venerdì 9 agosto 2013

Daghe fogo: il film di Luka Krizanac


Intervista a Luka Krizanac (Luka Nreka), regista del film Daghe fogo
di William Molducci

Abbiamo incontrato Luka Krizanac “Luka Nreka”, regista del film Daghe fogo (dagli fuoco), un lungometraggio interamente girato e realizzato nella cittadina croata di Rovigno in Istria. Questa splendida cittadina si trova sulla costa occidentale dell'Istria ed è posta su di una penisola, che nel XVIII secolo è stata collegata artificialmente alla terraferma. Rovigno è circondata da isole, isolette e numerose baie, che, unite alla bellezza del suo centro storico, ne fanno un luogo di incomparabile bellezza.
Nella città il fermento artistico lo si vede in ogni sua parte, sia esso il centro Multimediale, oppure nelle iniziative della Comunità degli Italiani, il festival del cinema, la filodrammatica o i tanti atelier di pittori e scultori, posti ai margini dell'antica scalinata che porta alla chiesa di S. Eufemia (conosciuta anche come via degli artisti).
Daghe fogo ci offre uno spaccato dei giovani abitanti di questa città, consentendoci di conoscere una realtà e delle situazioni che a noi italiani possono sembrare lontane, ma che in effetti fanno parte della nostra storia. Il tutto illustrato con un suggestivo bianco e nero.

Vuoi parlarci del soggetto del film?

Il film tratta metaforicamente, in modo demenziale e tragicomico, i problemi che possono avere in comune gruppi di persone appartenenti a status sociali diversi. Racconta vicende reali esasperate al massimo, con lo scopo di farle sembrare irreali.

Daghe fogo è un lungometraggio interamente ambientato a Rovigno, è stato complicato realizzare un film a budget zero in questa splendida ma piccola città istriana?

Devo dire che è stato molto difficile. Specialmente per il fatto che essendo una città piccola, qualsiasi cosa ci serviva non la potevamo trovare a Rovigno. Da una vite M7 (misura non proprio standard) a vari elementi più specializzati per le riprese. Ricordo che tutto quello che ci è servito per girare il film lo abbiamo costruito in casa io e Fabio Damuggia (tranne la videocamera e l'adattatore per gli obiettivi). Fabio è riuscito perfino a trasformare un vecchio obiettivo in macro (ci è servito per alcune inquadrature).
Altro problema era il fatto di non poter girare nel periodo che va da Pasqua fino ad ottobre perché tutti quelli che collaboravano gratuitamente al progetto, dovevano lavorare. Questo perché Rovigno è una città turistica e in quel periodo tutti riescono ad “acchiappare” qualche lavoro. Devo però ammettere che alcune cose ci sono state agevolate, per esempio l'intervento dei vigili del fuoco di Rovigno in una delle scene finali (ci ha aiutato un po' il fatto di aver fatto il militare nei pompieri), oppure il permesso di girare delle scene nell'ospedale Martin Horvat di Rovigno, per il quale è bastata una semplice richiesta.

Foto di scena durante le riprese al Buzz Bar di Rovigno

Come è nato e si è sviluppato il progetto?

Il progetto nasce circa sei anni fa con una bozza di sceneggiatura. Poi iniziai a cercare i mezzi per realizzarlo, cosa non facile essendo a corto di fondi. Quando mi ero ormai rassegnato a non essere in grado di realizzare il tutto, durante il lavoro sulla scenografia per un film indipendente (che dovrebbe uscire a fine anno), ho incontrato il fotografo Fabio Damuggia, il quale accettò di aiutarmi nella realizzazione del film e senza il quale probabilmente il progetto non sarebbe mai stato portato a termine.
Il primo anno di lavoro è servito per organizzare le locazioni, le scenografie, i costumi, trovare e costruire a mano in officina tutti gli attrezzi necessari per girare il film; apparecchiature che altrimenti sarebbero costate decine di migliaia di Euro, cifre per noi impossibili. Tutto questo grazie, tra gli altri, all'aiuto di Luca Majerić Tamburini e Martina Vupora i quali hanno partecipato anche come attori.
Le riprese sono durate per più di due anni per le mille difficoltà, che comporta il fare un film a budget zero. In quel periodo si è unito al nostro gruppo il film-maker tedesco Marko Sovulj, il quale insieme a Fabio e al sottoscritto, è stata una delle persone essenziali nella post-produzione del film, risultata con nostra sorpresa, la parte più complicata.

Gli attori del film si sono dimostrati spontanei e alcuni sono a loro volta artisti, ci vuoi parlare di loro dentro e fuori il set?

