venerdì 10 gennaio 2014

Walter Chappell – Eternal impermanence

di Eleonora Bonoretti

Negli spazi espositivi dell'ex-Ospedale Sant'Agostino di Modena è in mostra una retrospettiva di 150 scatti del fotografo statunitense Walter Chappell, realizzati tra gli anni Cinquanta e i primi anni Ottanta.



Da molti è ritenuto una delle figure più significative della fotografia Americana del XX secolo, fondatore e membro dell'Association of Heliographers Gallery Archive, insieme a Paul Caponigro, William Clift, Marie Cosindas, Nicholas Dean, Carl Chiarenza e Paul Perticone a cui si aggiungeranno poi altri celebri nomi tra cui W.Eugene Smith e Harry Callahan nell'intento di indagare la natura nelle sue forme più astratte, come forma d'arte e non come mera pratica fotografica.


La fotografia è al pari della pittura, come espressione creativa, per offrire una visione del mondo che oltrepassa il reale.

E' l'amicizia con Minor White e lo studio di G.I.Gurdjieff (mistico armeno, teorico dell'unità di anima e mondo) ad accompagnare il suo percorso stilistico, una costante ricerca di equilibrio fra sé e il mondo, nelle sue immagini incontriamo nuvole, cieli, rocce e riflessi su languide acque, dove la realtà è "altro", il fluire incessante della materia apre porte al mistero della vita. Corpi che sembrano torrenti, torrenti che sembrano figure umane, non esistono pudori, non esiste imbarazzo, solo energia. E' questo che interessa all'artista, la forza vitale e generativa, capace di suscitare tenerezza e eccitazione, nella sua originale formosità e candore.
La fotografia diventa il racconto della sua esperienza, del suo vivere a contatto con la natura e il mondo, soprattutto nella loro interazione.
Uno stile di vita appartato, primitivo e un po' hippie, complice anche un'infanzia trascorsa nomade e libera in una riserva indiana, che gli ha permesso di tenere le distanze dal circo dell'arte per portare avanti una sua scelta filosofica precisa di una fotografia al servizio dell'anima.

Il manifesto della sua poetica si esprime in World of Flesh, una sintesi del suo percorso, rappresentato nella maquette preparatoria composta nel 1968, fotografie di corpi e di carne, dove la carne è la vita, le immagini scorrono fra organi sessuali dai quali la vita ha origine, ritratti nella loro primitiva naturalezza; al rapporto degli adulti con i neonati e i bambini,all'amore e all'intimità delle relazioni fra gli adulti, così come nello scambio con l'ambiente un cui vivono e con cui si fondono in armonia con la preziosità della vita. L'energia scorre attraverso le cose e le unisce in un tout court, dandogli un senso.
Chappell non ambisce alla bellezza scultorea dei suoi contemporanei, il corpo appare nella sua spontaneità, incurante della forma e dell'eleganza, il movimento asseconda l'elasticità che diventa così espressione di vitalità, i paesaggi assumono sembianze umane e il tutto si fonde in una metafora in cui l'uomo e la donna si riconoscono nell'acqua, da cui tutto ha origine. (Female Water Torso e Male Water Torso).

Con l'inizio degli anni Settanta, W. Chappell, dà inizio ai suoi primi esperimenti di fotografia elettronica, attraverso una tecnica sull'alto voltaggio con cui fotografa piante, foglie e fiori (Metaflora, 1980). La luce è impressa sulle stampe, foglie di felci, fiori di nasturzio, ciuffi di prezzemolo che illuminano la carta emulsionata e fanno vibrare le emozioni come se davvero ci fosse ancora corrente elettrica sotto a quei piccoli filamenti. La vita è lì, è nell'energia che fluisce, che scorre nelle piante, negli uomini, negli animali e nelle cose, nell'universo organico e inorganico.

E' proprio proseguendo questa ricerca artistica che anche nella seconda parte della sua produzione fotografica, le figure umane e il paesaggio continuano a sovrapporsi fino ad unirsi e completarsi.
Gli addomi post-parto segnati dalla gestazione non vengono celati ma celebrati, le pance sfatte diventano terre seminate, in cui qualcosa è germogliato e si è sviluppato, come nei sedimenti di lava delle Hawaii, ripresi nel 1977; mentre le rocce del New Mexico divengono nel 1989 in Stone Kiss, due massi che sembrano unirsi in un tenero bacio.

La mostra è lunga, intensa, cruda e palpitante. L'energia esce dalle immagini e avvolge lo spettatore. La sostanza che emerge sulla forma.
Walter Chappell, da molti definito come il "nonno dei fiori", un'asceta ante litteram, va oltre le aspettative, la sua opera è potente, benchè tenuta a lungo lontana dalla notorietà a causa della censura, ci appare oggi come una delicata e quasi primordiale poesia, immagini commoventi nella loro purezza che trovano finalmente la loro meritata dimensione di "Eternal Impermanence, la perenne transitorietà".
Tante vite in una sola, eternamente impermanenti.

Durante la sua carriera ottiene per tre volte il "Photographer's Fellowship" del National Endowment for the Arts.
Le sue opere fanno parte di importante collezioni:the Museum of Modern Art (New York); the International Museum of Photography at George Eastman House (Rochester, New York); Library of Congress (Washington); Museum of Art, Stanford University (Palo Alto, California); Metro Goldwyn Mayer Studio (Culver City, California).

La mostra è accompagnata da un catalogo al quale si aggiunge un altro volume che contiene la lunga intervista al fotografo realizzata dal figlio Aryan, che ne raccolse le memorie poco prima della morte. Le pubblicazioni sono edite da Skira.

Testo Copyright © Eleonora Bonoretti

Si ringrazia l'Ufficio Stampa della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena, per la disponibilità alla pubblicazione delle fotografie

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