mercoledì 12 febbraio 2014

Intervista al regista Luca Dal Canto

Due giorni d'estate: incontro con il regista Luca Dal Canto

Di William Molducci

Le trame dei film di Luca Dal Canto non sono né semplici né scontate, in quanto riesce sempre ad inserire elementi "nutritivi", attingendo dall'enorme bagaglio artistico e culturale italiano e in particolare da quello livornese. Il cappotto di lana, il suo pluripremiato cortometraggio, aleggia tra le poesie di Giorgio Caproni e le tristi liriche di Piero Ciampi, inoltre, il protagonista si chiama Amedeo, lo stesso nome di battesimo di Modigliani.


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In quel film la poesia era l'anima narrativa del racconto, utilizzata per descrivere un disagio adolescenziale. Due giorni d'estate ripropone parte del cast del film precedente, i bravissimi Marco Conte e Lorenzo Aloi, proseguendo il tema delle incomprensioni generazionali, anche se con motivazioni e sviluppi diversi.


I genitori del giovane Andrea sono in procinto di vendere il loro casolare di campagna al cugino Genio, uno stravagante personaggio interpretato da Marco Conte, sognando di acquistare una villetta in Costa Smeralda. Genio arriva al casolare con la giovane fidanzata (Lunia), una bella e ormai disillusa ragazza che, scatena le fantasie adolescenziali di Andrea, il quale crede di riconoscere in lei la modella del ritratto di Lunia di Amedeo Modigliani. Dopo il ritrovamento del diario della nonna e di un preziosissimo schizzo, il ragazzo inizia la ricerca del luogo dove fu dipinto "Stradina toscana del 1898", uno dei rari paesaggi attribuito a Modigliani. I tre mesi estivi passati nel casolare dei suoi genitori sono stati noiosi e privi di interesse, ma quegli ultimi due giorni vissuti con Lunia alla ricerca dei luoghi del grande pittore, fanno vivere ai due un'emozionante avventura immersi nella splendida campagna toscana.
Opere, nomi e titoli nei film di Dal Canto si mischiano e si incrociano, ponendosi come precisi riferimenti di una Livorno madre di grandi artisti, che spesso li ama, ma che a volte sembra non considerarli.
Luca Dal Canto è nato a Livorno il 21 giugno 1981, dopo aver terminato gli studi in cinema, teatro e produzione multimediale, collabora come aiuto regista con importanti registi italiani, tra cui Sergio Rubini, Daniele Luchetti ed Enrico Oldoini. Il suo cortometraggio Il cappotto di lana è stato selezionato in 40 festival in tutto il mondo e ha ottenuto 15 premi.

L'intervista

I tuoi film li scrivi a quattro mani con Anita Galvano, quanto è importante avere un punto di vista femminile nella scrittura di una sceneggiatura?

Scrivere in coppia o in team è sicuramente un vantaggio perché confronti le tue idee con altre persone, ancor più quando lavori insieme a una figura femminile. In queste occasioni hai infatti la possibilità di dare alla tua storia un punto di vista più dolce e ricercato. Sia ne Il cappotto di lana che in Due giorni d’estate, la penna di Anita Galvano è stata fondamentale per dare un tocco più leggero ma allo stesso tempo profondo e impegnato alle importanti tematiche trattate nei due film.



Ne Il cappotto di lana hai inserito le poesie di Giorgio Caproni, le canzoni di Piero Ciampi e hai dato il nome di Modigliani al protagonista. In quest'ultimo film Amedeo Modigliani è in qualche modo il vero protagonista della storia, fiction e arte si completano in una sorta di tuo originale schema narrativo?

In entrambi i cortometraggi ho cercato di raccontare come la cultura sia fondamentale per la crescita di un ragazzo. Purtroppo nella società odierna si dà sempre meno spazio a questo aspetto, rischiando di smarrire nell’oblio intere generazioni di giovani (ma anche di adulti). Da qui la mia idea di raccontare con leggerezza storie in cui sono la cultura, l’arte, lo studio a trionfare sulla superficialità della nostra contemporaneità.
Livorno, la mia città, ha nella sua storia decine di illustri figure nel campo della pittura, della letteratura, della musica (etc. etc.) e quindi è stato facile e anche divertente andare a ripescare personaggi purtroppo spesso dimenticati.

I tuoi cortometraggi sono "prove d'autore" pienamente riuscite, solitamente a questo punto si è pronti per realizzare un lungometraggio. Nella situazione culturale ed economica di oggi, un giovane autore può ancora aspirare a questo?

