sabato 18 giugno 2016

C’era una volta il Beat – Breve viaggio nella Beat Generation

di William Molducci
Il beat è un genere musicale sviluppatosi in Inghilterra all’inizio degli anni sessanta, nato dal rock ‘n roll con influenze blues, skiffle, swing e doo-wop. In poco tempo si diffuse tra i giovani dell’epoca, prima in Europa e poi oltreoceano, in quella che fu definita British invasion, per cui alcuni artisti originari della Gran Bretagna, primi tra tutti i Beatles, divennero popolari negli Stati Uniti e in Canada.



In Italia il beat si affermò grazie alle cover incise da gruppi e solisti quali Dik Dik, Camaleonti, Profeti, Equipe 84, Caterina Caselli, The Rokes, Giganti, Corvi, Lucio Dalla, Pooh, Ribelli, Ragazzi del Sole, Delfini, Nomadi, Califfi, Patty Pravo. La musica beat si distingue per i suoni dominati da chitarre elettriche, armonie vocali e ritmi veloci, attenuati da linee melodiche orecchiabili. Le parti vocali sono ricche di cori che spesso ripetono frasi nonsense al servizio esclusivo del ritmo e della melodia, un po’ come nel doo-wop, lo stile derivato dal rhythm and blues e dal rock ‘n roll. Il doo-wop, affermatosi negli Stati Uniti negli anni cinquanta, rinforza il canto solista con armonie vocali sincopate e cori spesso utilizzati come imitazione degli strumenti d'accompagnamento, più che come voci vere e proprie. Verso la fine degli anni sessanta il beat lasciò lo spazio al blues rock, che avrebbe aperto le porte al genere psichedelico e progressivo.



I Camaleonti 
 
I Camaleonti sono forse il più longevo gruppo beat italiano: 30 milioni di dischi venduti, 18 album, 39 singoli, diverse compilation e antologie pubblicate anche negli Stati Uniti, Germania e Argentina.
Agli inizi degli anni sessanta suonavano per ogni tipo di pubblico, con un repertorio che comprendeva polke, mazurke, tanghi, classici americani, shake, twist e rock per i giovanissimi. Ecco spiegata l’origine del nome di questa storica band. Sono passati più di 50 anni da quando I Camaleonti si affacciarono sulla scena beat con “Sha la la la la”, iniziando un’avventura che ha visto transitare nella loro formazione musicisti importanti quali Ricky Maiocchi, Gerry Manzoli, Mario Lavezzi, Gabriele Lorenzi, Dave Summer, Vincenzo Mancuso. Ne hanno invece sempre fatto parte Tonino Cripezzi e Livio Macchia, i due front-man del gruppo, così come il batterista Paolo de Ceglie, prematuramente scomparso nel 2004. Da metà degli anni ’80 si sono aggiunti il chitarrista Valerio Veronese, il tastierista Massimo Brunetti e Massimo Di Rocco alla batteria.




I Camaleonti hanno pubblicato un nuovo album in cui gli inediti si alternano ai brani storici, tra questi “Io per lei”, riproposta di “To give (The reason i live)” di Frankie Valli, il pezzo seguito a “L’ora dell’amore”, cover a sua volta di “Homburg” dei Procol Harum. Le due canzoni sono riproposte con un sound più adatto ai nostri tempi. “Applausi” chiude l’album del 50°, si tratta di uno dei brani più conosciuti, pubblicato nel 1968, di cui esistono due diversi missaggi. Nella seconda versione furono sovrapposte le ultime parti del testo e inseriti ulteriori interventi di archi, oltre a un prolungato coro di voci femminili.
Storia di un'idea” è il libro autobiografico dei Camaleonti, con i testi di Paolo Denti, che ha raccolto i ricordi e gli aneddoti di Tonino Cripezzi e Livio Macchia, i due fondatori del gruppo. Il “racconto” inizia dagli anni sessanta con i gruppi beat e rock milanesi dell’epoca: Beatnicks, Demoniaci, Marines, Trappers, Le Ombre. Nel percorso s’incrociano personaggi quali Ricky Gianco, Mario Perego, Adriano Celentano, Teo Teocoli, Gil Ventura, Miki Del Prete, Lucio Battisti, Mogol, Paolo de Ceglie, Gerry Manzoli, Riki Maiocchi, Mario Lavezzi, Gabriele Lorenzi.