Gli attori sono un discorso un po' a parte. La storia in se stessa riporta caratteristiche di gente vicina a me e agli attori. Numerose situazioni, che si trovano nel film, pur sembrando assurde sono capitate veramente (le abbiamo soltanto esagerate un po'), quindi gli attori si sono trovati nella situazione di interpretare caratterialmente se stessi.
Il problema vero e proprio è sorto nel momento in cui dovevano memorizzare il copione. In quella situazione smettevano di essere se stessi, in quanto non erano attori professionisti e questa era la loro prima esperienza cinematografica. La soluzione è stata quella di dire a tutti: “ok, avete imparato la storia, ok adesso buttiamo via il copione e parlate di quello che parla il film, ma a modo e con parole vostre”. Dopo qualche giorno tutti erano molto più rilassati, come se vivessero situazioni quotidiane e non ci fosse nessuna videocamera a riprenderli. Tra gli attori ci sono soltanto due persone che hanno avuto qualche esperienza precedente, si tratta di Teodor Tiani, il quale è un attore teatrale e di Fabio Danuggia, che ha vissuto qualche esperienza nelle recite teatrali amatoriali della Comunità degli italiani di Rovigno.
Gli attori sono in parole povere amici, molto contenti ed entusiasti di aiutarci. Qui possiamo trovare molti colleghi artisti tra cui: Il pittore Davor Rapaić, l'artista concettuale Goran Petercol (uno dei piu grandi artisti croati attualmente in circolazione), il poeta Alessandro Salvi (che fa da narratore spiegando le varie parti del film in modo metaforico attraverso le sue poesie), i fratelli musicisti Marko e Dino Kalčić (uno membro del gruppo “Svadbas” l'altro dei “Gustafi” non che promotori di moltissimi progetti musicali), il gruppo East Rodeo che ci ha concesso la loro musica (musicisti di rock psichedelico, nonché grandissimi artisti di performance, appena tornati da un tour in Giappone), il gruppo punk Titos bojs (che partecipano al film e che ci hanno dato le loro canzoni). In questi giorni esce il nuovo single, che come video promozionale avrà alcune scene del film. Tra i collaboratori cito anche il gruppo TheLink20 (che hanno partecipato al film e ci hanno concesso le loro canzoni, inoltre, alcuni di loro ci hanno dato una mano anche nelle riprese). Altri artisti sono il gruppo Obican Svijet (che partecipano al film e che ci hanno concesso le loro canzoni ), lo scultore Andrija Milovan che ci ha messo a disposizione il suo atelier, come location per girare le scene della festa, inoltre, ha fatto anche da comparsa in alcune scene.
Tra gli altri attori troviamo persone di tutti i generi, tra cui il giornalista della Voce del popolo Sandro Petruz, Denis Hrelja (ingegnere dell'università di Padova), il professore Zoran Bjelopetrović e cosi via. 

Fabio Damuggia e Luka Krizanac

Nel film alcuni attori si esprimono nella lingua di origine italiana (molto simile al nostro dialetto veneto) altri in croato, Il linguaggio utilizzato rispecchia l'attuale situazione etnica della città e della stessa Istria?

Il modo di parlare di Rovigno e dell'Istria è una mescolanza di tutto. Infatti, come detto prima, il modo di parlare utilizzato nel film deriva direttamente dal modo naturale di parlare degli attori. Se prendiamo per esempio parte della frase: “...gavemo ditto che anche noi studiemo, cusi che fa pasati...”, vediamo che in una frase in dialetto viene introdotta una parola croata, cosa molto comune nel modo di parlare attuale in Istria. Il dialetto parlato è l'istroveneto molto simile al veneziano, forse di più a quello cesotto. Oggi giorno si parla in questo modo, anche se il vero dialetto di Rovigno è quello rovignese, molto diverso con molte similitudini con il catalano. Peccato che si stia perdendo perché è sempre meno in uso tra i giovani.

Come convivono i giovani delle diverse etnie a Rovigno? Qual è la lingua che li accomuna?

Rovigno come tutta l'Istria è multiculturale e la lingua parlata... sono tutte. Infatti in un gruppo di persone è usuale parlare in lingue diverse. Per esempio se uno chiede una cosa in dialetto istroveneto è normale che capiti che qualcuno risponda in croato, ed un terzo ribatta in dialetto istriano. Tutti parlano nel modo in cui gli viene spontaneo, perché comunque lo capiscono tutti. In pratica è un frullato di culture linguistiche.

Il linguaggio utilizzato dagli attori nel film è spesso molto grezzo, al limite del volgare, rappresenta il modo di esprimersi dei giovani rovignesi e per quali ragioni storiche?

Si può dire anche senza “limite”, che è volgare! Così si parla nel mondo dei giovani d'oggi, la volgarità è diventata quotidianità. Perché? Non lo so, però è cosi, ma non solo in Istria. Io vivo a Venezia e devo dire che i veneziani non sono a meno quanto a bestemmie ed altro. Anche nei film americani si usa molto prendere il linguaggio di strada che è volgare. Noi abbiamo voluto un vero e proprio “Cinéma vérité” sia con le riprese che con la cultura underground, quella di cui non si esaltano troppo i pregi. Questa è una visione reale della vita privata della gente (che poi nelle loro situazioni professionali si sanno comportare in modo adeguato). Personalmente reputo che l'importante in un gruppo di persone, non sia il linguaggio usato, quanto il fatto di non offendere nessuno. Per quanto riguarda le ragioni storiche della regione cito una cosa che mi diceva mia nonna: “a ma, sono nata austriaca, mi sono sposata italiana, sono andata in pensione come jugoslava, e morirò croata...” e parliamo solo del ventesimo secolo.

