Due
giorni d'estate: incontro con il regista Luca Dal Canto
Di
William Molducci
Le
trame dei film di Luca Dal Canto non sono né semplici né scontate,
in quanto riesce sempre ad inserire elementi "nutritivi",
attingendo dall'enorme bagaglio artistico e culturale italiano e in
particolare da quello livornese. Il
cappotto di lana,
il suo pluripremiato cortometraggio, aleggia tra le poesie di Giorgio
Caproni e le tristi liriche di Piero Ciampi, inoltre, il protagonista
si chiama Amedeo, lo stesso nome di battesimo di Modigliani.
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In quel
film la poesia era l'anima narrativa del racconto, utilizzata per
descrivere un disagio adolescenziale. Due
giorni d'estate
ripropone parte del cast del film precedente, i bravissimi Marco
Conte e Lorenzo Aloi, proseguendo il tema delle incomprensioni
generazionali, anche se con motivazioni e sviluppi diversi.
I
genitori del giovane Andrea sono in procinto di vendere il loro
casolare di campagna al cugino Genio, uno stravagante personaggio
interpretato da Marco Conte, sognando di acquistare una villetta in
Costa Smeralda. Genio arriva al casolare con la giovane fidanzata
(Lunia), una bella e ormai disillusa ragazza che, scatena le fantasie
adolescenziali di Andrea, il quale crede di riconoscere in lei la
modella del ritratto di
Lunia di Amedeo Modigliani. Dopo il ritrovamento del diario della
nonna e di un preziosissimo schizzo, il ragazzo inizia la ricerca del
luogo dove fu dipinto "Stradina toscana del 1898", uno dei
rari paesaggi attribuito a Modigliani. I tre mesi estivi
passati nel casolare dei suoi genitori sono stati noiosi e privi di
interesse, ma quegli ultimi due giorni vissuti con Lunia alla ricerca
dei luoghi del grande pittore, fanno vivere ai due un'emozionante
avventura immersi nella splendida campagna toscana.
Opere,
nomi e titoli nei film di Dal Canto si mischiano e si incrociano,
ponendosi come precisi riferimenti di una Livorno madre di grandi
artisti, che spesso li ama, ma che a volte sembra non considerarli.
Luca
Dal Canto è nato a Livorno il 21 giugno 1981, dopo aver terminato
gli studi in cinema, teatro e produzione multimediale, collabora come
aiuto regista con importanti registi
italiani, tra cui Sergio Rubini, Daniele Luchetti ed Enrico Oldoini.
Il suo cortometraggio Il cappotto di lana è stato selezionato
in 40 festival in tutto il mondo e ha ottenuto 15 premi.
L'intervista
I
tuoi film li scrivi a quattro mani con Anita Galvano, quanto è
importante avere un punto di vista femminile nella scrittura di una
sceneggiatura?
Scrivere
in coppia o in team è sicuramente un vantaggio perché confronti le
tue idee con altre persone, ancor più quando lavori insieme a una
figura femminile. In queste occasioni hai infatti la possibilità di
dare alla tua storia un punto di vista più dolce e ricercato. Sia
ne Il cappotto di lana che in Due giorni d’estate, la
penna di Anita Galvano è stata fondamentale per dare un tocco più
leggero ma allo stesso tempo profondo e impegnato alle importanti
tematiche trattate nei due film.
Ne
Il cappotto di lana hai inserito le poesie di
Giorgio Caproni, le canzoni di Piero Ciampi e hai dato il nome di
Modigliani al protagonista. In quest'ultimo film Amedeo Modigliani è
in qualche modo il vero protagonista della storia, fiction e arte si
completano in una sorta di tuo originale schema narrativo?
In
entrambi i cortometraggi ho cercato di raccontare come la cultura sia
fondamentale per la crescita di un ragazzo. Purtroppo nella società
odierna si dà sempre meno spazio a questo aspetto, rischiando di
smarrire nell’oblio intere generazioni di giovani (ma anche di
adulti). Da qui la mia idea di raccontare con leggerezza storie in
cui sono la cultura, l’arte, lo studio a trionfare sulla
superficialità della nostra contemporaneità.
Livorno,
la mia città, ha nella sua storia decine di illustri figure nel
campo della pittura, della letteratura, della musica (etc. etc.) e
quindi è stato facile e anche divertente andare a ripescare
personaggi purtroppo spesso dimenticati.
I
tuoi cortometraggi sono "prove d'autore" pienamente
riuscite, solitamente a questo punto si è pronti per realizzare un
lungometraggio. Nella situazione culturale ed economica di oggi, un
giovane autore può ancora aspirare a questo?
