venerdì 20 settembre 2013

Vivian Maier, la misteriosa bambinaia fotografa, ora a Mosca


Street photography 2: Vivian Maier, la misteriosa bambinaia fotografa, ora a Mosca
Brothers Lumiere Center of Photography, Mosca, Bolotnaya Naberezhnaya 3, bdg 1
di Simonetta Sandri
4 settembre-27 Ottobre 2013

Quando ho preparato il primo testo sulla Street Photography, immedesimandomi a fondo e con un po’ di modestia, negli scatti dei grandi fotografi camminatori, come amo definirli, mi ero imbattuta per caso in Vivian Maier che avevo solo citato di sfuggita, gettando quasi un amo alla vostra curiosità. Allora non avevo troppo approfondito il misterioso personaggio, che, tuttavia, mi aveva profondamente colpito e lasciato quasi un senso di vuoto che si sarebbe colmato solo con la decisione di rinviare la ricerca ad altro, più idoneo, tranquillo e calmo momento. Immaginatevi dunque la mia sorpresa e curiosa eccitazione quando aprendo il The Moscow Times del 29 agosto, alla pagina 12 What’s on, ovvero il calendario settimanale della vita culturale moscovita (ancora lo conservo), leggo che dal 4 settembre il Centro Fotografico Fratelli Lumière della capitale avrebbe ospitato varie fotografie della Maier, per la prima volta in Russia. Dovevo andare al più presto, anche se, a malincuore (la trepidazione era tanta, troppa), avrei dovuto aspettare una decina di giorni, dovendo prima partire per una pillola di ultima, tenera e romantica vacanza romana e concludere alcuni importanti impegni personali e lavorativi. Roma ne era valsa la pena, davvero, dunque ho atteso alla fine senza troppa fatica, ma il ritorno in Russia sarebbe stato accolto da questa novità. Ecco allora che, un sabato mattina uggioso e piovoso, mi armo di ombrello, impermeabile, scarpe da tennis, cartina ed indirizzo manoscritto e cerco il Centro Lumière. Trepidante.


So solo che devo attraversare il ponte sulla Moscova vicino alla Cattedrale di Cristo il Redentore, non lontano dalla metropolitana Kropotkinskaya, e dirigermi nel vero ed unico centro culturale della città, vivo, pullulante di idee e colori. Cammino curiosa verso un posto che troverò davvero magico, la fabbrica di cioccolato Einem, aperta nel 1867 dai tedeschi Theodor Ferdinand von Einem e Julius Heuss, nazionalizzata nel 1918 e, nel 1992, ribattezzata Ottobre Rosso. Nel 2007 lo stabilimento fu spostato a nord della città e la centralissima area riconvertita secondo le esigenze più moderne di una capitale in vorticosa trasformazione. Dal 2010, Ottobre Rosso - il cui nome ben si addice se si osservano i bricchi color rosso acceso - non ha più niente a che fare con il cioccolato, se non per il nome che è rimasto sulle classiche tavolette che si acquistano come souvenir.
Mi viene in mente il bambino Charlie Bucket dell’omonimo film con Johnny Deep, pur non avendo nulla a che fare, lo so, ma questo posto fa pensare ad una favola buona, dal finale dolce e zuccherino, ignoro il perché. Pura e semplice fantasia libera e liberata …
Oggi l’area di Ottobre Rosso, che si trova di fronte all’imponente monumento di Pietro il Grande che svetta su un’altrettanto imponente nave, ospita centri di fotografia dal forte e penetrante odore di pellicola, gallerie moderne e alternative, con esposizioni temporanee, il bar-biblioteca del Museo di fotografia Lumiere, il suo fornito bookshop. Questo centro è uno spazio per mostre, qui stiamo andando ad incontrare Vivian. Compro il biglietto, 300 rubli, che conserverò con alcune foto acquistate nel bookshop sulla Mosca degli anni Quaranta - Settanta, ed entro, curiosa di ammirare le 50 fotografie esposte, rigorosamente in bianco e nero, quasi tutte risalenti agli anni Cinquanta. Ho preso alcune fotografie della Mosca di quegli anni per cercare un filo conduttore. Lo troverò con attenzione, magari in uno dei prossimi testi che cercherò di pensare per voi.

 
Torniamo a Vivian, le cui immagini spesso sono state comparate a quelle di Henri-Cartier-Bresson (ammetto che concordo con il paragone) e le cui composizioni avvicinate a quelle dell’ungherese André Kertész. Si dice che fosse amica dell’austriaca Lisette Model ma nella realtà si sa pochissimo della sua vita, avvolta quasi completamente dal mistero. Nel primo testo avevo indicato che era nata a New York, pare invece fosse nata Francia il 1 febbraio 1926, arrivata negli Stati Uniti negli anni '30, dove ha vissuto, a New York, lavorando come commessa in un negozio di caramelle. Dagli anni '40 si era trasferita a Chicago, dove era stata assunta come bambinaia in una famiglia del North Side.