Foto di scena

Senza dubbio il circuito principale di distribuzione sarà quello dei festival indipendenti, ma ritieni che vi possa essere attenzione da parte di televisioni locali o nazionali croate? Oppure slovene come per esempio TV Koper?

Onestamente non so se le televisioni croate potrebbero essere interessate al nostro film, primo perché è in dialetto, secondo perché è un po' “crudo”, anche se a noi farebbe piacere l'opportunità di far vedere il nostro film.
Un po' perché tratta di problematiche sociali, che da noi esistono, ma che sono considerate un tabù. Inoltre, avremo l'occasione di dimostrare che anche senza soldi si può realizzare un progetto abbastanza serio e stimolare quelli che hanno buone idee, senza che le tengano chiuse in “prigione”, aspettando che qualcuno paghi il riscatto.
Per quanto riguarda TV Koper, forse potrebbe essere interessante il fatto che in un modo inusuale ed anche un po trash, raccontiamo una subcultura istriana che esiste e che (vedendo anche chi a aderito al progetto ) è molto importante per la regione. Da quello che abbiamo visto negli anni la TV di Capodistria ha sempre “documentato” gli eventi che dimostrano l'esistenza della cultura nella minoranza italiana in Istria.

Come hanno reagito gli abitanti di Rovigno durante le riprese del film? Vi hanno incoraggiato?

Gli abitanti di Rovigno non si sono accorti troppo di quello che stavamo facendo essendo il film girato un po' in stile “guerriglia”. Quelli che sapevano cosa stavamo facendo ci hanno incoraggiato ed aiutato. Come per esempio il pescatore ed eccellente cuoco Luciano Ugrin, che ci ha dato una mano nelle riprese iniziali del film, facendoci partecipare ad uscite di pesca mattutine anche a scapito del suo lavoro, o Mirko Juricic che ci ha dato la possibilità di utilizzare il “Buzz bar”, anche in situazioni dove intralciavamo il suo lavoro.

Per quale motivo è stato scelto il Buzz Cafe' Bar e cosa rappresenta per Rovigno questo locale?

Il Buzz è un posto ormai cult a Rovigno. Un posto dove si ascolta del buon rock, dove si incontrano tantissime persone, siano essi giovani, vecchi, ricchi, poveri, artisti, operai, di tutto di più... e la cosa interessante che tutti comunicano senza nessun tipo di barriere intellettuali. Un posto dove si organizzano piccoli concerti, eventi culturali ed altro. Basta andarci sin dal mattino e si può già parlare di tutto fino a notte fonda, raccontando idee ed ascoltando quelle degli altri. Un ambiente ideale per raccontare una delle vicende del nostro film.

Riprese in esterno a Rovigno

Trailer del film "Daghe fogo" 

La scheda del film:
Attori principali: Davor Rapaić, Fabio Damuggia, Teodor Tiani, Goran Petercol, Silvio Budicin, Denis Hrelja, Martina Vupora, Sandro Petruz, Luca Majerić Tamburini, Zvan Ugrin, Alessandro Salvi nel ruolo di se stesso e molti altri.

Parte tecnica: Luka Krizanac “Luka Nreka” (regia, sceneggiatura, montaggio, postproduzione e scenografia), Fabio Damuggia (sceneggiatura, riprese, scenografia, postproduzione), Marko Sovulj (riprese, postproduzione ed effetti speciali), Luca Majerić Tamburini (attore, scenografia, luci), Marco e Dino Calčić(suono e postproduzione suono), Martina Vupora (attrice,trucco, costumi), Josip Bilanđžić (riprese), Nenad Bravar (riprese).

Copyright © by William Molducci

martedì 6 agosto 2013

Sebastião Salgado



Sebastião Salgado: Genesi ed altri pensieri
di Simonetta Sandri


Brasiliano, figlio di una terra spesso definita come un Paradiso per le sue immense, rigogliose ed uniche bellezze naturali, Sebastião Salgado è oggi la vera essenza della fotografia.
Salgado rappresenta, insieme a Yannis Arthus Bertrand e Steve McCurry, l’autenticità dell’essenziale invisibile agli occhi. Il Piccolo Principe avrebbe avuto il mio stesso pensiero osservando le immagini di questi splendidi artisti, pur specificatamente diversi.
Se, come diceva il grande Henri Cartier-Bresson, “è un'illusione che le foto si facciano con la macchina.... si fanno con gli occhi, con il cuore, con la testa” e ed e’ vero quello che lo stesso ripeteva, ovvero che “le fotografie possono raggiungere l'eternità attraverso il momento”, Salgado è l’anima di questa verità, anima dell’anima del mondo, anima che anima il mondo.
Le fotografie possono raggiungere l'eternità attraverso il momento. Tersicore potrebbe danzarvi intorno, in un magico circolo, insieme a Talia festosa o a qualche altra Musa curiosa.
Questi attimi sono e diventano eterni negli scatti dell’artista brasiliano, oggi in Mostra all’imponente e candida Ara Pacis di Roma, con la sua nobilissima ed autentica Genesi.

