di
William Molducci
Il
beat è un genere musicale sviluppatosi in Inghilterra all’inizio
degli anni sessanta, nato dal rock ‘n roll con influenze blues,
skiffle, swing e doo-wop. In poco tempo si diffuse tra i giovani
dell’epoca, prima in Europa e poi oltreoceano, in quella che fu
definita British invasion, per cui alcuni artisti originari della
Gran Bretagna, primi tra tutti i Beatles, divennero popolari negli
Stati Uniti e in Canada.
In
Italia il beat si affermò grazie alle cover incise da gruppi e
solisti quali Dik Dik, Camaleonti, Profeti, Equipe 84, Caterina
Caselli, The Rokes, Giganti, Corvi, Lucio Dalla, Pooh, Ribelli,
Ragazzi del Sole, Delfini, Nomadi, Califfi, Patty Pravo. La musica
beat si distingue per i suoni dominati da chitarre elettriche,
armonie vocali e ritmi veloci, attenuati da linee melodiche
orecchiabili. Le parti vocali sono ricche di cori che spesso ripetono
frasi nonsense al servizio esclusivo del ritmo e della melodia, un
po’ come nel doo-wop, lo stile derivato dal rhythm and blues e dal
rock ‘n roll. Il doo-wop, affermatosi negli Stati Uniti negli anni
cinquanta, rinforza il canto solista con armonie vocali sincopate e
cori spesso utilizzati come imitazione degli strumenti
d'accompagnamento, più che come voci vere e proprie. Verso la fine
degli anni sessanta il beat lasciò lo spazio al blues rock, che
avrebbe aperto le porte al genere psichedelico e progressivo.
I
Camaleonti
I
Camaleonti sono forse il più longevo gruppo beat italiano: 30
milioni di dischi venduti, 18 album, 39 singoli, diverse compilation
e antologie pubblicate anche negli Stati Uniti, Germania e Argentina.
Agli
inizi degli anni sessanta suonavano per ogni tipo di pubblico, con un
repertorio che comprendeva polke, mazurke, tanghi, classici
americani, shake, twist e rock per i giovanissimi. Ecco spiegata
l’origine del nome di questa storica band. Sono passati più di 50
anni da quando I Camaleonti si affacciarono sulla scena beat con “Sha
la la la la”, iniziando un’avventura che ha visto transitare
nella loro formazione musicisti importanti quali Ricky Maiocchi,
Gerry Manzoli, Mario Lavezzi, Gabriele Lorenzi, Dave Summer, Vincenzo
Mancuso. Ne hanno invece sempre fatto parte Tonino Cripezzi e Livio
Macchia, i due front-man del gruppo, così come il batterista Paolo
de Ceglie, prematuramente scomparso nel 2004. Da metà degli anni ’80
si sono aggiunti il chitarrista Valerio Veronese, il tastierista
Massimo Brunetti e Massimo Di Rocco alla batteria.
I
Camaleonti hanno pubblicato un nuovo album in cui gli inediti si
alternano ai brani storici, tra questi “Io per lei”, riproposta
di “To give (The reason i live)” di Frankie Valli, il pezzo
seguito a “L’ora dell’amore”, cover a sua volta di “Homburg”
dei Procol Harum. Le due canzoni sono riproposte con un sound più
adatto ai nostri tempi. “Applausi” chiude l’album del 50°, si
tratta di uno dei brani più conosciuti, pubblicato nel 1968, di cui
esistono due diversi missaggi. Nella seconda versione furono
sovrapposte le ultime parti del testo e inseriti ulteriori interventi
di archi, oltre a un prolungato coro di voci femminili.
“Storia
di un'idea” è il libro autobiografico dei Camaleonti, con i testi
di Paolo Denti, che ha raccolto i ricordi e gli aneddoti di Tonino
Cripezzi e Livio Macchia, i due fondatori del gruppo. Il “racconto”
inizia dagli anni sessanta con i gruppi beat e rock milanesi
dell’epoca: Beatnicks, Demoniaci, Marines, Trappers, Le Ombre. Nel
percorso s’incrociano personaggi quali Ricky Gianco, Mario Perego,
Adriano Celentano, Teo Teocoli, Gil Ventura, Miki Del Prete, Lucio
Battisti, Mogol, Paolo de Ceglie, Gerry Manzoli, Riki Maiocchi, Mario
Lavezzi, Gabriele Lorenzi.
Milano
– 24 giugno 1965 – Vigorelli, il concerto dei Beatles in Italia,
punto di riferimento e genesi dei gruppi emergenti italiani compresi
i Camaleonti che un anno dopo avrebbero partecipato al Cantagiro di
Enzo Radaelli. Si trattò di un’esperienza importante, la prima
occasione di confronto con gli altri e l’ingresso nella scena
musicale italiana.