Appassionata di cinema europeo, aveva imparato l'inglese andando a teatro, vestiva abiti e scarpe da uomo e indossava enormi cappelli. Una donna che non amava parlare, così la ricordano gli impiegati nello storico negozio di apparecchiature fotografiche di Chicago Central Camera, che ha trascorso i suoi ultimi giorni in una casa pagata dai tre ragazzi che aveva accudito fino agli anni '60. Sono loro, raggiunti da John Maloof, fotografo per passione e agente immobiliare per professione in cerca di materiale fotografico per la scrittura di un libro sui quartieri di Chicago, a raccontare di una donna misteriosa, socialista, femminista e anti-cattolica, che scattava fotografie in continuazione. Caduta in disgrazia, i suoi mobili vennero messi all'asta e 40.000 negativi, dei quali circa 15.000 ancora all'interno di rullini non sviluppati, furono acquistati per poche centinaia di dollari da Maloof. È lui a decidere di far conoscere al mondo intero l'opera di Vivian pubblicando gran parte delle immagini acquisite sul blog Vivian Maier - Her discovered work (vivianmaier.blogspot.com), sempre più frequentato. Sboccia così, a metà tra leggenda e virtualità, il mito di Vivian Maier, la fotografa del mistero della quale si conoscono rare notizie biografiche e il cui viso si intravvede solo in alcuni autoscatti. Si tratta di 40 anni di immagini che sfilano, pensate quanto ancora ci sia da vedere. A Mosca, oggi, vi sono 50 splendide fotografie, peraltro acquistabili in originale, di anziane impellicciate che guardano stizzite l'obiettivo, 


di uomini con i cappelli che fumano sigari, di bambini che piangono accuditi da mamme attente, di donne eleganti che aspettano l’autobus (forse), 



di mani di innamorati che si intrecciano, come le mie, le nostre.

E’ davvero un grande emozione passeggiare per quelle strade in bianco e nero e ritrovarsi ancora bambini fra le braccia accoglienti e calde dei genitori, osservando poi, da lontano, due poliziotti che trascinano un vecchio signore che non ha poi cosi l’aria da criminale ma solo le sembianze di un’antica sbornia.

Il mistero di questa donna introversa rimane grande, a me piace l’idea di lasciarlo così, anche se tanto si scriverà ancora sulla sua vita, forse perché lei davvero voleva questo, forse perché restare anonimi talvolta aiuta le vite difficili e solitarie. Tuttavia, rivelare una tale anima nascosta è stato sicuramente un grande regalo per tutti, anche se in molte immagini pare celarsi una profonda sofferenza, attenuata dalla curiosità e dall’amore per la vita. Cosi dunque voglio immaginarmi Vivian, chiusa e riservata ma allo stesso tempo tenera e sensibile alle sofferenze della strada, attenta all’essere umano ed alla sua storia fatta anche di tanti gesti teneri e sorpresi.
Perché la sorpresa e la tenerezza restano il cuore pulsante di ogni vita.
Con questa forte sensazione sono allora uscita dalla mostra, incamminandomi nuovamente, a testa china perché sovrappensiero, per le strade di Ottobre Rosso che visiterò di nuovo alla ricerca di altre idee.
Grazie ancora a voi per avermi accompagnato in questa passeggiata.
Il film Finding Vivian Maier è stato presentato al Toronto International Film Festival il 9 e 10 settembre 2013. 

 
Le foto incluse nel testo, che sono esposte alla Mostra di Mosca (curata da Anastasia Lepikova), sono tutte © Maloof Collection Ltd.

English Version:

Vivian Maier, the mysterious nanny photographer, now in Moscow
Brothers Lumiere Center of Photography, Mosca, Bolotnaya Naberezhnaya 3, bdg 1
by Simonetta Sandri
4 September-27 October 2013


When I prepared the first text on the Street Photography, humbly identifying myself with the shots of the great photographers-walkers, as I love to define them, I stumbled on Vivian Maier, who I gave only a passing mention, to just arouse readers’ curiosity. I then did not go too deep in this mysterious personality, which struck me intensively and left an empty space inside me that could be filled only by deciding to postpone the research for another, more suitable, quiet and calm moment. Imagine then my surprise and curious excitement when opening The Moscow Times of 29 August, at page 12, in the section What's on, or the weekly calendar of cultural life in Moscow (I still keep it), I read that, starting on September 4, the Center of Photography Lumière Brothers of the Capital would host, for the first time in Russia, various photographs of Maier. I felt immediately the need to go as soon as possible, even if, unwillingly (the trepidation was too great !), I had to wait for about ten days, having to leave for Italy to enjoy a last twinkle of a tender and romantic Roman holiday and finalize some important personal and business commitments. Rome was worth visiting, it did not take me much effort to wait, and at the same time the return to Russia was eagerly awaited by this news. Here then, on a gloomy and rainy Saturday morning, I armed myself with an umbrella, raincoat, tennis shoes, map and manuscript address and I went out to find the Lumière Center. 
 