Non a caso, la luminosa città eterna ospita le origini, la nascita, la creazione, l’incipit di tutto. Roma che è un punto di partenza per tutti, crocevia della storia e della cultura mondiali.
Il mondo viene catturato, apertamente, furtivamente, con dedizione e rispetto. Le immagini dell’Ara Pacis sono un inno alla vita, alla Natura che sopravvive all’Uomo distruttore.
Nato da un’idea della moglie Lélia, fedele compagna, musa e curatrice di ogni grande mostra dell’artista, il progetto, iniziato nel 2004, è frutto di oltre 8 anni di lavoro e trenta reportage.
La mostra è divisa in cinque parti, quasi il mondo fosse suddiviso in tali grandi aree: iniziando dal sud del Pianeta, l’Argentina, l’Antartico e le sue isole, vi è poi una sezione sulla cocente Africa ed una terza parte dedicata a un certo numero di isole definite “i santuari del pianeta” perché custodiscono una biodiversità particolare (come il Madagascar, la Papua Nuova Guinea e i territori degli Irian Jaya). Seguono poi l’emisfero nord del mondo, che comprende regioni fredde, incluso il Colorado, e la quinta ed ultima sezione, riservata alla viva e felice Amazzonia. Si percorrono l’Amazzonia del Brasile ma anche quella del Venezuela, con le sue magnifiche ed imponenti catene, e in Brasile vengono esposte anche la zona del Pantanal: un habitat di specie faunistiche molto differenziate e importanti.

Il pianeta fragile che ci circonda è rappresentato nella sua intera bellezza e spettacolarità, con un aperto ed onesto invito a rispettarlo, proteggerlo, accarezzarlo, curarlo, recuperarlo, accompagnarlo con immensa cura ed attenzione. In una parola a salvarlo.
Attraverso paesaggi marini e terrestri, con animali ed immagini mozzafiato degni del più bel film muto in bianco e nero, con colonna sonora imperiosa, ci si sente - e si è - lontani dal mondo moderno e dai suoi ritmi frenetici e rumorosi, abbracciati teneramente solo alla Natura ed al suo silenzio originale. Calma e impeto allo stesso tempo. Una natura degna di un autentico Sturm und Drang, dolce utopia, titanicamente goethiana. Solo da amare.
Fotografo di uomini, basti pensare allo splendido Migrations, che ho avuto l’onore di vedere a Parigi nel 2000, Salgado fotografa oggi, in questa mostra, per la prima volta, altri esseri viventi, desideroso di salvaguardare un mondo di foreste savane e deserti, spesso in pericolo per incoscienza e noncuranza dell’essere pensante. Un incanto lirico e potente, in equilibrio.

Allora Salgado aveva contenuto in 300 fotografie e sette anni di lavoro i racconti dei popoli migranti, dei loro travagli e delle loro speranze. Aveva ritratto con maestria un'umanità in movimento, costretta da guerre, discriminazioni razziali, carestie e miseria a lasciare i propri luoghi d'origine per inseguire vaghe speranze di sopravvivenza. Un viaggio a fianco dei nuovi emigranti e degli esuli, attraverso i continenti, dalla disperata e disperante situazione africana, agli aspetti e alle conseguenze del nuovo «urbanesimo», in Asia e in America Latina. Drammi e tragedie che Salgado presentava sempre con grande rispetto e sensibilità e con attenzione particolare alla salvaguardia della dignità dell’individuo ed alla sua sofferenza.


Ascoltare gli sguardi di allora equivale ad ascoltare i suoni ed i rumori della Genesi di oggi.
Rispettare quelle grida speranzose e quelle fughe rocambolesche di allora, equivale a rispettare la voglia di equilibrio, di rispetto e di rinascita della Genesi di oggi. Un invito a tutti a ritrovare l’equilibrio delle origini, le nostre e le vostre, quelle dell’intera umanità.


Kapucinski pensava che “un viaggio non inizia nel momento in cui partiamo né finisce nel momento in cui raggiungiamo la meta. In realtà comincia molto prima e non finisce mai, dato che il nastro dei ricordi continua a scorrerci dentro anche dopo che ci siamo fermati. È il virus del viaggio, malattia sostanzialmente incurabile”. Con Salgado abbiamo preso anche noi questo virus, abbiamo percorso i ricordi di un artista che li ha fermati in immagini ma che non per questo non ci incita a non continuare il viaggio. Perché ogni viaggio ci insegna a rispettare e ad amare storie e sentimenti legati alle meraviglie della Natura che ci circonda, alla ricerca del Paradiso perduto. Seguendo il detto prezioso e saggio dei nostri avi, Festina Lente.

Promossa da Roma Capitale, Assessorato alle Politiche Culturali e Centro Storico - Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e dalla Camera di Commercio di Roma con il patrocinio del Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, realizzata da Amazonas Images e prodotta da Contrasto e Zètema Progetto Cultura, a cura di Lélia Wanick Salgado, Genesi si svolge in contemporanea con altre grandi capitali (Londra, Rio De Janeiro, Toronto). Da queste raggiungerà le maggiori metropoli del mondo. A Roma resterà aperta fino al 15 settembre 2013.