Nel
capitolo “Il grande salto” si parla del primo successo: “L’ora
dell’amore” cover di “Homburg” dei Procol Harum, incisa in
gran fretta per anticipare l’eventuale versione dei Dik DIk, che
l’anno precedente avevano sbancato con “Senza luce” (A whiter
shade of pale). I Camaleonti, famosi per gli scherzi, quella volta ne
fecero uno di quasi due milioni di copie vendute.
I
Profeti
I
Profeti si affacciarono sulla scena musicale nel 1966 con il 45 giri
“Bambina sola”, che nel lato B proponeva il brano “Le ombre
della sera”, scritto da Lucio Battisti e Mogol.
In
quel periodo era di gran voga cantare canzoni straniere, con il testo
in italiano, e i Profeti non erano da meno, infatti, nel loro secondo
singolo fu inserita “Rubacuori”, cover di “Ruby Tuesday” dei
Rolling Stones, con testo di Mogol; sul retro “Sole nero”,
versione italiana di “Call my name” dei Them.
La
casa discografica li definì quattro ragazzi “Beat-moderati”
(curiosa definizione posta tra le note del loro primo disco), il loro
sound si colloca nel classico italico pop melodico. Nel 1968
parteciparono al Festivalbar con “Ho difeso il mio amore”, cover
di “Nights in White Satin” dei Moody Blues, che conseguì un buon
successo, bissato da quello di “Gli occhi verdi dell'amore”,
traduzione di “Angel of the morning” di Merrilee Rush & the
Turnabouts.
Con
la fine degli anni ‘70 terminò la moda delle cover straniere, che
nel decennio precedente furono fatte “passare” anche per
composizioni nostrane. Dagli anni ‘80 grazie all'attenzione dei
media e soprattutto al gusto del pubblico, questo non fu più
possibile.
I
Dik Dik
Nel
1965 i Dik Dik pubblicarono “1-2-3/Se rimani con me”, il loro
primo 45 giri, cover dell’omonimo brano di Len Barri e, nella
facciata B, un brano scritto da Lucio Battisti prima della
collaborazione con Mogol. Poi fu la volta di ”Sognando la
California”, cover di “California dreamin’” dei Mamas &
Papas. Il 1967 li vide primeggiare con “Senza luce”, versione
italiana di “A
whiter shade of pale”
dei Procol Harum, introdotta dall’organo Hammond, uno degli
strumenti musicali simbolo della musica beat. I Dik Dik, pur
alternando vari elementi all’interno del gruppo, sono attivi ancora
oggi, recentemente sono entrati in sala d’incisione per registrare
un nuovo album e proseguono l’attività live.
Gli
Alunni del Sole
Abbiamo
intervistato Bruno Morelli, fratello di Paolo Morelli leader degli
Alunni del Sole, per parlare dei loro esordi che coincisero con il
tramonto del beat e l’inizio di una nuova era musicale.
Bruno Morelli |
Il
vostro primo brano, “L’aquilone”, rappresenta una linea di
demarcazione tra il sound degli anni ’60 e quello dei ‘70, in
quel momento tutto girava ancora intorno al beat ma la scena musicale
stava cambiando…
L’epoca
Beat ha attraversato gli anni sessanta, dove gruppi come Beatles e
Rolling Stones rappresentarono quello stile musicale distintosi per
l’uso di chitarre elettriche, voce e cori cadenzati. L’entrata in
campo dei “complessi” aveva già dato un segnale molto
importante, rispetto al passato, impostando il suono sulla sezione
ritmica e utilizzando, per le strutturazioni armoniche, strumenti
quali pianoforte e chitarra. “L’aquilone” uscì nel momento in
cui il beat tramontava, anche se l’uso delle chitarre acustiche,
della dodici corde e dei cori poteva agganciarsi a quel fenomeno.
Quel brano rappresentò il preludio dell’evoluzione che sarebbe
venuta in seguito.
Dopo
gli anni ‘60 si face strada una musica che esprimeva un tipo di
cultura più importante, in grado di superare la struttura
“strofa/ritornello”, dando spazio alle esigenze artistiche dei
protagonisti di quell’epoca, tra cui mio fratello. La formazione
classica consentiva di superare i suoni “duri” dovuti alla
sezione ritmica dei gruppi, favorendo l’intervento orchestrale. Il
risultato che ne conseguiva era quello di una maggiore imponenza
musicale, oltre alla fusione tra diversi tipi di suoni. Se
“L’aquilone” rappresenta un timido tentativo di evoluzione, con
“Concerto” è evidente la volontà di fondere le due tipologie di
suono, grazie alla base sinfonico-classica acquisita da Paolo durante
gli studi.