My only information was that I had to cross the bridge over the Moscow River near the Cathedral of Christ the Savior, not far from Kropotkinskaya metro station, and make my way to the true and unique cultural center of the city, alive, bubbling with ideas and colors. I curiously approached a place, which is really ”magic”, the Einem chocolate factory, opened in 1867 by the German Ferdinand von Einem and Julius Theodor Heuss, nationalized in 1918, and renamed after the “Red October” in 1992. In 2007 the factory was moved to the north of the city and the central area transformed to satisfy the needs of a modern capital in a rapid and whirling transformation. Since 2010, the Red October - the name suits it perfectly if you look at the bright red bricks - has nothing to do with chocolate, if not for the name remaining on the classic bars of chocolate that you can buy as a souvenir. The child Charlie Bucket from the movie with Johnny Depp comes to my mind, even though he has nothing to do with the place. This place is a reminiscent of a good story, ending in a sweet and sugary way, I do not know why. Pure and free fantasy was released... Today, the area of the Red October, which is located opposite the impressive monument of Peter the Great that stands on an equally impressive ship, hosts centers of photography with a strong and penetrating smell of film, modern and alternative galleries, hosting temporary exhibitions, the library Bar of the Museum of Photography Lumière, and a bookshop with a variety of books. This center is a place for exhibitions; here we are going to meet Vivian. I bought a ticket for 300 rubles, to keep with some photos on Moscow of Forties - Seventies, purchased in the bookshop, and I entered the exhibition hall curious to see the 50 photographs displayed, strictly in black and white, most of them dating back to the Fifties. I took some photographs of Moscow of those years to find a common thread. I will look for it with attention, perhaps in one of the next articles that I will try to think for you.
Let's go back to Vivian, whose images have often been compared to those of Henri-Cartier-Bresson (I admit that I agree with the comparison) and whose compositions have been considered closer to those of the Hungarian André Kertész. It is said that she was a friend of the Austrian Lisette Model, but in reality very little is known of his life, almost completely shrouded in mystery. In the first text published I had indicated that she was born in New York, but it seems instead that she was born in France on February the 1st, 1926, arrived in the U.S. in the '30s, where she lived in New York, working as a clerk in a candy store. The '40s, she moved to Chicago, where she worked as a nanny for a family in the North Side.
Passionate about European cinema, she learned English by going to the theater. She was used to dressing gowns and men's shoes and wearing huge hats. A woman who did not like to talk, so the employees in the historic camera store in Chicago Central Chamber remember her, a woman who spent her last days in a house paid for by the three boys who had cared for until the '60s. Joined by John Maloof, a photographer by passion and real estate agent by profession in search of photographic material for writing a book about Chicago neighborhoods, they described her as a mysterious woman, socialist, feminist and anti-Catholic, taking photographs continuously. Disgraced, his furniture was auctioned and 40,000 negatives, of which about 15,000 still in undeveloped rolls were purchased for few hundred dollars by Maloof. It was his decision to make known to the world the work of Vivian publishing most of the images acquired through Blog Vivian Maier - Her Discovered work (vivianmaier.blogspot.com), more and more popular. It blooms so, halfway between legend and virtuality, the myth of Vivian Maier, photographer of the mystery, whose known biographical information are rare and face is barely visible only in a few self-portraits. It is 40 years of images that parade: think how much more there is to see [!]. In Moscow, today, there are 50 beautiful photographs, purchasable in original, of old women with fur coats looking angry to the lens,
of men with hats who smoke cigars, of crying babies cared for by attentive mothers, elegant women waiting for the bus (maybe), 

of hands of lovers intertwined, like mine, ours. 

It is really a great feeling to walk through those streets in black and white and children find themselves still cozy and warm in the arms of their parents, then watching from afar, two policemen dragging an old man who has not so the air of a criminal but only the semblance of an old hangover.  
The mystery of this woman introverted remains great; I like the idea to leave it, even if much more about his life will be written. I like the idea of the mystery left perhaps because she really wanted this, perhaps because sometimes to remain anonymous helps the difficult and lonely lives. However, to reveal such hidden soul was definitely a great gift for everyone, even if it seems that in many images there is a hidden suffering, tempered by curiosity and love for the life. So in this way I want to imagine Vivian, closed, discreet and reserved, but at the same time tender and sensitive to the sufferings of the street, caring human being and its story made of many tender and surprised gestures. Why the surprise and tenderness are the beating heart of all life. With this strong feeling I went out from the exhibition, walking back again, head bowed because in thoughts, to the streets of Red October I will visit again looking for other ideas. Thanks again to you for accompanying me on this walk.
Finding Vivian Maier film was screened at the Toronto International Film Festival on 9 and 10 September 2013.


