di
Simonetta Sandri
Avevo
già recensito, su questo stesso blog, la
Betty di
Simenon, qualche settimana prima che uscisse l'omonimo romanzo di
Cotroneo, incuriosita da alcuni giornali che ne annunciavano la
pubblicazione. La lettura era doverosa. Avevo acquistato il libricino
dell'autore francese all'aeroporto romano Leonardo da Vinci.
Conoscendo, dunque, già l'origine credevo di essere pronta al nuovo
libro di un autore che ho sempre seguito e ammirato. Mi piace come
scrive Roberto, la forza e l'energia che getta fulmineo alle pagine
accarezzate dal vento e dalla voglia di svelare un mondo interiore
complesso ma ricco ed estremamente sensibile.
Una vera e propria
calamita per me, per il mio modo di essere, di leggere, di scrivere e
di vivere in completa empatia con i personaggi di un romanzo che,
quasi sempre, fatico a salutare alla fine di ogni storia. Se mi sono
piaciuti, mi congedo da loro con estrema difficoltà, li tengo per
mano fino all'ultima riga, magari rileggo le ultime pagine per
salutarli ancora. E quando chiudo il libro sono sempre un po' triste.
Dicevo,
aspettavo il libro di Cotroneo. Sinceramente, la Betty di Simenon mi
aveva lasciato molto amaro in bocca, questa volta mi ero congedata
quasi volentieri da un personaggio difficile, criptico, scomodo e per
certi versi tetro e un po' angosciante. Volevo allora vedere cosa
sarebbe rimasto di lei nel nuovo romanzo. Direi, oltre al nome, molte
caratteristiche principali della protagonista simenoniana, nella sua
personale ed infinita tragedia di vita, nelle sue profonde cicatrici
e nel suo destino ciecamente ferito. Ma qui c'è molto di più.
Quella giovane, bella donna misteriosa che scompare improvvisamente a
Porquerolles, l'isola dove il vecchio e malato Simenon passa qualche
settimana di vacanza, ci fa entrare, ancora una volta, nel mondo dei
perdenti, delle esistenze segnate, sofferenti e buie, nell’abisso
dell’animo umano, nella disperazione e quasi nella follia, ma lo fa
come se fossimo in un quadro monocromatico o in una fotografia. Mi
colpiscono, infatti, i frequenti richiami alla fotografia, che ci
proiettano nel suo mondo. Immagini in bianco e nero di Betty scattate
dal fotografo del paese, Marc, perché Simenon vuole il racconto di
un'anima, e le anime non sono a colori, ma sono fatte di sfumature su
una sola tonalità, bianca, nera o grigia.
Perché Simenon ricorda
che la gente pensa che le fotografie aggiungano qualcosa a ciò che
vediamo, perché le prime foto scattate sono quelle prese sulla
piazza dell'isola, dove le rughe in bianco e nero di uomini anziani
uomini seduti sembrano le linee di carte geografiche, ove le tonalità
di grigio sono sfumature di vita. Qui scrittore e scrittura sono
soci, uno di minoranza e uno di maggioranza, uno scrittore anziano
che ritrova l'intensità. L’escamotage iniziale del manoscritto
ritrovato fa immedesimare ancora di più lettore, scrittore,
protagonisti, tutto si mescola, tutti sono tutti, nessuno salva
nessuno, tutto si confonde. Perché lo
scrittore-personaggio-protagonista, alla fine, non ha “più
la forza di aggiungere una sola parola a questo scritto”...
come se si portasse “addosso
le ferite di tutte le donne non comprese”.
Perché, alla fine, “quella
che chiamiamo vita non è altro che un collage di ricordi di qualcun
altro. Con la morte, quel collage si disfa e ci ritroviamo con
frammenti slegati, casuali, cocci o, se si vuole, istantanee”.
Quelle
fotografie di Marc che l’improvvisato Maigret, trovatosi suo
malgrado coinvolto nella scomparsa della bella Betty, non vuole più
vedere, perché “tutto
è là, nel dolore degli occhi grigi di quella donna.
E,
conclude…
nelle ferite di tutte le donne che non sono stato capace di capire e
di sentire. Tutto è in quegli occhi grigi di un mondo indifeso che
non sono riuscito a salvare”.
La
fotografia, il bianco e nero, il grigio, ossia la tonalità delle
anime perse.
Bompiani, 2013, 188 p.
Copyright
© by Simonetta Sandri
Nessun commento:
Posta un commento