Per chi volesse leggere un interessante articolo su Salgado, e la sua genesi di Genesi, si consiglia di leggere Ian Parker, A cold light – How Sebastião Salgado captures the world,The New Yorker, April 18, 2005.
Copyright © by Simonetta Sandri

mercoledì 31 luglio 2013

Massimo Ranieri ed Eumir Deodato



Meditazione
di William Molducci

Nella discografia di un cantante dalla lunga e fortunata carriera esistono dei progetti, che pur avendo qualità e potenzialità artistiche, non hanno avuto il successo sperato. Nel caso di Massimo Ranieri questo è avvenuto nel 1976 con Meditazione, un album di 6 brani di autori di musica classica, rivisitati in versione jazz.
La particolarità di questo lavoro discografico consiste nella collaborazione artistica con il grande musicista brasiliano Eumir Deodato, che ne ha curato gli arrangiamenti e la conduzione musicale dell'orchestra. Si tratta di un musicista molto eclettico che ha spaziato attraverso numerosi generi musicali, partendo da una matrice jazz.
I musicisti che hanno partecipato alla realizzazione di questo lavoro sono lo stesso Deodato per le tastiere (inconfondibile), Vincenzo Restuccia alla batteria, il jazzista Maurizio Majorana al basso, Silvano Chimenti e Sergio Coppotelli (anche lui di matrice jazz) alle chitarre, oltre all'Orchestra di Musica Leggera dell'Unione Musicisti di Roma (gli archi furono diretti dallo stesso Deodato).

Il periodo storico dei due artisti

Eumir Deodato da alcuni anni era presente in tutte le classifiche con i suoi album e si avviava a iniziare il suo periodo di avvicinamento al genere funky/disco music. L'album realizzato con Ranieri si pone dopo Whirlwinds e in contemporanea a Very Together, quindi al culmine e nel pieno della sua maturità artistica.
Massimo Ranieri nel 1974, iniziava un periodo difficile per la sua carriera, in sostanza a soli 25 anni sembrava avere già fatto tutto quello che si poteva in ambiti quali musica e cinema. La canzone napoletana e il teatro gli consentirono di trovare nuovi stimoli e successo, per la regia teatrale di Mauro Bolognini, registra al Teatro Valle di Roma uno spettacolo ripreso dalla televisione e da cui incide dal vivo l’album Napulammore. Partecipa all’ultima edizione di Canzonissima 1974 e si classifica al secondo posto con il brano Per una donna.
L'anno successivo è il protagonista del film Salvo D'Acquisto per la regia di Romolo Guerrieri accanto a Enrico Maria Salerno e Lina Polito. Nel 1976 oltre a registrare l’album Meditazione realizza al Teatro Valle di Roma, sempre per la regia di Mauro Bolognini, da una poesia di Raffaele Viviani, Macchie 'e culore, da cui fu tratto un disco live e uno show televisivo.