Text Copyright © by Simonetta Sandri

domenica 8 settembre 2013

Intervista a Vincenzo Spampinato


Vincenzo Spampinato: Rime tempestose

di William Molducci

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Vincenzo Spampinato è presente sulla scena artistica sin dagli anni settanta in qualità di autore, musicista ed interprete, cultore di discipline quali danza (ha alle spalle anni di studio di mimo), teatro e ogni forma artistica, che gli possa creare stimoli ed interesse.
Partecipa al Festivalbar 1978 con il brano E' sera, ottenendo il primo grande successo, negli anni seguenti seguiranno brani quali Battiuncolpo Maria, Voglio un angelo, L, Napoleone, I separati, L'amore nuovo, Milano dei miracoli e decine di altri successi. Tra la fine degli anni '70 e la prima metà degli anni '80 ha realizzato tre album: Vincenzo Spampinato, Dolce e amaro e Rime Tempestose, quest'ultimo pubblicato sotto lo pseudonimo di Pietro Pan.
Contemporaneamente alla sua carriera di cantante lavora come autore per numerosi artisti quali Viola Valentino, Riccardo Fogli, Patrizia Bulgari, Fausto Leali, Irene Fargo e Milva. Tra le tante canzoni citiamo Torna a sorridere, Sulla buona strada (Sanremo 1985) e Per Lucia (Eurofestival 1983), portate al successo da Riccardo Fogli, Sola ed Arriva, Arriva (Sanremo 1983), eseguite da Viola Valentino, inoltre, insieme a Maurizio Fabrizio, ha scritto la sigla degli spot televisivi del settimanale Sorrisi e canzoni.

Gli anni novanta

Nel 1989, dopo alcuni anni di silenzio, pubblica il disco Dolce amnesia dell’elefante, un album intimo ed introspettivo, completato da due brani in dialetto siciliano, che le case discografiche precedenti gli avevano impedito di incidere. L'autore gioca con l'antinomia del titolo (la contrapposizione della parola dolce con amnesia, soprattutto perché riferita all'elefante, simbolo di buona memoria), proponendo testi che si possono leggere come capitoli di un romanzo, musicati con melodie mediterranee. Nel disco è inserito anche il brano Per Lucia, portato al successo da Riccardo Fogli. Come dichiarato anche nella nostra intervista, Spampinato tiene molto a questo brano e gli piace credere che, nel suo piccolo, abbia contribuito ad abbattere il muro di Berlino. La canzone narra di un amore berlinese, reso impossibile dagli steccati ideologici della guerra fredda: “... oltre il muro che cosa c'è, trattieni il fiato e poi salta verso me, i colpi di fucile sono oramai lontani, apriremo il cielo con le mani”.
Nel 1990 esce Antico suono degli dei (altro titolo atipico), realizzato con la collaborazione di Tony Carbone dei Denovo ed Alfio Antico, cantante e musicista, tra i maggiori interpreti della tammorra (strumento musicale a percussione). Gli arrangiamenti sono sviluppati grazie al largo utilizzo di strumenti quali zampogne, mandolino, cornamusa, arpa celtica, oltre agli archi scritti e diretti da Massimo di Vecchio e la presenza dell'Orchestra sinfonica Nova Amadeus di Roma. Questo è il disco della nostalgia e dell'amore perduto, che risente ancora nei testi dell'introspezione intimista dell'album precedente, ma che in una sorta di contrapposizione musicale, propone ritmi ed arrangiamenti brillanti ed allegri. Durante alcune tappe del Cantagiro 1991, Vincenzo ha eseguito il brano Antico suono degli dei insieme ai Matia Bazar.
Nel 1992, esce il disco che forse lo rappresenta al meglio: L’amore nuovo, il cosiddetto “disco della rinascita”, dove il filo conduttore è rappresentato dalla speranza (individuale e sociale). L'album è arricchito dalla presenza di Lucio Dalla nel brano Bella e il mare (“stavo cercando un tenore che interpretasse il mare e Lucio si propose...”) e da Franco Battiato in L’amore nuovo. La playlist comprende canzoni quali C'è di mezzo il mare, un brano pieno di riferimenti alla cronaca, dove viene descritta la Sicilia dei misteri, con citazioni anche alla strage di Ustica. Il brano, nato da un moto di sofferenza, rabbia e ribellione, si apre con un coro alpino che canta: “... lassù sulle montagne libero vola il falcone”, con chiari riferimenti alle figure di Libero Grassi e Giovanni Falcone. Segnaliamo anche I separati:”... e ricordarsi di comprare il pane e ricordarsi di dimenticare...” (anche in questo caso notiamo un riferimento all'amnesia come perdita di memoria temporanea e quindi oblio necessario per lenire il dolore), così come suggerito nel titolo del suo disco del 1989)
Judas del 1995 è l'album considerato della protesta, della rivolta e della rivendicazione. In Judas l'impronta musicale etnica è meno marcata, la struttura della canzoni è più essenziale, in linea con i temi trattati. La lista dei brani propone dieci perle, tra queste: Napoleone, Campanellina, La tarantella di Socrate, Il portiere, il suggeritore... gli altri e Il passo dell'elefante.

