Il cinema corto
di William Molducci
Il cinema è nato con i cortometraggi, infatti sino al 1913 la durata
massima di un film era di circa 15 minuti.
Da quei tempi pionieristici il cortometraggio si è evoluto con la
nascita di vari generi quali commedie brevi, corti di animazione, comiche,
artistico, sperimentale e perché no anche lo spot pubblicitario.
Il cortometraggio rappresenta e ha rappresentato una palestra di
addestramento per registi, autori, attori e tecnici, ma, per molte persone
rappresenta un vero e proprio genere da cui non vogliono allontanarsi. Questo
tipo di cinematografia nasce solitamente da una piccola idea, che si sviluppa
in poche azioni necessarie per giungere ad un finale “importante” a cui è
demandato il compito di dare un significato a tutta la storia.
Questa breve premessa è necessaria per introdurre alcune produzioni di
cortometraggi, realizzati tra il 2011 e il 2012, che sono stati presentati nei
numerosi festival organizzati ogni anno in tutte le parti del mondo. Il loro
numero è in forte crescita, anche in Europa e in Italia, nonostante la lunga
crisi economica. Si può certamente parlare di un vero e proprio circuito di
distribuzione, con tutti i suoi pregi e i suoi difetti. I festival più
importanti sono senz’altro quelli che hanno una lunga storia, a loro è “demandato”
il compito di presentare le nuove produzioni, che verranno successivamente accolte nella programmazione di altri festival. Alcuni dei film
recensiti, possono essere visti su YouTube.
Parliamo di corti:
La Huida (La fuga)
Di Victor Carrey
La Huida ha raccolto
numerosi apprezzamenti, tra cui il primo premo al Next Festival di Bucarest nel
2011 e il premio dello staff al Film Festival di Milano del 2011.
Si tratta di un film
strutturato in maniera originale, che si sviluppa e si completa come
un’equazione. Inizialmente un commentatore fuori campo descrive personaggi e le
azioni, che ruotano intorno ad una banconota da 50 Euro, che sembra cadere dal
cielo. Successivamente vengono introdotti oggetti e persone, tra cui una gomma
da masticare, un guinzaglio per cani, una lattina, una macchia sul muro a forma
di “Australia”, alcuni tizi loschi che fuggono, un semaforo piegato, che, causa
una serie di coincidenze, cadono, fuggono ed esplodono, in un susseguirsi di
scene dallo humor folgorante. La parte finale del film è scandita da un’ottima
colonna sonora, in particolare dal brano Don’t you forget di Micah P. Hinson,
inserito all’interno del CD Micah P. Hinson & The Gospel of Progress.
Una volta che tutti i
personaggi e gli oggetti sono stati presentati, proprio come in un’equazione
matematica, la scena scorre veloce nella sua narrazione, facendo combaciare
ogni avvenimento al posto giusto. Causa ed effetto s’incastrano in un finale
decisamente ben costruito.
Gli ingredienti del
racconto sono ben dosati e distribuiti, tanto da costruire una narrazione
completa nell’azione e nell’intento e quindi realizzando una storia vera e
propria.
Crossing salween
Di Brian O’Malley
Questo film ha avuto
numerosi riconoscimenti internazionali, vincendo tra l’altro il Windsong
International Film Festival 2011.
La protagonista, una
bambina di nove anni, scampa al massacro della sua famiglia, ma per essere
davvero in salvo deva fare un lungo viaggio attraverso gli orrori della giungla
birmana sino al fiume Salween, che deve attraversare per giungere nella
pacifica Thailandia. La storia è
ambientata nello stato del Karen, nella Birmania orientale, dove la popolazione
da anni viene perseguitata dal regime militare che li governa. I karen, detti
anche Karian oppure Yang, sono un gruppo etnico situato principalmente in
Birmania (4 milioni) e in Thailandia (400.000 individui), oltre a gruppi più
piccoli in India. I Karen di Birmania sono spesso in conflitto con il governo
centrale di Naypydaw a causa della negata indipendenza nazionale e della
repressione esercitata nei loro confronti.