Ti ringrazio per il complimento. Sì, l’obiettivo è ovviamente quello: realizzare, prima o poi, un lungometraggio, tra l’altro, nel mio caso, già scritto e ormai a rischio polvere nel cassetto. Il sistema produttivo cinematografico italiano è piuttosto complicato; produttori che non hanno il coraggio di investire sui giovani, pubblico che si allontana sempre più dalle sale e soprattutto dai film italiani e molte altre problematiche che rendono veramente difficile il grande salto. Io credo che non sia un problema di qualità e neppure di crisi economica. E’ proprio la mancanza di coraggio di investire in cultura, scoprire nuovi nomi, osare nuovi generi cinematografici, provare a rieducare il pubblico ad un certo tipo di cinema. Nel cinema odierno, purtroppo, non conta tanto fare buoni prodotti o cortometraggi di successo, ma piuttosto scrivere film da botteghino che spesso cozzano con la qualità e la tipologia di cinema che i giovani registi cercano di perseguire. Però, come diceva Modigliani, “il tuo unico dovere è salvare i tuoi sogni” e quindi noi andiamo avanti per la nostra strada. Ci proviamo.

Come sono nate le tue collaborazioni con registi quali Rubini, Luchetti e Oldoini?

Nel 2006 ho conosciuto Enrico Oldoini ed è grazie a lui e al suo aiuto Federico Marsicano che sono riuscito a entrare nel mondo del cinema e a lavorare prima come assistente alla regia e poi come aiuto. Da lì ho stretto rapporti con altri registi e vari collaboratori che mi hanno portato a lavorare con nomi illustri del cinema italiano. Sono state esperienze indimenticabili che mi hanno formato indissolubilmente. Il set è una palestra di vita che, secondo me, chiunque vuole fare il regista deve vivere e superare. Si imparano cose su un set che sui libri di storia del cinema e di linguaggio cinematografico non si troveranno mai.

Livorno ama i giovani artisti livornesi?

Livorno è una città stranissima, bella, affascinante ma oramai completamente disillusa, soprattutto nei confronti della cultura e della sua storia.
Il livornese ha un carattere dissacratorio e autoironico che, se da molti punti di vista può apparire divertente e spensierato, in realtà non fa altro che sminuire e togliere importanza a tutto ciò che ha un marchio labronico. Se pensi che in città sono stati per decenni (e in alcuni casi tutt’oggi) dimenticati personaggi del calibro di Amedeo Modigliani, Piero Ciampi, Pietro Mascagni e tanti altri, puoi capire che riguardo ci sia nei confronti dei giovani artisti di oggi (e ce ne sono veramente tanti, in tutti i campi).
Per rispondere alla tua domanda, diciamo che Livorno li ama ma non li considera, proprio perché sono livornesi. E’ un meccanismo contorto e autodistruttivo che stronca in partenza le moltissime potenzialità culturali (e quindi anche turistiche ed economiche) che una città come la nostra potrebbe avere. E paradossalmente, nonostante tutto ciò, che fa rabbia, noi artisti amiamo ancora alla follia questa città.

Lorenzo Aloi, il giovane protagonista dei tuoi film è una vera e propria rivelazione, si tratta di una tua scoperta? Vuole intraprendere la carriera di attore?

Lorenzo è un Attore con la “A” maiuscola. Nonostante la giovanissima età mette una professionalità e una passione nel suo lavoro che talvolta neanche gli attori che fanno questo di mestiere hanno. Beh, sì, possiamo dire che ufficialmente, dal punto di vista cinematografico, l’ho scoperto io, grazie al prezioso suggerimento di Giuseppe Di Palma, che ha collaborato con me sia su Il cappotto di lana che in Due giorni d’estate.
Lorenzo adesso pensa a studiare con dedizione e ottimi risultati, ma, sotto sotto, secondo me, è sempre più attratto da un’eventuale carriera d’attore che gli auguro con tutto il cuore.



Produrre a costo zero, con questa qualità, non è cosa da tutti, come ci riesci?

E’ faticosissimo. Tutte le volte dico: “ora basta, la prossima volta se non c’è una produzione seria non faccio niente” e poi invece ci ricasco. E’ la passione che mi dà la forza di realizzare qualcosa e di sfruttare il più possibile le conoscenze che ho acquisito in quasi dieci anni di mestiere, tra film, spot, documentari e videoclip. I miei due cortometraggi sono stati realizzati, soprattutto l’ultimo, veramente a budget zero con una troupe di sole quattro persone, di cui soltanto due professionisti. Sono il primo a dire che abbiamo compiuto due miracoli in cui neanche io, lo ammetto, avrei mai creduto.
E nonostante ciò, con Il cappotto di lana, abbiamo raggiunto risultati strepitosi con 15 premi e 40 selezioni in festival insieme a film prodotti con ben altri budget e troupe. Attenzione però. Con questo non voglio assolutamente dire che un buon prodotto cinematografico può essere fatto anche senza soldi, anzi. I soldi servono perché in una troupe ci sono persone che lavorano e che quindi devono vivere con il loro mestiere. Nel mio caso devo ringraziare assolutamente i miei pazienti collaboratori che hanno partecipato amichevolmente alle riprese e il cast dei due film, composto da attori sempre presenti, attenti, bravi e seri, che credono nei miei progetti.

Copyright © by William Molducci

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