Meditazione

L'album si sviluppa sui sei brani, sostenuti dalla forza degli arrangiamenti e dagli interventi di ottimi solisti, con dei richiami sonori tipici dell'epoca e soprattutto da Eumir Deodato, maestro nella fusione di generi quali classica, jazz, funk e rock. Si tratta di una vera e propria colonna sonora con orchestrazioni basate su chiavi sinfoniche e ottoni, chitarre elettriche, tastiere “jazz” del maestro brasiliano e la chitarra “liscia” di Chimenti, il tutto esaltato profondamente dall'emotività della voce di Massimo Ranieri (a volte un po' malinconica).
Deodato non era nuovo a questo tipo di operazioni, prova ne sia il suo celebre album Prelude, che conteneva il brano Also sprach Zarathustra di Richard Strauss, già utilizzato prima da altri autori, come colonna sonora del film 2001 Odissea nello spazio, del regista Stanley Kubrick. Questo disco fece conoscere a tutto il mondo, le capacità di Eumir di riadattare la musica classica al jazz, grazie anche alla collaborazione di musicisti del calibro di Billy Cobham, John Tropea, Airto Moreira e Ray Barretto. Altri riadattamenti riusciti hanno riguardato l'Ave Maria di Franz Schubert e i lavori di autori quali Maurice Ravel, George Gershwin e Claude Debussy.
La track list comprende i seguenti brani: Adagio veneziano (Benedetto Marcello), Serenata (Franz Schubert), Notturno in Mi b maggiore op. n. 2 (Frédéric Chopin), Meditazione (Jules Massenet), Adagio in sol minore (Remo Giazotto su Tomaso Albinoni) e Il concerto di Aranjuez (Joaquìm Rodrigo). I testi dei primi quattro brani sono di Oscar Avogadro, gli altri due rispettivamente di Giancarlo Bigazzi e Vito Pallavicini.
Avogadro ha collaborato con moltissimi protagonisti della scena italiana dalla fine degli anni '60 e sino ai giorni nostri, tra questi citiamo Alberto Radius, Mario Lavezzi, Pino Daniele, Loredana Bertè, Oscar Prudente, Fiorella Mannoia, Ornella Vanoni e Patty Pravo. Vito Pallavicini è stato uno dei parolieri storici della musica italiana. Ha lavorato con personaggi del calibro di Paolo Conte, Enzo Jannacci, Patty Pravo, Pino Donaggio, Adriano Celentano, Pino Calvi e Al Bano.
Giancarlo Bigazzi, scomparso recentemente, è stato un compositore e paroliere, che ha lavorato, tra gli altri, con Raf, Gianni Morandi, Caterina Caselli, Gli Squallor, Umberto Tozzi (insieme con lui scrisse Ti amo, Gloria, Gente di Mare), Marco Masini, Mia Martini.
Chi conosce la discografia di Ranieri si sarà accorto che nella track list appaiono due titoli già incisi in altri album, si tratta di Adagio Veneziano, inserito nell'album Via del conservatorio del 1971 e Il concerto di Aranjuez. Il primo di questi due brani fu inciso con un diverso arrangiamento (Frank Pourcel) e con i testi di Giancarlo Bigazzi, mentre in Meditazione il testo è stato scritto da Avogadro: “... raccogli la tua virtù/dolce dea che cammini a testa in su/quando chiudi quella porta fallo piano/io voglio che il respiro che hai lasciato nei lenzuoli resti li vicino al mio...”.
Aranjuez fu inizialmente inserita nell'album Vent'anni del 1971 e riproposto nel successivo Erba di casa mia del 1972, con il titolo Aranjuez mon amour. Anche in questo caso si tratta di una versione diversa, curiosamente i testi per la stessa musica di Joaquin Rodrigo furono entrambi scritti da Giancarlo Bigazzi.
A distanza di quasi quarant'anni Meditazione si rivela come un ottimo progetto progressive, nato nel momento meno adatto e con protagonista la persona sbagliata. In piena epoca pop e rock contrapporre Massimo Ranieri a Led Zeppelin, Yes e Rick Wakeman, anche se con la collaborazione di Deodato, era assolutamente improbabile. Il disco finì invenduto, qualche anno dopo si poteva acquistarlo per poche centinaia di lire nel lato offerte di grossi magazzini quali Nannucci a Bologna e Ricordi a Firenze.
In quarant'anni è cambiato il mondo, diciamo pure che è cambiato tutto. Oggi possiamo tranquillamente valutare l'opera senza i condizionamenti dell'epoca e acquistare facilmente il CD su Internet o i singoli brani su iTunes, rivalutando quella che artisticamente fu un'operazione coraggiosa e di grande spessore.
Nella sua carriera Ranieri ha realizzato altri lavori autoriali, come per esempio La faccia del mare (Odyssea) e la rivisitazione delle canzoni napoletane effettuate con Mauro Pagani.
Liberandoci da ogni tipo di pregiudizio possiamo affermare che Meditazione rappresenta il progetto più ambizioso e forse un po' folle, prodotto da Enrico Polito per Massimo Ranieri. Le registrazioni si protrassero per ben quattro mesi dal settembre 1975 al gennaio 1976, ma grazie alle grandi collaborazioni messe in campo e al suo talento dei due protagonisti il risultato finale è stato eccellente.
Rimane un unico dubbio: e se fosse stato pubblicizzato come un disco di Eumir Deodato, con la collaborazione di Massimo Ranieri?