La bambina viene guidata
nel suo viaggio da un angelo custode, il quale però può soltanto aiutarla con
una promessa, senza avere la possibilità di intervenire.
Pur essendo un
cortometraggio di soli venti minuti, il regista riesce nell’intento di
costruire una narrazione, con momenti di tensione ed altri di pura azione,
soprattutto nella scena in cui i militari fanno scempio della popolazione che
vive nel piccolo villaggio. Da non perdere la scena finale, dove la bambina
attraversa il fiume sotto il fuoco delle armi dei militari.
O’Malley ha girato
numerosi spot televisivi in oltre dieci anni di attività, ma riesce con questo
lavoro ad affermare la sua tecnica narrativa, ben lontana da tecnicismi o da
stereotipi tipici della pubblicità televisiva.
A Fábrica
Di Alysson Muritiba
Alysson Muritiba, è un
regista brasiliano, il suo film ha ricevuto numerosi premi in festival
prestigiosi, tra cui il Recife Cine PE Festival do Audiovisual, Vitória Cine
Vídeo e il Toronto International Film Festival.
Come si evince da questo
cortometraggio, Muritiba preferisce raccontare storie ambientate in contesti di
problematica sociale e politica del suo paese, infatti, A Fàbrica è ambientato
in un carcere brasiliano.
La trama del film è
abbastanza semplice. Una madre riesce a portare al figlio carcerato un telefono
cellulare, in modo che questi possa mettersi in contatto con la piccola figlia,
in occasione del suo compleanno. Quello che è emerge è l’ambiente in cui
vengono sviluppate queste “piccole azioni”, che denota degrado, povertà e
disperazione. Le storie raccontate da
Muritiba sono frutto della sua fantasia, ma i personaggi interagiscono in
contesti reali ed espongono problematiche del tutto attuali in Brasile.
Nonostante gli studi
interrotti, il fermento culturale della città in cui è vissuto, ha permesso al
regista di sviluppare la sua cultura ed avvicinarsi al mondo del cinema. L’idea
di A Fábrica è nata quando ha lavorato
all’interno di un carcere, un lavoro durato ben cinque anni, dove ha potuto
vedere e soprattutto ascoltare tutti i generi possibili di storie, da parte dei
detenuti.
Il film, nelle
intenzioni di Muritiba, è il primo di una trilogia, che continuerà a prendere
spunto dalla sua esperienza di lavoro all’interno del carcere, proponendo
quindi altre situazioni e personaggi.
Il film è stato interamente girato nel carcere di Ahú, una prigione
abbandonata situata nello stato di Curitiba.
In A Fábrica l’autore riesce a raccontare una storia che
comporta emozione, ponendo l’attenzione sugli uomini e i loro desideri,
confinati, in questo caso, in un contesto sociale, che possiamo definire
estremo. Muritiba gioca sui tempi e sui ritmi, non ci rivela nulla prima del
dovuto, riuscendo a dare una spiegazione ai movimenti strani della madre e del
figlio, gesti che non portano a fatti cruenti, come una rivolta oppure un
tentativo di evasione, ma ad una semplice telefonata alla propria figlia, nel
giorno del suo compleanno. L’autore sa che non può cambiare il mondo, cerca di
farci capire la sua visione delle cose per aiutarci a comprendere il mondo in
cui viviamo. Pur essendo una storia sviluppata in un contesto drammatico, la
colonna sonora non utilizza musiche o suoni violenti, ma si affida ai suoni
reali, inoltre, la camera segue i protagonisti, senza mostrare più di tanto il
contesto in cui si muovono, provocando quasi un senso di claustrofobia,
ampliando le inquadrature soltanto nel finale, quasi come per esprimere un senso
di liberazione.
Umkhungo (Il regalo)
Di Mattew Jankes
Il film è stato premiato
all’Africa in Motion 2011, il Festival scozzese dedicato al cinema africano,
che si svolge ad Edimburgo.
