Perle
in fondo al mare: I semafori rossi non sono Dio di Gino Paoli
di
William Molducci
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Nel 1974 Gino Paoli pubblica, per conto della Durium, un
album dal titolo inusuale: I semafori rossi non sono Dio, dove
reinterpreta in lingua italiana le canzoni di Joan Manuel Serrat, una
delle figure più importanti della musica moderna catalana. Serrat è
nato a Barcellona e le sue composizioni, in lingua catalana e
castigliana, sono poesie messe in musica, sia si tratti di suoi
testi sia di poeti quali come Antonio Machado o Miguel Hernández.
Nel
disco sono affrontati argomenti quali libertà, emarginazione,
ossessione e democrazia (in quel periodo in Spagna vigeva ancora il
regime di Franco), i brani dell'album provengono dai lavori di Serrat
intitolati Mi niñez
del 1970 e Meditérraneo
del 1971. Nello stesso anno la casa discografica Ricordi pubblica un
LP intitolato Paoli canta Serrat,
ma si tratta dello stesso disco della Durium.
L'album
I
crediti dell'opera portano le firme di Gino Paoli, Lorenzo Raggi e
naturalmente Joan Manuel Serrat, gli arrangiamenti sono stati curati
da Pinuccio Pirazzoli, che ha avuto il merito di “vestire” al
meglio i brani per Paoli, come nel caso de Il manichino (*),
la cui originale marcetta è stata trasformata in un valzer lento.
Sin dai tempi di Senza fine e di Che cosa c'è il
“valzer” si è dimostrato congeniale a Gino Paoli, che, grazie al
tempo 3/4 riesce a dare maggiore spessore alle sue riflessioni. Il
testo racconta di un uomo che s'innamora di un manichino, tanto da
portarselo a casa e vivere una storia d'amore immaginaria, che lo
porterà alla pazzia. Questo è anche il brano più conosciuto del
disco, presentato da Paoli a Canzonissima 1974 e proposto per lungo
tempo durante i suoi concerti.
Mediterraneo
è uno dei brani più famosi di Serrat, nel cui significato Gino si
cala naturalmente, viste le analogie tra la sua Genova e la città
natale dell'autore catalano, unite idealmente e geograficamente dalle
acque di un unico mare: “Sono nato in riva al mare, son
cresciuto sulla spiaggia. e nell'ombra di uno scoglio dorme il mio
primo amore, come una barca che dondola allo scirocco e nascosti
nella sabbia ho lasciato sogni e giochi...”. Nel 1971, Serrat
scrisse questo brano, che parla del Mediterraneo e della sua
identità. Nel testo originale non si accenna a tematiche politiche o
sociali, anche se probabilmente devono essere lette sotto le righe.
In quegli anni in Spagna il franchismo era ancora al potere e le
canzoni di protesta, se non volevano essere clandestine o censurate,
dovevano “mascherarsi”. Il brano Mediterraneo fu spesso
utilizzato da Paoli per aprire o chiudere i suoi concerti.
Nonostante tutto (Que va a ser de ti) è
uno dei pezzi di questo disco pubblicati come singolo in 45 giri,
favorito da un ritornello di facile memorizzazione e allo stesso
tempo di ampio respiro: “Ho vissuto tanto ma, non ho capito mai
cosa sono ed ho passato tutta la gioventù chiedendo agli altri una
scusa per capire a cosa serve un'avventura, che non ho chiesto io...
sparì, sparì veloce e leggera la mia avventura in fior, nonostante
tutto non so niente, dopo cosa sarà di me... ora cosa sarà di
me...”.
Ma andate a... è un canto liberatorio, che
elenca situazioni e modi di vivere non graditi. Senza mai trascendere
nella volgarità, l'eloquente messaggio raggiunge il suo scopo: “...
il mondo vuole tutto quello che tu hai, ma non si accorge mai di
quello che gli dai, il mondo ti dà tutto quello che non vuoi, ma poi
vuole occuparsi dei fatti tuoi, prendo su e vado via, ma andate a...
mi sono proprio rotto e vado via, dove c'è un uomo buono è la
patria mia, dove non serve carta d'identità, dove la gente ti
accetta per quel che sei, ma se voi state qui andate a...”. Per
rifarsi alla terminologia di quei tempi, possiamo affermare che
questa è una vera e propria canzone di protesta, da cui è stato
tratto il verso che ha dato il titolo all'album.