Copyright © by William Molducci

venerdì 19 luglio 2013

Il mondo di frutta candita




di William Molducci

Questa è la storia



Nell'aprile del 1975 Gianni Morandi pubblicò Il mondo di frutta candita, un disco composto da nove canzoni, interamente scritto da Ivano Fossati (testi) ed Oscar Prudente (musiche), con la sola eccezione del brano che da il titolo all'album, le cui parole portano la firma di Mogol.
Si tratta di un lavoro ben concepito e realizzato, unico nella sua discografia, che non fu accolto secondo quelle che erano le aspettative di autori e discografici. Il brano principale fu scelto come sigla della trasmissione RAI Alle nove della sera (in origine era intitolata Alle sette della sera, per via dell'orario in cui era trasmessa) e al suo interno furono presentati altri quattro pezzi (Sette di sera, La caccia al bisonte, Autostrade no e Due ore di polvere). Il singolo Il mondo di frutta candita partecipò, inoltre, al Festivalbar del 1975, classificandosi al sesto posto, dietro Drupi, Gloria Gaynor, I Beans, Demis Roussos e Barry White. Curiosamente questa sua partecipazione al Festivalbar del 1975, viene ignorata su Wikipedia. Per la cronaca il cantante bolognese ottenne un buon riscontro: 75,350 voti contro i 94.921 di Drupi, che si affermò con il brano intitolato Due.
Per quei tempi questo può considerarsi un risultato assolutamente positivo per Morandi, visto il calo di popolarità che lo stava coinvolgendo, tanto che quell'estate fece anche un tour in giro per l'Italia.
La caccia al bisonte fu la sigla dell'omonimo speciale televisivo, trasmesso da RAI 1, diretto da Ruggero Miti, che aveva come protagonisti il cantante e il giornalista Gianni Minà. Si trattava di un reportage/documentario girato negli U.S.A., che raccontava lo show business americano e le sue contraddizioni.
Resta indimenticabile l'incontro tra il Gianni nazionale e Muhammad Ali-Cassius Clay, che si misurarono la grandezza delle mani e quelle di Alì non erano le più grandi...
Nel 1971 il brano il mondo di frutta candita fu inciso dallo stesso Oscar Prudente, ma passò quasi del tutto inosservato, mentre nel 1976 l'intero LP, con il titolo di Y mi gente donde va, fu tradotto ed interpretato in spagnolo dal cantante italo-argentino Piero De Benedictis. La tonalità della voce di Piero si avvicina a quella di Prudente, ma l'arrangiamento dei brani fa riferimento alle versioni registrate da Morandi. Nel 1974 Oscar Prudente incise anche un secondo brano, presente nell'album Il mondo di frutta candita, si trattava di Io vado a sud, inserito nella track list di Infinite fortune.
Oscar Prudente e Ivano Fossati, entrambi genovesi, si incontrarono verso la fine degli anni '60, subito dopo iniziò il loro sodalizio artistico, dal quale nacquero Jesahel (Sanremo 1972), uno dei maggiori successi dei Delirium e Haum! (Disco per l'estate 1972). Nel 1974 incisero insieme l'album Poco prima dell'aurora; nello stesso anno Prudente realizzò un altro disco (Infinite Fortune), di cui Fossati scrisse i testi.
Il disco di Morandi si pone storicamente un anno dopo la pubblicazione di Poco prima dell'aurora e nello stesso periodo di Good-bye Indiana di Ivano Fossati (il brano che da il titolo all'album è l'unico firmato a quattro mani dai due cantautori liguri). Da notare che dopo la realizzazione de Il mondo di frutta candita, Fossati firmò un contratto discografico con la RCA ed iniziò la collaborazione con Antonio Coggio (anche lui ligure). Nel 1978 i due autori scrissero Pensiero Stupendo, prodotto dallo stesso Coggio e portato al successo da Patty Pravo. Questa canzone nacque nel 1974 per mano di Oscar Prudente, che ne scrisse sia la musica che il testo, intitolandola Formule magiche. Il pezzo venne “provinato” da Morandi nel corso delle registrazioni de il mondo di frutta candita, ma non se ne fece nulla.
Nel 2008 Oscar Prudente ha portato in scena, per la regia di Tonino Conte, lo spettacolo teatrale Benvenuto fortunato, un percorso attraverso la canzone italiana, dagli anni sessanta ad oggi, riproponendo anche la sua versione de Il mondo di frutta candita. Nel 1985 Ivano Fossati scrisse per Morandi il brano Facile così, inserito nell'LP Uno su mille, che ne decretò il rilancio definitivo. Tre anni prima Prudente aveva composto L'aeroplano, presente nell'album intitolato semplicemente Gianni Morandi. Quest'ultimo brano era stato inciso dieci anni prima, con testo ed arrangiamenti diversi, dallo stesso cantautore genovese, con il titolo Oè-oà.




In fondo al mare... una perla

Abbiamo voluto dedicare un articolo a questo album, in quanto Il mondo di frutta candita rappresenta per Morandi l'evidente tentativo di uscire da quella che possiamo definire come una crisi di “mezza età artistica” e per fare questo si affidò a due talentuosi ed emergenti autori quali Prudente e Fossati, con il risultato di realizzare uno dei migliori dischi degli anni '70. Al progetto contribuirono oltre allo stesso Prudente per gli arrangiamenti, anche Antonio Coggio (collaboratore e co-autore di Claudio Baglioni), Franco Migliacci (autore e produttore storico di Morandi) e Toto Torquati (direzione archi). Questo disco si pone come il prosieguo ideale dell'esperienza di Jacopone, un musical portato in scena nel 1972 insieme a Paola Pitagora (183 repliche), con la regia di Ruggero Miti, incentrato sulla figura del beato Jacopone da Todi, visto in chiave moderna. Sia il tour teatrale che l'album non ottennero il successo sperato, ma il brano Vidi che un cavallo ottenne una buona accoglienza ed ebbe il merito di anticipare la sorprendente intensità interpretativa di Morandi, che avrebbe successivamente caratterizzato proprio l'album scritto per lui dalla “ditta” Prudente & Fossati. Vidi che un cavallo in seguito è stata riproposta in alcune delle sue compilation storiche (Flashback l'album di... del 1984), Gliannisettanta del 1998 e il recente Un'ora con del 2012).
Era la prima volta, a parte la parentesi di C'era un ragazzo che come me amava i Beatles e i Rolling Stones, in cui Morandi si confrontava con scelte, che possiamo definire “alternative”, ma che in realtà introducevano arrangiamenti, tematiche ed autori, che avrebbero caratterizzato la scena italiana per gli anni che seguirono. Il “ragazzo d'oro della canzone italiana” aveva trovato una perla nel mezzo della sua crisi artistica, ma in quel periodo non c'era nulla e nessuno, che avrebbero potuto farlo risalire più velocemente.