La trama si sviluppa
nelle azioni di un disilluso sbandato, che vive nei bassifondi di Johannesburg,
il quale salva la vita di Themba, un bambino con poteri soprannaturali,
ereditati dai suoi antenati, cui vengono uccisi i genitori. I due fuggono per sfuggire ad un parente
superstizioso, il quale crede che il bambino porti sfortuna. Lo sbandato in un
primo tempo pensa di vendere il bambino, ma sarà lo stesso Themba a convincerlo
di aiutarlo in cambio di alcuni regali, necessari per fargli ritrovare il
fratello. I due impareranno insieme, che i poteri straordinari del bambino,
ritenuti una maledizione, in realtà sono un dono straordinario. L’epilogo del
racconto, narrato tra l’onirico e il tecnicismo degli effetti speciali, ne
conferma la forza e allo stesso tempo la disperazione.
La storia sviluppa un tema,
che per tutto il film rende evidente il senso di fragilità degli uomini, delle azioni
e dei rapporti tra loro, non tralasciando quelle che sono le loro aspirazioni.
Tutto questo viene evidenziato proprio tramite quelli che sono i poteri del
bambino.
Il film è ambientato in
un contesto urbano diverso da quello occidentale, ma si intravedono affinità
pericolosamente simili, nei confronti delle persone che vivono ai margini della
società.
African Race
di Julien Paolini
Pur essendo di
produzione francese è girato ed ambientato in una desolata periferia di una
città dell’Africa nera. Il film narra le ambizioni e l’orgoglio del
protagonista, che cerca di costruire una motocicletta, utilizzando pezzi di
scarto trovati nelle discariche, allo scopo di partecipare ad una gara. Il
momento epico del film giunge quando il protagonista termina la costruzione
della sua moto e parte per raggiungere il luogo della gara. I suoi occhiali,
una specie d’impermeabile e la moto stessa, vengono sublimati quasi fossero un
elmo, un mantello e un veloce destriero. In pochi minuti e senza dialoghi, con
la sola forza delle immagini e del racconto, il regista, ci regala un film
emozionante e allo stesso tempo realistico.
Courte vie
Di Adil El Fadili
Un capitolo a parte lo
dedichiamo al regista marocchino Adil El Fadili. Il film conferma l’importante
momento storico del cinema africano, che in questo caso riesce a realizzare un
originale racconto basato su humor, difficilmente riscontrabile nelle
realizzazioni magrebine. L’autore ha vissuto e studiato a Parigi e questo si nota.
Si tratta del suo primo lavoro cinematografico, ma, nonostante questo El Fadili
riesce a realizzare un racconto originale, basato su tempi comici tipici dei
fratelli Coen. Naturalmente il contesto in cui si sviluppa la storia, è completamente
diverso da quello solito dei due registi americani e anche la visione del
regista, ma le affinità non mancano.
Stand by me
Di Giuseppe Marco Albano
Si tratta di un corto di
quindici minuti, vincitore del premio CRESM all’Efebocorto Film Festival di
Castelvetrano. Il film è realizzato con lo stile della commedia un po’
dissacrante e per certi versi inquietante, perché descrive alcuni aspetti del
nostro paese tristemente attuali. Il ritmo del film è tutto basato su di uno spot,
che è in procinto di essere realizzato, per pubblicizzare la “meravigliosa”
idea del protagonista. Il racconto si svolge con i tempi scanditi dalle canzoni
e da alcune gag fulminanti, ecco quindi che il complesso, che dovrà essere
ingaggiato per girare la réclame, intona all’inizio “Pregherò” portata al
successo da Adriano Celentano, che nella versione finale si trasformerà in
quell’inglese originale intitolata per l’appunto “Stand by me”. Lo stesso gioco
temporale è utilizzato dal regista per la scena del flashback in cui si vede il
protagonista, allora bambino, dialogare con il padre, il tutto utilizzando la
canzone “Settembre”, inizialmente eseguita dal solito complessino e nella fase
del ricordo, trasmessa dalla radio nell’interpretazione originale del suo
autore: Peppino Gagliardi. Lo slogan finale, con cui si conclude il mega spot
televisivo, è davvero indovinato: “Venite a morire a Matera”. Naturalmente il
film è girato e ambientato in Basilicata, se non lo avete ancora visto, vi
consigliamo di cercarlo su YouTube.