La sbandata: “Una
voglia muta ti si legge in faccia, una voglia matta d'amore che non
hai più, quando hai lasciato il tuo uomo, con il tuo bambino avevano
negli occhi il rimpianto muto che oggi hai tu...” L'amore è
finito a causa di un uomo entrato nella vita di lei, annoiata da un
marito distratto dai problemi della vita e colpevolmente assente.
Si tratta di un brano malinconico, per nulla puritano, un ritratto di situazioni
simili a quelle vissute da tante persone.
Nel disco l'amore non è
cantato nel senso convenzionale del termine, si ritrova nei
rimpianti di un'estate che finisce e a margine di storie di uomini e
di donne immersi nella vita quotidiana. Il manichino è forse
l'unico ritratto di amore assoluto, tanto perfetto da portare alla
follia. In Chopin l'uomo cerca sempre un amore di vent'anni,
ma gli si prospetta un'inevitabile solitudine: “E' stato in
tutte le cantine, conosce tutte le puttane, si è fermato in ogni
porto, tra la rovina e la ricchezza, tra le bugie e le promesse,
sorride ancora a tutti Chopin... ha l'incoscienza di un bambino e la
dolcezza di un cretino, crede ancora all'amore Chopin...”.
I miei dieci anni (Mi niñez), la canzone
dei ricordi, del tempo perduto, delle sensazioni vissute e mai
dimenticate: “... avevo un balcone di fiori e un esercito di
bottoni e un treno con sette vagoni, rotto alla terza stazione. Avevo
un cielo blu e un libro di avventure e una pagina che saltavo sempre
via, con i cuscinetti a sfera sotto a una tavoletta, facevo sempre il
pelo agli angoli di strada... perché solo ieri avevo imparato a
volare, perdendo il tempo in riva al mare...”. Canzone
struggente e nostalgica, ricordi infantili di un uomo adulto, con
tanto di sguardo “bambino”, che brilla ancora nei suoi occhi.
“...la donna che amo è la mia padrona, è mia
madre il mio cane è la mia puttana...", questo verso è
inequivocabilmente tratto dal brano La donna che amo, un
elenco di libere associazioni e di figure, per nulla casuali,
riferite alla sua donna: “... io pensavo di averla e mi ha avuto
lei, con il mio cane e il mio letto e gli amici miei, povero
Gino...”.
Un'altra estate è un brano dolcissimo e breve,
dove si parla di un amore fuori dai consueti canoni, che potrebbe
svanire con la fine malinconica dell'estate. Forse l'estate tornerà,
ma fra loro due ci sarà sempre un anno in più... Il testo italiano
del brano è completamente diverso da quello originale, il cui titolo
tradotto è Piccole cose: “Uno se cree, que las matò, el
tiempo y la ausencia. Pero su tren, vendiò boleto, de ida y
vuelta...”.
La libertà (il titolo originale è Come un
passero – Còmo un gorriòn), è qui sotto forma di gabbiano a cui
è resa la libertà, una grande vela bianca che non si ferma e non
si stanca, per sfidare il vento. In questo brano simboli e metafore sono utilizzati per descrivere il
desiderio e la necessità di non avere costrizioni.
Grazie ai poeti...
I semafori rossi non sono Dio riportarono Paoli
all'attenzione di critica e pubblico, dopo un periodo un po' in
ombra, che coincideva con l'esplosione del fenomeno dei cantautori anni 70, facendo ripartire la sua carriera con forza e
ispirazione.
Chi volesse acquistare quest'album può collegarsi con
eBay, dove il vinile è facilmente reperibile ad un prezzo moderato,
inoltre, la versione intitolata Gino canta Serrat è
disponibile sia in cassetta K7 sia in CD.
(*) = Il manichino
è stato inciso anche da Franco Simone, nel suo primo VocePiano
del 1990, un disco registrato in diretta con Franco alla voce e il
Maestro Maurizio Mariano al pianoforte. Un'altra versione è stata
incisa da Chantango, all'interno del CD “Bestiario d'Amore” del
2007.
Copyright © by William
Molducci
Pubblicato su Contatto
Diretto il 7.1.2014
http://intervisteweb.blogspot.it
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