Vincenzo e il terzo millennio

Nel 2000 esce Kòkalos.3 disco di canzoni vecchie e nuove interamente in lingua siciliana, definito dall'autore come il suo “disco del cuore”. Il titolo misterioso omaggia Kòkalos l'antico re dei Sicani, mentre il tre viene utilizzato in quanto numero ciclico e misterioso.
Nel 2006 è stata pubblicata la raccolta Ri-Vintage, che contiene numerose canzoni inedite e versioni dei vecchi successi in versione mai pubblicata, il suo autore la definisce “Analogicantologia”, consigliata per chi vuole iniziare a conoscere questo grande artista.
Nel 2012 Vincenzo pubblica il suo ultimo CD intitolato “Muddichedda muddichedda”, che prende il titolo dal brano vincitore dell'undicesima edizione del Festival della nuova canzone siciliana. L'album propone brani in lingua siciliana, di cui metà inediti e l'altra metà provenienti da Kòkalos.3, queste ultime debitamente rimasterizzate. Nella track list è presente anche Aspittammu u ventu (già inserita in Kòkalos.3), eseguita con l'Orchestra dei Rondò Veneziano diretti da Giampiero Reverberi

 

L'intervista

Venditore di nuvole” è il titolo dello show che da tre anni stai portando in giro per l'Italia, dove tra citazioni, filmati, aneddoti e racconti inediti, proponi il tuo vasto repertorio, in una sorta di percorso artistico ed umano. Vuoi parlarci di questo spettacolo?

Ognuno di noi è (se vuole) “il venditore di nuvole o sogni”. Una vendita metaforica, dove si chiede soltanto di sognare in compagnia, in un Paese dove ormai tutti si credono creatori o padroni dei sogni degli altri. L’idea nasce dall’esigenza di presentarsi in maniera semplice e sincera al pubblico, che a parer mio è stanco dell’arroganza che si vede in giro e nei media.

Un musicista che vende nuvole e sogni ha ancora la possibilità di farsi apprezzare in una società sempre più chiusa ed egoista? Su quali leve deve agire?

Credo che ogni essere umano, dunque anche noi suonatori, viva sempre in bilico sulla bilancia della qualità o quantità. Io spero sempre, di divertire gli ascoltatori con intelligenza. Non per fare il saputello, ma semplicemente perché la gente non è così stupida come ci vogliono far credere i reality.

Hai iniziato la tua carriera negli anni '70, partecipando, tra gli altri, anche al tour “Primo concerto” insieme a Vasco Rossi, Marco Ferradini, Alberto Fortis e Renzo Zenobi. Praticamente avete esordito insieme. Vuoi raccontarci di quell'esperienza e delle vostre speranze di allora?

Eravamo molto giovani e affamati di successo, è stata un’esperienza unica ed irripetibile, che comunque ad ognuno di noi ha tracciato la via che dovevamo e volevamo seguire.

Hai vissuto l'epoca dei festival e delle rassegne canore, oggi sempre più spesso trasformate in format televisivi, cosa ti manca di quel modo di fare conoscere la propria musica?

Era ovvio che i media si modificassero, ma francamente pensare che la Musica non avrebbe avuto più spazi in TV era impensabile. Credo che quello che manca a noi musicisti, manca sicuramente anche al pubblico.

Internet, dove tu sei presente con Facebook e sito ufficiale, è uno strumento di comunicazione che elimina ogni tipo di filtro, cosa ti ha portato l'avere un rapporto diretto con i tuoi fan?

Io non ho mai avuto né filtri né barriere con gli ascoltatori. Ho sempre avuto un rapporto leale e diretto. Non sono come certi colleghi, che trincerati nelle loro puerili torri d’orgoglio, hanno dimenticato che esistono, perché la gente li fa esistere.

