di
Eleonora Bonoretti
Negli
spazi espositivi dell'ex-Ospedale Sant'Agostino di Modena è in
mostra una retrospettiva di 150 scatti del fotografo statunitense
Walter Chappell, realizzati tra gli anni Cinquanta e i primi anni
Ottanta.
Da
molti è ritenuto una delle figure più significative della
fotografia Americana del XX secolo, fondatore e membro
dell'Association of Heliographers Gallery Archive, insieme a Paul
Caponigro, William Clift, Marie Cosindas, Nicholas Dean, Carl
Chiarenza e Paul Perticone a cui si aggiungeranno poi altri celebri
nomi tra cui W.Eugene Smith e Harry Callahan nell'intento di
indagare la natura nelle sue forme più astratte, come forma d'arte e
non come mera pratica fotografica.
La
fotografia è al pari della pittura, come
espressione creativa, per offrire una visione del mondo che
oltrepassa il reale.
E'
l'amicizia con Minor White e lo studio di G.I.Gurdjieff (mistico
armeno, teorico dell'unità di
anima e mondo) ad accompagnare il suo percorso stilistico, una
costante ricerca di equilibrio fra sé e
il mondo, nelle sue immagini incontriamo nuvole, cieli, rocce e
riflessi su languide acque, dove la realtà è "altro", il
fluire incessante della materia apre porte al mistero della vita.
Corpi che sembrano torrenti, torrenti che sembrano figure umane, non
esistono pudori, non esiste imbarazzo, solo energia. E' questo che
interessa all'artista, la forza vitale e generativa, capace di
suscitare tenerezza e eccitazione, nella sua originale formosità
e candore.
La
fotografia diventa il racconto della sua esperienza, del suo vivere a
contatto con la natura e il mondo, soprattutto nella loro
interazione.
Uno
stile di vita appartato, primitivo e un po' hippie, complice anche
un'infanzia trascorsa nomade e libera in una riserva indiana, che gli
ha permesso di tenere le distanze dal circo dell'arte per portare
avanti una sua scelta filosofica precisa di una fotografia al
servizio dell'anima.
Il
manifesto della sua poetica si esprime in World of Flesh, una sintesi
del suo percorso, rappresentato nella maquette preparatoria composta
nel 1968, fotografie di corpi e di carne, dove la carne è la vita,
le immagini scorrono fra organi sessuali dai quali la vita ha
origine, ritratti nella loro primitiva naturalezza; al rapporto degli
adulti con i neonati e i bambini,all'amore e all'intimità
delle relazioni fra gli adulti, così come
nello scambio con l'ambiente un cui vivono e con cui si fondono in
armonia con la preziosità della
vita. L'energia scorre attraverso le cose e le unisce in un tout
court, dandogli un senso.
Chappell
non ambisce alla bellezza scultorea dei suoi contemporanei, il corpo
appare nella sua spontaneità,
incurante della forma e dell'eleganza, il movimento asseconda
l'elasticità che
diventa così espressione di vitalità,
i paesaggi assumono sembianze umane e il tutto si fonde in una
metafora in cui l'uomo e la donna si riconoscono nell'acqua, da cui
tutto ha origine. (Female Water Torso e Male Water Torso).
Con
l'inizio degli anni Settanta, W. Chappell, dà
inizio ai suoi primi esperimenti di
fotografia elettronica, attraverso una tecnica sull'alto voltaggio
con cui fotografa piante, foglie e fiori (Metaflora, 1980). La luce è
impressa sulle stampe, foglie di felci, fiori di nasturzio, ciuffi di
prezzemolo che illuminano la carta emulsionata e fanno vibrare le
emozioni come se davvero ci fosse ancora corrente elettrica sotto a
quei piccoli filamenti. La vita è lì,
è nell'energia che fluisce, che scorre nelle
piante, negli uomini, negli animali e nelle cose, nell'universo
organico e inorganico.
E'
proprio proseguendo questa ricerca artistica che anche nella seconda
parte della sua produzione fotografica, le figure umane e il
paesaggio continuano a sovrapporsi fino ad unirsi e completarsi.
Gli
addomi post-parto segnati dalla gestazione non vengono celati ma
celebrati, le pance sfatte diventano terre seminate, in cui qualcosa
è germogliato e si è sviluppato, come nei sedimenti di lava delle
Hawaii, ripresi nel 1977; mentre le rocce del New Mexico divengono
nel 1989 in Stone Kiss, due massi che sembrano unirsi in un tenero
bacio.
La
mostra è lunga, intensa, cruda e palpitante. L'energia esce dalle
immagini e avvolge lo spettatore. La sostanza che emerge sulla forma.
Walter
Chappell, da molti definito come il "nonno dei fiori",
un'asceta ante litteram, va oltre
le aspettative, la sua opera è potente,
benchè tenuta a lungo lontana dalla
notorietà a
causa della censura, ci appare oggi come una delicata e quasi
primordiale poesia, immagini commoventi nella loro purezza che
trovano finalmente la loro meritata dimensione di "Eternal
Impermanence, la perenne transitorietà".
Tante
vite in una sola, eternamente impermanenti.
Durante
la sua carriera ottiene per tre volte il "Photographer's
Fellowship" del National Endowment for the Arts.
Le
sue opere fanno parte di importante collezioni:the Museum of Modern
Art (New York); the International Museum of Photography at George
Eastman House (Rochester, New York); Library of Congress
(Washington); Museum of Art, Stanford University (Palo Alto,
California); Metro Goldwyn Mayer Studio (Culver City, California).
La
mostra è accompagnata da un catalogo al quale si aggiunge un altro
volume che contiene la lunga intervista al fotografo realizzata dal
figlio Aryan, che ne raccolse le memorie poco prima della morte. Le
pubblicazioni sono edite da Skira.
Testo Copyright © Eleonora Bonoretti
Si ringrazia l'Ufficio Stampa della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, per la disponibilità alla pubblicazione delle fotografie
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