Aljoša
Curavić, Istriagog, Besa Editrice, Nardò (LE), 2013. p.120.
di
Alessandro Salvi
Il
romanzo breve “Istriagog”, terzo
per ordine di pubblicazione, dello scrittore e gionalista Aljoša
Curavić, si distingue da subito per la perizia linguistica e la
struttura narrativa polifonica. Curioso innanzitutto il titolo,
Istriagog. Ma è stato l'autore a svelarci in più di un'occasione di
aver aggiunto quel Gog quasi per caso, perché gli piacque subito il
suono, molto simile ad un'onomatopea infantile.
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Gog, tuttavia, se
clicchiamo alla svelta tanto per essere sbrigativi su un qualunque
motore di ricerca in Internet, vedremo che ci porta a scoprire altri
significati, ben più funesti: su Wikipedia ecco che Gog e Magog sono
delle popolazioni dell'Asia centrale, citate nella tradizione
biblica, quali genti selvagge e sanguinarie, fonte di incombente e
terribile minaccia. Più avanti viene detto che Gog è stato anche
identificato come crittogramma di Babele o di Babilonia. E qui credo
di essere giunto dove volevo, poiché visto da questa doppia ottica,
nel titolo si crea un'immagine che la dice lunga e suggerisce già in
partenza l'indirizzo seguito dall'autore nell'affrontare questa prova
narrativa.
Prova narrativa che, credo sia bene sottolinearlo, ci
offre un ventaglio ricco
di numerosi personaggi disseminati lungo una catena di vicende
esilaranti contenente una babelica ridda di eventi nel suo insieme,
che nella infernale moltitudine si snoda impietosa. Quasi un
labirinto, dunque, contenuto del libro. L'opera
in questione ha per oggetto il Tempo, e quanto accaduto nel villaggio
di Spada (piccolo borgo istriano vicino Parenzo) dal 1914 ai giorni
nostri, cosparso di innumerevoli vicende collegate nondimeno da un
sottile filo rosso rappresentato dalle persone, le cui vicende
quotidiane sono suture vere e proprie nel tessuto narrativo globale.
Accanto alla rigorosa serietà dei fatti (vicende belliche, lutti,
nascite...) vi emerge di tanto in tanto un'ironia dosata però con
parsimonia, entro un quadro efficace, quasi iperrealistico, costruito
con estrema dimestichezza, dove lo sguardo dell'io narrante mette a
fuoco (quasi adoperasse una telecamera ad alta definizione) il
microcosmo istriano in rapporto alla Storia, quella con la s
maiuscola. Scevro di ogni tipo di qualsivoglia moralismo o facili
sentimentalismi, l'autore non ci impone nessun giudizio a priori,
immergendoci in una realtà non priva di colpi di scena, domande
senza risposta, di un mondo da sempre ai margini, che nel corso del
tempo ha subito spesso mutamenti irreversibili. Una macchina
narrativa che si presenta come un meccanismo ben oliato, sostenuto da
un impianto stilistico solido che facilmente incolla alle pagine gli
occhi del lettore, dove il tutto è condito da elementi dialettali
nostrani, rendendo di conseguenza nella pagina l’inconfondibile e
caratteristico sapore dell'Istria. Questo romanzo corale è narrato
in maniera scorrevole, mediante brevi capitoli, diciassette per la
precisione, scanditi in ordine numerico, dove il primo e l’ultimo
portano l’effigie di Anno zero. Quasi per dire che la storia
procede a cicli, si ripete e si rinnova al contempo, uroborico
rigenerarsi e autodistruggersi, ignara di noi e del tutto
indifferente.
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by Alessandro Salvi
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