Hai scritto brani importanti per cantanti quali Riccardo Fogli, Viola Valentino, Fausto Leali, Milva, Beans, Irene Fargo e Patrizia Bulgari. Il donare una canzone è senza dubbio un gesto di generosità e di amore, cosa provi ad ascoltare la tua musica e le tue parole interpretate dagli altri?

Una grandissima gioia!
Oggi si potrebbe spiegare o paragonare, come quando condividono su Facebook una foto o un tuo pensiero!

Uno dei tuoi brani più conosciuti è Per Lucia, interpretato da Riccardo Fogli e portato all'Eurofestival nel 1983. Cosa ha rappresentato per te questa canzone e come mai hai scelto di inciderla nove anni dopo in La dolce amnesia dell'elefante?

Per Lucia è stato il primo colpo di “piccone” sul muro di Berlino. Nonostante fosse ancora lontana l’ipotesi del crollo di quella vergogna di cemento e mattoni, ho voluto credere che (senza retorica) l’Amore non si ferma davanti a niente. Ho voluto cantarla perché appartiene profondamente al mio vissuto musicale.

Nel 1987 il tuo brano Il mio grande papà si è classificato secondo allo Zecchino d'oro, quale è stata la genesi di quella canzone?

Visto che ero ormai grande per parteciparvi come cantante, non avendo altra scelta… beh diciamo la verità: l’ho scritta per mio figlio e per dirla come Gianni Rodari, un po’ anche per i figli degli altri.

Lucio Dalla, Franco Battiato, due incontri importanti culminati con la loro partecipazione a L'amore nuovo, l'album della rinascita ...

Ci è dato sempre di rinascere…in musica naturalmente. Ricordi la celeberrima song dei Beatles “With a little help from my friends? Due cari Amici, mi hanno dato un piccolo grande aiuto.

Hai detto che le canzoni una volta create camminano con le loro gambe, ma cosa si prova quando le si incontra all'improvviso?

Forse un effetto Dorian Grey. Non so perché, ma credo che le canzoni non invecchiano…sono immortali.

Sino a qualche anno fa era normale entrare in una rivendita di dischi ed interagire con altre persone. Cosa abbiamo guadagnato e cosa si è perso in cambio di un download da iTunes?

Anche la Musica risponde ai sensi, a tutti i sensi : manca il tatto… col disco avevi sempre qualcosa di tangibile. Sarò un nostalgico ma mi manca tantissimo il vinile.


Hai vinto l'11 edizione del Festival della nuova canzone siciliana, con il brano che porta il titolo del tuo ultimo CD "Muddichedda muddichedda". Tu hai spesso alternato canzoni in dialetto siciliano a quelle in italiano, qual è la motivazione che giustifica la scelta di una o dell'altra lingua?

Quando ho paura, nostalgia, insomma sentimenti decisamente più forti, ho bisogno di parlare e cantare nella mia lingua: il Siciliano!

Uno dei tuoi dischi più difficili da reperire è sempre stato Judas, vuoi parlarcene ora che finalmente è rintracciabile su Internet?

Judas ha avuto una genesi difficoltosa (in quel periodo la DDD veniva venduta alla BMG, senza che noi artisti ne fossimo a conoscenza) è stato un disco travagliato ma intenso. Io lo considero uno dei più belli che sono riuscito a scrivere.

Ri-vintage è una tua antologia pubblicata nel 2006, con numerosi inediti, che ha il vantaggio di essere tuttora facilmente rintracciabile nei negozi on-line, la ritieni un buon punto di partenza per chi vuole conoscerti?

Solo il live fa conoscere a fondo un artista. Lì sei con la guardia abbassata, sei sulla fune, sei il clown che cerca l’applauso nel circo della Musica… Fellini docet!

Hai appena ultimato il tour estivo, quali progetti hai all'orizzonte?

Un nuovo disco e diversi tour all’estero, anche se mi piacerebbe portare in tutti i piccoli teatri italiani “Venditore di Nuvole”, ma purtroppo l’Italia manageriale e televisiva, dà spazio sempre ai soliti raccomandati.

Si consiglia la lettura del libro di Mario Bonanno "Vincenzo Spampinato lettere mai spedite e rime tempestose" ed. Bastogi p.120

Copyright © by William Molducci 

mercoledì 4 settembre 2013

Leptis Magna



Um Suleman ed il suo tenero sguardo su Leptis Magna
di Simonetta Sandri (testo e fotografie)

Ab assuetis non fit passio … E allora non siamo in un luogo comune…

Leptis Magna, Jewel of Libya

Why this emptiness after joy?
Why this ending after glory?
Why this nothingness where once was a city
Who will answer? Only the wind
Which steals the chantings of priests
And scatters the souls once gathered.
Sidi Mahrez, In the Country of Men, Hisham Matar

Varcare la soglia dell'arco di Settimio Severo a Leptis Magna è un salto nella storia, un passaggio epocale di magnificenza imperiale. Un luogo dove ci si può facilmente innamorare, dove ad alcuni è sicuramente successo, nel passato e nel presente.