Milano – 24 giugno 1965 – Vigorelli, il concerto dei Beatles in Italia, punto di riferimento e genesi dei gruppi emergenti italiani compresi i Camaleonti che un anno dopo avrebbero partecipato al Cantagiro di Enzo Radaelli. Si trattò di un’esperienza importante, la prima occasione di confronto con gli altri e l’ingresso nella scena musicale italiana.
Nel capitolo “Il grande salto” si parla del primo successo: “L’ora dell’amore” cover di “Homburg” dei Procol Harum, incisa in gran fretta per anticipare l’eventuale versione dei Dik DIk, che l’anno precedente avevano sbancato con “Senza luce” (A whiter shade of pale). I Camaleonti, famosi per gli scherzi, quella volta ne fecero uno di quasi due milioni di copie vendute.



I Profeti

I Profeti si affacciarono sulla scena musicale nel 1966 con il 45 giri “Bambina sola”, che nel lato B proponeva il brano “Le ombre della sera”, scritto da Lucio Battisti e Mogol.
In quel periodo era di gran voga cantare canzoni straniere, con il testo in italiano, e i Profeti non erano da meno, infatti, nel loro secondo singolo fu inserita “Rubacuori”, cover di “Ruby Tuesday” dei Rolling Stones, con testo di Mogol; sul retro “Sole nero”, versione italiana di “Call my name” dei Them.


La casa discografica li definì quattro ragazzi “Beat-moderati” (curiosa definizione posta tra le note del loro primo disco), il loro sound si colloca nel classico italico pop melodico. Nel 1968 parteciparono al Festivalbar con “Ho difeso il mio amore”, cover di “Nights in White Satin” dei Moody Blues, che conseguì un buon successo, bissato da quello di “Gli occhi verdi dell'amore”, traduzione di “Angel of the morning” di Merrilee Rush & the Turnabouts.
Con la fine degli anni ‘70 terminò la moda delle cover straniere, che nel decennio precedente furono fatte “passare” anche per composizioni nostrane. Dagli anni ‘80 grazie all'attenzione dei media e soprattutto al gusto del pubblico, questo non fu più possibile.

I Dik Dik

Nel 1965 i Dik Dik pubblicarono “1-2-3/Se rimani con me”, il loro primo 45 giri, cover dell’omonimo brano di Len Barri e, nella facciata B, un brano scritto da Lucio Battisti prima della collaborazione con Mogol. Poi fu la volta di ”Sognando la California”, cover di “California dreamin’” dei Mamas & Papas. Il 1967 li vide primeggiare con “Senza luce”, versione italiana diA whiter shade of pale” dei Procol Harum, introdotta dall’organo Hammond, uno degli strumenti musicali simbolo della musica beat. I Dik Dik, pur alternando vari elementi all’interno del gruppo, sono attivi ancora oggi, recentemente sono entrati in sala d’incisione per registrare un nuovo album e proseguono l’attività live.




Gli Alunni del Sole

Abbiamo intervistato Bruno Morelli, fratello di Paolo Morelli leader degli Alunni del Sole, per parlare dei loro esordi che coincisero con il tramonto del beat e l’inizio di una nuova era musicale.

Bruno Morelli

Il vostro primo brano, “L’aquilone”, rappresenta una linea di demarcazione tra il sound degli anni ’60 e quello dei ‘70, in quel momento tutto girava ancora intorno al beat ma la scena musicale stava cambiando…

L’epoca Beat ha attraversato gli anni sessanta, dove gruppi come Beatles e Rolling Stones rappresentarono quello stile musicale distintosi per l’uso di chitarre elettriche, voce e cori cadenzati. L’entrata in campo dei “complessi” aveva già dato un segnale molto importante, rispetto al passato, impostando il suono sulla sezione ritmica e utilizzando, per le strutturazioni armoniche, strumenti quali pianoforte e chitarra. “L’aquilone” uscì nel momento in cui il beat tramontava, anche se l’uso delle chitarre acustiche, della dodici corde e dei cori poteva agganciarsi a quel fenomeno. Quel brano rappresentò il preludio dell’evoluzione che sarebbe venuta in seguito.
Dopo gli anni ‘60 si face strada una musica che esprimeva un tipo di cultura più importante, in grado di superare la struttura “strofa/ritornello”, dando spazio alle esigenze artistiche dei protagonisti di quell’epoca, tra cui mio fratello. La formazione classica consentiva di superare i suoni “duri” dovuti alla sezione ritmica dei gruppi, favorendo l’intervento orchestrale. Il risultato che ne conseguiva era quello di una maggiore imponenza musicale, oltre alla fusione tra diversi tipi di suoni. Se “L’aquilone” rappresenta un timido tentativo di evoluzione, con “Concerto” è evidente la volontà di fondere le due tipologie di suono, grazie alla base sinfonico-classica acquisita da Paolo durante gli studi.

