché smaschera i segreti di un paese in una maniera e
stile del tutto diversi da quelli cui siamo abituati quando si scrive
e si parla di malavita organizzata.
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Qui non ci sono eroi e antieroi, ma al centro vi è il piccolo Arturo, nato accanto alla figlia di Totò Riina, un bambino palermitano innamorato della piccola Flora, che fa di tutto per conquistarla, mentre omicidi e tappe importanti della nostra politica nazionale scorrono, inesorabili, sotto i suoi occhi giovani, increduli e impotenti.
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Qui non ci sono eroi e antieroi, ma al centro vi è il piccolo Arturo, nato accanto alla figlia di Totò Riina, un bambino palermitano innamorato della piccola Flora, che fa di tutto per conquistarla, mentre omicidi e tappe importanti della nostra politica nazionale scorrono, inesorabili, sotto i suoi occhi giovani, increduli e impotenti.
Arturo
confessa il suo giovane amore solo a Rocco Chinnici, vicino di casa
di Flora, vive tutta un’infanzia circondata da eventi di sangue,
incrociando Boris Giuliano, capo della squadra mobile di Palermo, che
gli rivela la bontà degli iris ripieni di ricotta, e assistendo
involontariamente alle morti dello stesso Chinnici, di Pio La Torre o
del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa. Tutto è visto attraverso
gli occhi di due bambini: ogni volta che le cose sembrano andare
bene, ogni volta che Arturo sta per dichiararsi a Flora ecco che
uccidono qualcuno, scoppia una bomba o bisogna stare incollati alla
televisione per seguire qualche grande e conturbante avvenimento.
Arturo ha il mito di Giulio Andreotti, che da un lontano schermo
televisivo, confessando di essersi dichiarato alla futura moglie al
cimitero, sembra volergli suggerire come conquistare la propria
amata…; di lui colleziona immagini e articoli di giornale, ha
poster appesi nella cameretta, ne indossa le vesti in abiti da
carnevale, per cui viene anche premiato.
Arturo,
da grande, vuole fare il giornalista, lo capisce quando vince il
concorso indetto da un giornale palermitano e, per un mese, vi scrive
articoli. Corre allora in prefettura a intervistare Dalla Chiesa,
entrando di soppiatto, e gli chiede: «l’onorevole
Andreotti dice che l’emergenza criminale è in Campania e in
Calabria. Generale, ha forse sbagliato Regione?».
Uscendo, nota l’assurdità di combattere una guerra quando fuori
dall’ufficio del Generale vi sono solo due agenti. Non sa che Dalla
Chiesa ha rinunciato alla scorta. E invano aspetterà Andreotti al
funerale di Dalla Chiesa, non sapendo che il presidente del Consiglio
ai funerali preferisce i battesimi, come dichiarerà a un giornalista
che gli chiede conto di quell’assenza. Il
nostro protagonista cresce e
all’improvviso si ritrova sdraiato nel suo letto, ventenne, ora
consapevole di quello che sta accadendo intorno a lui. Cade anche
Dalla Chiesa, grande lo sconforto quando si comprende che Andreotti
non era una buona fonte (…), quando il primo dovere di ogni
giornalista è proprio quello di verificare le proprie fonti… I
filmati di repertorio scorrono, la coscienza rivive.
Flora
è lontana da Palermo, partita per la Svizzera, ma qui la guerra di
mafia continua. Arturo decide che Andreotti non è più il suo mito.
Il poster che aveva appeso alla parete è caduto insieme alle
speranze nell’esplosione che ha travolto il giudice Chinnici,
l’unico che, prima di uscire, aveva letto il messaggio d’amore
disegnato sull’asfalto per Flora, un cuore che salta, un amore che
ancora non viene confessato. Arturo ha capito cosa sta
succedendo e con lui l’ha compreso anche Palermo. La scena che
raffigura questa nuova consapevolezza è quella dei funerali di Paolo
Borsellino, quando, il 24 luglio 1992, l’intera città si
riversa davanti alla cattedrale della S. Vergine Maria Assunta per
urlare ai politici intervenuti alle cerimonie: «Fuori la mafia dallo
Stato!». Emblematica è, poi, la scena in cui un picciotto spiega a
Riina come funziona il climatizzatore e la sua accensione. Il boss è
così ignorante che il picciotto perde la pazienza. Ma quando Riina
preme il pulsante del telecomando davanti alla tv dove si vedono
Falcone e Borsellino, si sente un’esplosione: «qualche giorno dopo
Totò Riina capì come funziona un telecomando», commenta la voce
narrante del regista, la strage di Capaci.
Arturo
adulto si divincola fra e difficoltà di trovare lavoro, segue pure
la campagna di Salvo Lima, ma solo per amore di Flora, e l'omicidio
del politico lo porterà definitivamente a stare dalla parte giusta e
a conquistare la donna amata in modo definitivo. Al loro figlioletto
cercherà di far capire, passeggiando per Palermo e sfilando davanti
a tante lucide lapidi commemorative, chi sono stati gli uomini che
hanno lottato contro la mafia, muovendosi tra il drammatico e il
comico, con coraggio e grande senso civico ma con la sensibilità e
l’incoscienza di un vero poeta.
Copyright
© by Simonetta Sandri
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