   


Lo spettacolo che ci si trova di fronte si può riassumere, se si può riassumere, in tre semplici e puri elementi: arcate, fregi e cielo, solo cielo azzurro. Azzurro come solo il cielo innamorato può essere laddove si confonde perdutamente e profumatamente con il mare. Nessuna linea li divide più, si fondono in uno smeraldo puro ed intenso, luminoso e quasi accecante. In un abbraccio amorosamente perso.
E allora ti ritrovi a camminare su pietre millenarie che hanno conosciuto i passi di gloriosi imperatori, ricchi mercanti ed uomini comuni. I tuoi passi si sovrappongono ai loro, hai l'impressione di ricalcarne le orme leggere, di sfiorare nella polvere un'epoca d'oro che ti passa magicamente davanti agli occhi anch’essi divenuti azzurri e saggi. Poeti e scrittori si sono persi nei colori di quelle spiagge e di quelle strade.
Una pellicola scorre lentamente, vedi immagini, scorci di mare, di mercati variopinti e vocianti, di pesi e misure di pietra, di donne, uomini e bambini che scambiano pensieri, opinioni e risate vigorose. Si parla di mercanti venuti da oriente, di stoffe preziose e spezie profumate, di cortigiane bellissime ornate di gioielli che testimoniano l'interesse dei loro amanti. Pettegolezzi e chiacchiericci che senti tra quelle pietre e colonne immense. Il marmo rosa lucido che si affaccia sulla piazza è dello stesso colore dei fiori che crescono solitari lungo il cardo massimo. Gli artigli delle streghe, così si chiamano. Artigli che svettano coraggiosamente verso il cielo, diretti al mare, piante che nonostante il nome sono delicate e addolciscono il paesaggio arso dal sole inclemente. Ci passi accanto e capisci come quei fiori, indipendenti dall'acqua, sopravvivono a te e alla storia.




Sono lì ormai da secoli, crescono e ricrescono, prosperano accanto alle pietre centenarie. Ti piace pensare che le prime gemme abbiano visto passare l'imperatore, che lo stesso abbia colto un fiore fucsia da regalare alla ragazza che lo accostava intelligentemente e delicatamente nel tentativo di strapparne un gesto di saluto o magari una carezza. Respiri la storia, la tua storia, la storia comune ad una Libia viva e ricca di magia.
Gli arbusti crescono selvaggi ed indisciplinati, proprio come i tuoi capelli ricci indomabili impregnati di sabbia, sale e vento. I vestiti leggeri, bianchi e trasparenti, svolazzano contenti insieme ai tuoi pensieri che, accanto alla gorgone dalle pupille a forma di cuore, si soffermano a guardare il mercato abbandonato.

 

Le alte porte dei negozi, intarsiate, ricamate e rettangolari come le cornici allegre di alcune case patrizie, ti portano dentro un'immagine sbiadita ma merlettata di bianco.
Sei in un film a colori e giri una scena della tua esistenza che in quel momento sa di incredibile, magico e dolce. Masterpiece, profumo di caramello e di zucchero filato rosa.
Vuoi comprare una stoffa color carminio e ti serve una moneta. La cerchi nella vecchia tunica, nascosta fra le pieghe fruscianti, mentre ti aggiri per il foro vecchio. Senti il metallo lavorato e pesante, il tatto torna indietro un po’ spaventato, senti davvero che la storia ti sta parlando con attenzione. E tu ascolti paziente e curioso. Altrettanto magicamente rispondi. Sei lì con lei, meravigliosamente accanto. Lei che respira e ti parla sottovoce. Un salto allora, un volo leggero, un passaggio veloce da un carattere ad un altro. Curioso, sempre più, ti avvicini ad un’anfora di terracotta color arancio acceso ed ecco un'altra moneta. Te ne basta solo una, ancora solo una.
Un cactus ombreggia sonnecchiante sull’altro mercato assolato
 



La tua purezza di cuore t’immerge nello stupore di percepire distintamente un suono tintinnante di sonagli argentati. Cuore di marmo rosa pallido che si scioglie al sole della tua storia. Vedi passare Um Suleman, il ragazzino che Hisham Matar descrive nel suo bellissimo Nessuno al mondo, quel giovane libico che assapora le more cadute dal paradiso per volontà di un gruppo di angeli dispettosi ma perdonati, che descrive le colonne di Leptis con l’elegia di Sidi Mahrez per Cartagine, che vive la Tripoli degli anni Settanta, impaurito dalle repressioni e desideroso di aiutare la madre sola, miracolosamente aggrappata ad una misteriosa medicina che sa di diabolico e proibito ed in fuga da un marito democraticamente e pericolosamente rivoluzionario. Una colonna imperiosa svetta verso il cielo azzurro, mentre ascolta le parole di Um Suleman.