Il respiro dell’arco
Di Enrico Maria Artale
Il film cattura
immediatamente l’attenzione dello spettatore, tramite un forte e violento
impatto emotivo, l’uccisione senza apparente motivo di alcuni uomini, da parte
di una donna armata di arco. Non sono date eccessive spiegazioni sulle
motivazioni del gesto della donna, truccata quasi come Tomb Raider, ma si
comprende il motivo di tanta ferocia nel momento in cui è ucciso un uomo, che
ammette di non avere partecipato, ma soltanto assistito a quello che non può
esser altro che uno stupro. Il finale è giustamente ambiguo, la donna scaglia
le frecce dal proprio arco per colpire un bersaglio, in una gara sportiva, la
freccia però ha la punta insanguinata...
L’accordeur
Di Olivier Treiner
Si tratta di un film che
ha ottenuto numerosi premi, tra cui il prestigioso Cesar (l’Oscar francese),
per il migliore cortometraggio.
Il protagonista è un
giovane prodigio, che non riesce a superare un concorso molto importante.
Reagisce a questo evento decidendo di diventare un accordatore, fingendo
oltretutto di essere cieco. Questa scelta è motivata dal desiderio di volere
entrare nell’intimità dei suoi clienti, siano essi una giovane donna che si
spoglia, oppure una famiglia che vive in assoluta libertà in casa.
Come ben descritto nella
scena in cui racconta il suo modo di vivere al proprio datore di lavoro,
l’accordatore decide di vivere indisturbato la sua finta infermità, per meglio
osservare le persone, esaltando il voyerismo, che evidentemente è parte di se. Inoltre,
i suoi clienti lo credono in possesso di maggiore sensibilità, proprio per via
della sua situazione sensoriale.
La scena del dialogo con
il suo datore di lavoro è un piccolo capolavoro di caratterizzazione di un
personaggio minore, difficile da sviluppare in un cortometraggio. Con poche
battute viene fatto intravedere il suo modo di vivere i sentimenti, vedi il
riferimento alla chat su Internet e il suo pensiero nei confronti
dell’atteggiamento dell’accordatore.
Questo sotterfugio pone
l’accordatore di fronte a numerose situazioni, ma lo porta anche a essere
testimone di un omicidio, coinvolgendolo in un finale aperto, ma dall’esito che
si presume drammatico.
In pochi minuti il
regista riesce a sviluppare, con maestria, una trama che implica aspirazioni,
delusioni, menzogna e omicidio. Da notare che la sequenza iniziale e quella
finale, sviluppate in un contesto completamente diverso, sono uguali.
Enmesh
di Ainur Askarov
Si tratta di un film
russo, che si distingue per il gusto trash del regista e per l’indubbia
allegria, che riesce a coinvolgere anche il pubblico. Possiamo definirlo una
specie di “Nuovo Cinema Paradiso”, con tutte le cautele del caso. L’immensa
campagna russa fa da sfondo ai chiassosi frequentatori dell’unico cinema
cittadino, dove, una volta la settimana è proiettato, per una sola volta, un
unico film. Gli spettatori, tranne uno, sono tutti bambini e c’è chi, per
entrare e pagare il biglietto del valore di due uova, deve mordere il lobo di
una bambina. Questa, secondo la tradizione, un giorno diverrà sua moglie. Si
tratta di un film interessante e per certi versi poetico.
Copyright © by William Molducci
Copyright © by William Molducci
1 commento:
Critiche competenti e film molto interessanti
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