La track list

Questo album rappresenta per Morandi un lavoro autoriale di altissimo livello. Le canzoni sono eseguite spesso con una voce roca e quasi furiosa e in tutte si evidenzia un'immedesimazione difficilmente raggiunta in altre prove canore, come nel caso di Autostrade no, La caccia al bisonte e l'introspettiva Io domani me ne vado. Il testo di quest'ultimo brano, davvero insolito nel contesto del repertorio di Morandi, descrive le angosce di chi sembra arrendersi ad un modo di vivere che non condivide, per poi superare il momento di disperazione: “io domani me ne vado per paura di morire, per paura di adattarmi alla verità, in un mondo che adora un' immagine che in faccia gli scoppierà... io lotto fin da quando sono nato e so che può cambiare il mondo, io non me ne andrò.
Nei testi di Ivano Fossati, spesso si parla di temi riguardanti l'ambiente, l'integrazione di poveri ed emarginati (speranza e disperazione), il desiderio di libertà, la fratellanza e il viaggio, solitamente solitario (vedi Lindbergh). La sua poetica non ha nulla a che fare con i testi interpretati da Morandi sino ad allora. Questo progetto rappresenta un'isola, un lembo di terra solitario composto da canzoni solo in apparenza leggere, ma in realtà ricche della semplicità con cui si costruiscono opere importanti. Queste tematiche a volte si uniscono e generano avventura, speranza e desiderio, come per esempio in Favole di mare (inserita anche nella compilation del 1998 intitolata Gliannisettanta): “... ma quante navi e quante vele seguirò/per ogni favola di mare che non so/con quel poco che già so, prima di arrivare al Brasile mi perderò/però mi vedi non si presenta così/un uomo che intende finire i suoi giorni qui...”.
Ne La caccia al bisonte, un padre parla al proprio figlio donandogli insegnamenti di vita “... poi la sera intorno al fuoco ancora insieme noi/e dalla collina che stia in guardia verso sud perché di la/potrebbe venire il fumo di città... io vedo nuova caccia, nuovi pascoli e guerre per la libertà/con me non finisce l'eternità...”.
In Sette di sera, il protagonista evade dalla routine della vita quotidiana: “...sette di sera lavoro finito/viola tramonto giorno passato/grande canzone di confusione/metropolitana, centomila persone/tornare a casa, no... quasi mezzanotte e non mi va di tornare/donna non mi aspettare/non ti voglio vedere/per questa notte no...”
Autostrade no! è un brano di ispirazione ambientalista, un tema ancora di più attuale ai giorni nostri: “... sulla terra, nella carne mia/correranno autostrade/e il cemento di domani sarà/il mio raccolto in estate... passeranno su di me/su di me/sulle ansie mie/su di me, come dentro me/sulle nostre allegrie/su finte e vere malattie...”. Notevole, come già accennato, l'interpretazione di Morandi.
Due ore di polvere è una delle poche canzoni d'amore del disco, accompagnata da un arrangiamento stile West Coast: “... di nuovo fermi ad una stazione ed io/il profumo della costa sento ma giurerei/che intorno la terra non finisce mai/ultimi chilometri pensando se/è il desiderio di evasione che mi porta da te... e non sono più forte di ieri/non sapendo ancora bene perché/cerco te...”.
La mia gente, il tema del cambiamento è riproposto in questo brano struggente: “... chi non ha provato a far cambiare il vento/prima di cadere e non rialzarsi più/io lavoro ma sento che/porto tutti in me...
Io vado a sud, propone tematiche tipiche di Fossati riguardanti gli emarginati e il desiderio di libertà: “... nella notte le stazioni sono grandi più che mai/Il mio treno l'ho perduto già da un pezzo oramai/maledetto questo freddo a nord, non passa mai/ehi, tu dove vai?/forse in tasca ho qualche sigaretta, tu ne vuoi?/scusa sai, t'ho svegliato perché ho voglia di parlare se tu vuoi/strana gente noi, nella vita non è bene mettere radici mai...
Il mondo di frutta candita, si tratta senza dubbio del brano più conosciuto dell'intero album, inizia con due endecasillabi molto orecchiabili: “Quante fisarmoniche ho suonato io/sopra i marciapiedi di una strada...", accompagnati da una base ritmica ed un inciso lungo e coinvolgente. In quegli anni era uso per Morandi aprire i suoi concerti con questa canzone, proprio come una sigla, successivamente è sempre stata inserita nelle sue compilation ufficiali (compreso Grazie a tutti del 2007). Con questo pezzo inizia la sua collaborazione artistica con Mogol, che qualche anno più tardi sarà l'artefice del suo rilancio con Canzoni stonate. Nello stesso anno Morandi e Mogol sono tra i fondatori della Nazionale italiana cantanti, nata per disputare incontri calcistici a scopo benefico.


Una foto recente di Gianni Morandi

Il mondo di frutta candita su Internet

Sono passati quasi 40 anni, ma al contrario di quanto accadde negli anni '70 attorno a Il mondo di frutta candita si è creata una nicchia di appassionati, che possono facilmente acquistarlo su iTunes, Amazon, Ebay o in altri negozi on-line, sotto forma di formato digitale e/o CD. Una vera e propria rivincita sul tempo. Qualche brano di questo disco è disponibile, in formato video, anche su Youtube, dove non manca il filmato originale de La caccia al bisonte.



Copyright © by William Molducci