Allora ripercorri le pagine di Matar, cerchi il passaggio dei fregi spezzati di Leptis che mostrano parte del nome dell’imperatore, della descrizione di un’assenza che è dappertutto. Ripercorri le righe che descrivono archi senza pareti, i soffitti dei negozi… che nella piazza deserta sotto il cielo aperto sembrano vecchi che abbiano perso la strada. Tocchi tralci e grappoli d’uva scolpiti nella pietra, strade lastricate di ciottoli bianchi, alcune dirette verso il mare, altre verso il verde deserto circostante, che avanzano coraggiose nella marea di sabbia che le sommerge. Felci, fili d’erba, salvia selvatica e palme che s’inchinano come vecchie pettegole ai margini della città. Anche lui, come te, vede le gorgoni messe lì minacciose a spaventare il nemico, le folli menadi seguaci di Dioniso, danzanti ed ispiratrici di creatività.
Il mare ruggisce, spumeggia ma sorride.
La Basilica dei Severi svetta nella sua immensità. Il colore della sabbia acceca.





Le stelle nascoste dal giorno, dopo aver salutato con un cenno di capo la luna leggera che le ha accompagnate tutta la notte specchiandosi sul mare, sorridono ai tuoi passi affaticati dall'afa la cui gonna è ogni tanto leggermente sollevata da una brezza marina che ti accarezza capelli e idee. Le Terme della Caccia dormicchiano poco più lontano.




I pensieri volano, talora solitari talaltra a braccetto, l'umanità più colta e coraggiosamente imprenditoriale si è soffermata per quelle vie antiche a leggere, meditare, chiacchierare, sognare, litigare, comprare, mercanteggiare, ascoltare brani teatrali e musicali, accovacciata sulle alte scalinate che guardano curiose verso il mare.
Il personaggio di una commedia plautina passeggia fra le colonne del teatro e dell’anfiteatro che si affacciano sul mare cristallino. Forse è il vecchio avaro Tenichiuso che cerca la sua pentola d'oro e tenta di salvare la figlia dalle grinfie di Lupacchiotto. O forse si tratta di Giove-Anfitrione che, divertito, corre dietro alle tuniche svolazzanti di Alcmena sognante... E' comunque certo che si tratta di un'ombra antica che vaga ridendo e divertendosi come una matta, per ricordare anche a te le risate e gli applausi fragorosi che hanno echeggiato su quelle gradinate scoscese e immerse nell'azzurro più accecante.
Quel teatro, della fine del sec. a.C., ospitava nella sua cavea, in parte naturale e in parte artificiale, senatori, cavalieri, soldati, cittadini romani, liberti, schiavi, donne e bambini. Li vedi lì seduti, in strettissimo ordine gerarchico, entrare in fila con la loro piccola tavoletta in osso, che a mo’ di biglietto senza tariffa, gli permette di entrare a vedere mimi e pantomimi, con sottofondo di cetre, tibie o crotali latini. Percepisci distintamente le note degli strumenti a corda, a fiato o a percussione reciproca. Vedi maschere che sfilano cangianti sui volti degli attori, mentre l’aulaem, il sipario, si alza e si abbassa al ritmo degli applausi. Quelle maschere che i romani chiamavano “personae”, e allora pensi che Pirandello lo sapeva… Uno scabillum, strumento infilato al piede di un giovane nerboruto ed aitante, mantiene il ritmo di risate e sospiri.

 

Sei nel pubblico, davanti ad un’orchestra che guarda verso il mare calmo. L’imperatore e la sua famiglia ti guardano dai tribunalia. Ci sei, siete lì tutti insieme. E’ indescrivibile.
Sei felice e trasmetti felicità. Le persone originali trovano risposte anche lì, in un fiore ed un’erba selvaticamente millenari, che sembrano trovarsi in quel posto proprio per te e per ricordarti che la storia siamo noi e che in un attimo ne fai parte con il tuo passato ma anche con il tuo futuro. Perché futuro sarà anche quello di tramandare la bellezza, l’amore e la romanticità di quei posti, di aiutare a conservarli, anche solo facendone conoscere l'importanza con una breve riflessione in un articolo di rivista.
Perché anche questo è non farvi sentire soli nell'immensità della nostra valorosa ed imponente storia. In una Libia dove i più bei tramonti mai visti in tutto il Mediterraneo dipingono il cielo di un tenue ed affamato rosa. E dove l’azzurro domina imperioso.
Sempre.


Una versione ridotta del testo è stata pubblicata su BioEcoGeo n.23, Febbr.-Marzo 2013, pp.90-94.
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