Ti
ringrazio per il complimento. Sì, l’obiettivo è ovviamente
quello: realizzare, prima o poi, un lungometraggio, tra l’altro,
nel mio caso, già scritto e ormai a rischio polvere nel cassetto. Il
sistema produttivo cinematografico italiano è piuttosto complicato;
produttori che non hanno il coraggio di investire sui giovani,
pubblico che si allontana sempre più dalle sale e soprattutto dai
film italiani e molte altre problematiche che rendono veramente
difficile il grande salto. Io credo che non sia un problema di
qualità e neppure di crisi economica. E’ proprio la mancanza di
coraggio di investire in cultura, scoprire nuovi nomi, osare nuovi
generi cinematografici, provare a rieducare il pubblico ad un certo
tipo di cinema. Nel cinema odierno, purtroppo, non conta tanto fare
buoni prodotti o cortometraggi di successo, ma piuttosto scrivere
film da botteghino che spesso cozzano con la qualità e la tipologia
di cinema che i giovani registi cercano di perseguire. Però, come
diceva Modigliani, “il tuo unico dovere è salvare i tuoi sogni”
e quindi noi andiamo avanti per la nostra strada. Ci proviamo.
Come
sono nate le tue collaborazioni con registi quali Rubini, Luchetti e
Oldoini?
Nel
2006 ho conosciuto Enrico Oldoini ed è grazie a lui e al suo aiuto
Federico Marsicano che sono riuscito a entrare nel mondo del cinema e
a lavorare prima come assistente alla regia e poi come aiuto. Da lì
ho stretto rapporti con altri registi e vari collaboratori che mi
hanno portato a lavorare con nomi illustri del cinema italiano. Sono
state esperienze indimenticabili che mi hanno formato
indissolubilmente. Il set è una palestra di vita che, secondo me,
chiunque vuole fare il regista deve vivere e superare. Si imparano
cose su un set che sui libri di storia del cinema e di linguaggio
cinematografico non si troveranno mai.
Livorno
ama i giovani artisti livornesi?
Livorno
è una città stranissima, bella, affascinante ma oramai
completamente disillusa, soprattutto nei confronti della cultura e
della sua storia.
Il
livornese ha un carattere dissacratorio e autoironico che, se da
molti punti di vista può apparire divertente e spensierato, in
realtà non fa altro che sminuire e togliere importanza a tutto ciò
che ha un marchio labronico. Se pensi che in città sono stati per
decenni (e in alcuni casi tutt’oggi) dimenticati personaggi del
calibro di Amedeo Modigliani, Piero Ciampi, Pietro Mascagni e tanti
altri, puoi capire che riguardo ci sia nei confronti dei giovani
artisti di oggi (e ce ne sono veramente tanti, in tutti i campi).
Per
rispondere alla tua domanda, diciamo che Livorno li ama ma non li
considera, proprio perché sono livornesi. E’ un meccanismo
contorto e autodistruttivo che stronca in partenza le moltissime
potenzialità culturali (e quindi anche turistiche ed economiche) che
una città come la nostra potrebbe avere. E paradossalmente,
nonostante tutto ciò, che fa rabbia, noi artisti amiamo ancora alla
follia questa città.
Lorenzo
Aloi, il giovane protagonista dei tuoi film è una vera e propria
rivelazione, si tratta di una tua scoperta? Vuole intraprendere la
carriera di attore?
Lorenzo
è un Attore con la “A” maiuscola. Nonostante la giovanissima età
mette una professionalità e una passione nel suo lavoro che talvolta
neanche gli attori che fanno questo di mestiere hanno. Beh,
sì, possiamo dire che ufficialmente, dal punto di vista
cinematografico, l’ho scoperto io, grazie al prezioso suggerimento
di Giuseppe Di Palma, che ha collaborato con me sia su Il cappotto
di lana che in Due giorni d’estate.
Lorenzo
adesso pensa a studiare con dedizione e ottimi risultati, ma, sotto
sotto, secondo me, è sempre più attratto da un’eventuale carriera
d’attore che gli auguro con tutto il cuore.
Produrre
a costo zero, con questa qualità, non è cosa da tutti, come ci
riesci?
E’
faticosissimo. Tutte le volte dico: “ora basta, la prossima volta
se non c’è una produzione seria non faccio niente” e poi invece
ci ricasco. E’ la passione che mi dà la forza di realizzare
qualcosa e di sfruttare il più possibile le conoscenze che ho
acquisito in quasi dieci anni di mestiere, tra film, spot,
documentari e videoclip. I miei due cortometraggi sono stati
realizzati, soprattutto l’ultimo, veramente a budget zero con una
troupe di sole quattro persone, di cui soltanto due professionisti.
Sono il primo a dire che abbiamo compiuto due miracoli in cui neanche
io, lo ammetto, avrei mai creduto.
E
nonostante ciò, con Il cappotto di lana, abbiamo raggiunto
risultati strepitosi con 15 premi e 40 selezioni in festival insieme
a film prodotti con ben altri budget e troupe. Attenzione però. Con
questo non voglio assolutamente dire che un buon prodotto
cinematografico può essere fatto anche senza soldi, anzi. I soldi
servono perché in una troupe ci sono persone che lavorano e che
quindi devono vivere con il loro mestiere. Nel mio caso devo
ringraziare assolutamente i miei pazienti collaboratori che hanno
partecipato amichevolmente alle riprese e il cast dei due film,
composto da attori sempre presenti, attenti, bravi e seri, che
credono nei miei progetti.
Copyright
© by William Molducci
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