Paolo Morelli

In quel periodo alcuni artisti utilizzavano strumenti che provenivano dagli studi musicali classici, tra questi Ian Anderson dei Jethro Tull, Mauro Pagani della PFM ed EL&P. Le stesse strutturazioni dei concept-album rivelavano l’intenzione del musicista di superare le standardizzazioni, cercando forme più complesse dal punto di vista armonico. In questo tipo di produzioni si era liberi di inserire momenti di respiro musicale, brevi suite di collegamento, finali non convenzionali, magari utilizzando anche la chitarra elettrica distorta.


Mio fratello colse l’esigenza di quel momento storico, uscendo dal canone armonico imposto dal rock, cosa che il beat aveva già compiuto in parte. C’era la voglia di raccontare una cultura, come, per esempio, il recupero della musica di Bach realizzata dai Procol Harum; si trattava di passaggi musicali emblematici, musica classica inserita nelle composizioni del momento. In una situazione del genere, per fare un salto di qualità ulteriore, erano necessari testi più impegnativi, alcuni scelsero i temi politico-sociali altri si legarono all’attualità e ai fatti di cronaca. Paolo scelse di cantare l’amore attraverso le sue reminescenze di poeta e di appassionato, portando in musica le poesie scritte da ragazzo.


Eliana Vinciguerra

Il beat secondo Eliana…

In Italia la più grande esperta di Beat Generation è Fernanda Pivano, che ha curato e scritto numerose introduzioni e prefazioni di libri beat e molti testi di critica a riguardo. In Italia, come al solito, arriva tutto marginalmente e dopo il ‘68 non c'è stato più un grande interesse per il fenomeno contestatario giovanile. I libri dei beat furono accolti dalla critica con severità e asprezza, l'esplosione che accompagnò l'uscita di “Sulla strada” di Kerouac e dell'”Urlo” di Ginsberg, fu inghiottita dai critici come un fenomeno di curiosità e un fatto di costume. Si parlò di sgrammaticature e di prosa scomposta, di verbosità alla Thomas Wolfe e di non poesia. La Beat Generation è stata caratterizzata sempre più da un bisogno eccessivo di credere in qualcosa. Gli esponenti di questa generazione erano per lo più ragazzi maturati troppo in fretta da un'esistenza sempre più promiscua alla vita degli adulti, partecipi attraverso la televisione e i giornali illustrati degli stessi mezzi di informazione, superficiali e grossolani, di cui si servivano gli adulti medi. 

Eliana Vinciguerra
 
Ricordo che in quegli anni ci si abbigliava con abiti strani fuori moda, con i capelli lunghi gli uomini e con i jeans le donne (dicevano in segno di uguaglianza), sandali alla Ginsberg ai piedi e nastrino all'indiana sulla fronte, marce per la pace in Vietnam, roghi di cartoline precetto di leva e meditazione psichedelica a base di LSD riprodotta con luci coloratissime, bolle di sapone e immagini convulse. Questo movimento Hippy, si sviluppò nel corso degli anni sessanta in America, come corrente della cultura underground, in cui si espresse il dissenso di una vasta area del mondo giovanile, contro il consumismo, il conformismo, le discriminazioni razziali, le tendenze imperialistiche della politica statunitense, le insidie della “guerra fredda”.




Gli Hippies furono sostenitori di un'utopia e riuscirono a dimostrare che anche le utopie possono contenere elementi vitali in grado di incidere nella realtà e di modificare situazioni cristallizzate. La loro era un'utopia pre-moderna, anti-industriale, che si sostanziava nel ritorno ad un'agricoltura senza macchine. Questo fu il limite del movimento, segnato dall'astrattezza propria di tanti movimenti di protesta giovanile. Rappresentò un fenomeno temporaneo di fluttuazione, il sintomo di una crisi e non di una proposta di soluzione.



Video - Gli Alunni del Sole: L'Aquilone

 

Video – I Camaleonti: L’Ora dell’Amore (Homburg)





L’articolo è stato realizzato con il contributo di parti tratte da precedenti testi di William Molducci:


Si ringraziano Eliana Vinciguerra e Bruno Morelli (Alunni del Sole), per i loro prezioso contributo.



Copyright by William Molducci

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