Paolo Morelli |
In
quel periodo alcuni artisti utilizzavano strumenti che provenivano
dagli studi musicali classici, tra questi Ian Anderson dei Jethro
Tull, Mauro Pagani della PFM ed EL&P. Le stesse strutturazioni
dei concept-album rivelavano l’intenzione del musicista di superare
le standardizzazioni, cercando forme più complesse dal punto di
vista armonico. In questo tipo di produzioni si era liberi di
inserire momenti di respiro musicale, brevi suite di collegamento,
finali non convenzionali, magari utilizzando anche la chitarra
elettrica distorta.
Mio
fratello colse l’esigenza di quel momento storico, uscendo dal
canone armonico imposto dal rock, cosa che il beat aveva già
compiuto in parte. C’era la voglia di raccontare una cultura, come,
per esempio, il recupero della musica di Bach realizzata dai Procol
Harum; si trattava di passaggi musicali emblematici, musica classica
inserita nelle composizioni del momento. In una situazione del
genere, per fare un salto di qualità ulteriore, erano necessari
testi più impegnativi, alcuni scelsero i temi politico-sociali altri
si legarono all’attualità e ai fatti di cronaca. Paolo scelse di
cantare l’amore attraverso le sue reminescenze di poeta e di
appassionato, portando in musica le poesie scritte da ragazzo.
Eliana
Vinciguerra
Il
beat secondo Eliana…
In
Italia la più grande esperta di Beat Generation è Fernanda Pivano,
che ha curato e scritto numerose introduzioni e prefazioni di libri
beat e molti testi di critica a riguardo. In Italia, come al solito,
arriva tutto marginalmente e dopo il ‘68 non c'è stato più un
grande interesse per il fenomeno contestatario giovanile. I libri dei
beat furono accolti dalla critica con severità e asprezza,
l'esplosione che accompagnò l'uscita di “Sulla strada” di Kerouac
e dell'”Urlo” di Ginsberg, fu inghiottita dai critici come un
fenomeno di curiosità e un fatto di costume. Si parlò di
sgrammaticature e di prosa scomposta, di verbosità alla Thomas Wolfe
e di non poesia. La Beat Generation è stata caratterizzata sempre
più da un bisogno eccessivo di credere in qualcosa. Gli esponenti di
questa generazione erano per lo più ragazzi maturati troppo in
fretta da un'esistenza sempre più promiscua alla vita degli adulti,
partecipi attraverso la televisione e i giornali illustrati degli
stessi mezzi di informazione, superficiali e grossolani, di cui si
servivano gli adulti medi.
Eliana Vinciguerra |
Ricordo
che in quegli anni ci si abbigliava con abiti strani fuori moda, con
i capelli lunghi gli uomini e con i jeans le donne (dicevano in segno
di uguaglianza), sandali alla Ginsberg ai piedi e nastrino
all'indiana sulla fronte, marce per la pace in Vietnam, roghi di
cartoline precetto di leva e meditazione psichedelica a base di LSD
riprodotta con luci coloratissime, bolle di sapone e immagini
convulse. Questo movimento Hippy, si sviluppò nel corso degli anni
sessanta in America, come corrente della cultura underground, in cui
si espresse il dissenso di una vasta area del mondo giovanile, contro
il consumismo, il conformismo, le discriminazioni razziali, le
tendenze imperialistiche della politica statunitense, le insidie
della “guerra fredda”.
Gli Hippies furono sostenitori di
un'utopia e riuscirono a dimostrare che anche le utopie possono
contenere elementi vitali in grado di incidere nella realtà e di
modificare situazioni cristallizzate. La loro era un'utopia
pre-moderna, anti-industriale, che si sostanziava nel ritorno ad
un'agricoltura senza macchine. Questo fu il limite del movimento,
segnato dall'astrattezza propria di tanti movimenti di protesta
giovanile. Rappresentò un fenomeno temporaneo di fluttuazione, il
sintomo di una crisi e non di una proposta di soluzione.
Video - Gli Alunni del Sole: L'Aquilone
Video
– I Camaleonti: L’Ora dell’Amore (Homburg)
L’articolo
è stato realizzato con il contributo di parti tratte da precedenti
testi di William Molducci:
Si
ringraziano Eliana Vinciguerra e Bruno Morelli (Alunni del Sole), per
i loro prezioso contributo.
Copyright
by William Molducci
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